“Un luogo di lavoro digitale altamente efficiente: è questa la chiave che apre all’organizzazione la possibilità di ottenere di più con meno, ottenendo risultati superiori con un numero inferiore di persone, in meno tempo e ad un costo ridotto. Un “business digitale” fiorente è necessariamente basato sulla capacità aziendale di ingaggiare direttamente ciascun stakeholder su base high-touch, fornendo servizi a tutti con un’esperienza personalizzata di alto livello, ad esempio nel chiudere una qualsiasi transazione o nel risolvere problemi di ogni tipo rapidamente.
In sintesi ogni impresa oggi mira a trasformarsi in un efficiente ecosistema digitale.
La chiave è quella che io definisco Big Knowledge, che attraverso l’intero ecosistema aziendale è unificata ed integrata, in modo non solo da abilitare tutti a mantenerla e svilupparla organicamente, ma di raggiungerla anche casualmente (vedi alla voce “serendipity”), e comunque utilizzarla continuamente”.
Così Pehong Chen, Founder & CEO di BroadVision, introduce l’evento “Digital Ecosystem Transformation: 7 Habits to Convert Big Garbage to Big Knowledge“, che si svolgerà a Milano in via Olona 2 presso gli uffici di OpenKnowledge il giorno 9 novembre alle ore 17.00 (entrata libera) . Chen ha fondato Broadvision nel 1993, divenendo così uno dei più importanti precursori del concetto stesso di Digital Workplace inteso come una piattaforma virtuale, mobile e collaborativa per condividere le competenze e le conoscenze, incrementando l’agilità del business, anche tramite il monitoraggio dei processi decisionali finalizzato al costante miglioramento dei risultati.
Il suo passaggio in Italia diventa dunque una preziosa occasione per avere una sua visione dei principali trend rispetto ai processi di Digital Transformation in atto oggi.
M.M.: Ma stiamo descrivendo l’organizzazione o l’azienda di coloro che in questo momento ci stanno leggendo?
P.C.: Altamente improbabile, in quanto l’impresa di oggi è caratterizzata dalla presenza diffusa di quella che io chiamo la “Big Garbage” (analoga alla “stupidità diffusa” di cui parlo in Intelligenza Collaborativa, ndr) , dove tutto è insensatamente duplicato, irrimediabilmente frammentato e inspiegabilmente trasmesso attraverso una miriade di strumenti disparati, cosicché la maggior parte del materiale che ci servirebbe è coperta da rumore o completamente al buio ─ invisibile o addirittura inaccessibile. Nonostante l’enorme impegno che oggi viene profuso nel raccogliere tutto ciò che è sparso in questi grandi ammassi di “spazzatura” e nell’applicare grandi analisi dei dati per acquisire conoscenze, il risultato risulta generalmente incostante nella migliore delle ipotesi; molto spesso comunque la risposta arriva in misura troppo limitata o troppo tardi.
L’obiettivo del meeting che si svolgerà in OpenKnowledge è quello di svelare sette nuovi abiti mentali cruciali per chi opera in un luogo di lavoro digitalizzato, con l’obiettivo di fare risparmiare a ciascuno almeno un’ora al giorno di attività inutile, oltre a determinare un aumento delle conoscenze istituzionalizzate automaticamente durante una normale giornata di lavoro. Questi abiti mentali convertono la Big Garbage nella Big Knowledge, ovvero consentono, in ultima analisi, di trasformare l’organizzazione in un “posto di lavoro digitale (Digital Workplace)”, di fare sviluppare alla società un fiorente “social business” e di fare divenire l’impresa un vibrante ecosistema digitale.
M.M.: Vorrei capire meglio il tuo pensiero. Partiamo dall’inizio. Si parla tanto di Digital Transformation. In cosa consiste esattamente secondo te e quali sfide (organizzative e culturali, prima ancora che tecnologiche) pone alle aziende?
P.C.: La trasformazione digitale può significare cose diverse nei differenti contesti aziendali. Per alcuni, si tratta di lancio di nuovi prodotti digitali; per altri, di integrare i loro prodotti fisici e servizi su piattaforme digitali. E, per molte aziende, significa semplicemente abbracciare le nuove tecnologie per essere più efficienti, più produttivi.
Ma ciò che è comune a tutte queste visioni di un futuro digitale è che si basano sul presupposto che ogni azienda ha istituito un posto di lavoro digitale che sostiene questi sforzi di trasformazione – un luogo in cui i lavoratori anche se geograficamente distribuiti possono scambiarsi idee e conoscenze sia che siano in ufficio sia che si trovino al di fuori di esso, e da qualsiasi dispositivo di loro scelta. La realtà è, tuttavia, che poche aziende hanno realizzato questo obiettivo. Ecco, questo è quello che offre Vmoso – un ambiente di lavoro digitale e una piattaforma per alimentare la trasformazione digitale.
M.M.: Uno dei motori della Digital Transformation è certamente il Mobile (vedi La #DigitalDisruption in 5 parole chiave). Quanto il Mobile sta effettivamente cambiando il nostro modo di lavorare? E’ davvero così essenziale per la Business Communication? Quanto incide sul futuro del lavoro?
P.C.: Sì, il Mobile ha davvero ha cambiato il nostro modo di lavorare, ed è essenziale per la comunicazione d’impresa moderna, ma in modi diversi per persone diverse.
C’è una differenza importante tra i “lavoratori mobili” (coloro che sono fuori ufficio molto e hanno bisogno di comunicare ovunque si trovino, in genere da un telefono o tablet) e i “lavoratori remoti” (coloro che sono permanentemente fuori ufficio, ma probabilmente utilizzando un computer portatile o un computer desktop). Poi ci sono anche i lavoratori che hanno uno smartphone, ma non hanno mai avuto un PC – ad esempio il personale in un negozio al dettaglio. Per la prima volta, possono essere collegati alle comunicazioni digitali dell’azienda tramite il proprio telefono. Ed infine ci sono i lavoratori – probabilmente in realtà ancora la maggioranza per la maggior parte delle organizzazioni – che restano office-based e desk-bound. Il posto di lavoro digitale deve consentire a tutte e quattro queste categorie di persone di lavorare con efficienza. Piuttosto che parlare di “mobile”, dovremmo quindi concentrarsi su quelle che io chiamo device-independence e location-independence – ovvero sulla possibilità di eseguire qualsiasi compito dal dispositivo più adatto in qualsiasi parte del mondo ci si trovi, e di passare tra i dispositivi e le differenti location (o postazioni di lavoro all’interno di una singola location), se necessario, nell’arco della giornata.
M.M. Nelle nuove organizzazioni digitali come cambiano i modelli di leadership, i rapporti fra manager e dipendenti? Come possiamo assicurarci l’engagement dei dipendenti e soprattutto fare in modo che aderiscano veramente alla vision aziendale?
Forse il cambiamento più grande concerne l’idea tradizionale che “la conoscenza è potere”. E’ vero che la conoscenza rimarrà sempre la fonte del potere, ma, in un luogo di lavoro digitale di successo, la creazione di conoscenza non è più il lavoro esclusivo di alcuni “esperti” e l’accesso a tale conoscenza non è più il privilegio di pochi senior manager.
Invece, tale potere può essere amplificato enormemente se è diffuso a tutti lungo la scala gerarchica, ovvero quando la conoscenza viene costantemente aggiornata, è raggiungibile tempestivamente ovunque ci si trovi, è utilizzata continuamente in ogni momento di lavoro, da soli o in gruppo.
Allora, chi è il beneficiario principale di questa “Grande Conoscenza”? Sono i dipendenti stessi, perché aiuta ognuno di loro a ottenere alte prestazioni e a raggiungere i propri obiettivi. Mettendo tutto insieme, la “Grande Conoscenza” trasforma l’intera impresa in una organizzazione di enorme potenza.
M.M.: Nell’inserto di HBR Italia del luglio-agosto 2016, che OpenKnowledge ha dedicato interamente alla Platfirm Age, si sottolinea l’avvento di una nuova era in cui le logiche dominanti nel mondo del business e delle organizzazioni stanno cambiando in modo radicale e con una velocità impressionante. Il neologismo nasce dalla fusione tra platform e firm e indica la prospettiva che vede le organizzazioni come piattaforme. Le società digitali nascono come piattaforme (Facebook, Ebay, Google, Uber, Aibnb), ma anche Nike, ad esempio, si sta strutturando come rete di piattaforme di interazione per la cocreazione intensiva di valore, beneficiando di scalabilità rapida, dell’effetto di rete, dell’apertura agli attori e community dell’ecosistema (non solo consumatori, ma community di developer, acceleratori di soluzioni, ecc). Per questo l’ azienda tradizionale che vuole accettare la sfida della Digital Disruption deve innanzitutto configurarsi come Social&Digital Workplace, che rappresenta la naturale evoluzione della Intranet/Extranet/sito Internet: da semplice portale operativo o di comunicazione interna/esterna a effettivo spazio digitale aziendale in cui tutte le applicazioni e i processi chiave (come comunicazione, collaborazione, conoscenza, processi operativi e di business) sono gestiti e interfacciati. Quale è la tua visione a questo proposito?
P.C: Sì – Sono d’accordo, senza un solido ambiente di lavoro digitale alla base, un progetto di trasformazione digitale difficilmente avrà successo. Dobbiamo prima assicurarci che tutti stiano comunicando e condividendo informazioni in modo efficace. Ma è sbagliato vedere il posto di lavoro digitale solo come l’evoluzione della Intranet – è molto più di questo. E’ l’evoluzione del modo di comunicare dell’intera business community.
L’intranet o social network aziendale tradizionale probabilmente conteneva solo una piccola percentuale di conoscenza e comunicazione aziendale, la maggior parte della quale circolava ancora via email. In un contesto di Intranet non evoluta le persone preferiscono usare le loro cartelle di posta elettronica per trovare un documento di cui hanno bisogno piuttosto che ricercarlo sulla intranet aziendale perché o è difficile da reperire o non è stato proprio pubblicato, magari perchè chi avrebbe dovuto caricarlo non lo ha fatto, preoccupato per ragioni di confidenzialità o di privacy. Molti progetti di social business avviati con le migliori intenzioni sono poi svaniti perchè le persone non supportate da un adeguato piano di change management inevitabilmente ricadono nel vortice negative delle loro e-mail, con le cattive abitudini annesse e connesse.
Invece, per avere successo, sul posto di lavoro digitale si deve ottenere la conoscenza fuori dalle cartelle e-mail e in un luogo più sicuro e accessibile. Questo è ciò che fa Vmoso. Catturando la conoscenza alla fonte – come ad esempio in un messaggio da un dipendente ad un altro – elimina la necessità di tornare indietro e capire dove depositare le informazioni più tardi. In questo modo la conoscenza è già lì, disponibile: occorre solo identificare chi ha il permesso di accedervi.
M.M .: Possiamo avere un’anticipazione delle 7 abitudini che dovrebbero essere diffuse in un’organizzazione al fine di attivare un Digital Workplace di successo che descriverai nell’incontro del 9 novembre? Quali sono le maggiori sfide che BroadVision sta cercando di risolvere?
P.C.: Il modo di lavorare, gli abiti mentali che applichiamo sul lavoro sono come respirare l’aria e bere l’acqua. Tuttavia, ogni cambiamento di abitudini e di modelli mentali è sempre difficile e occorre del tempo. Si consiglia un approccio più del tipo “irrigazione a goccia”, piuttosto che una modalità che tende ad una “inondazione di informazioni”.
In pratica, questo significa trovare in primo luogo il percorso di minor resistenza – ad esempio chiedendo alle persone di identificare i processi di lavoro per gestire i quali gli strumenti a disposizione sono più frammentati, o che producono grandi quantitativi di “contenuti spazzatura” in cui essi si trovano a perdere tempo alla ricerca di informazioni, ricerca che spesso diventa un lavoro vero e proprio in sè.
Poi occorre concentrarsi sulle parti delle 7 abitudini lavorative che correlano direttamente la Grande Conoscenza alla trasformazione digitale, con conseguente risultato di fare le cose meglio, in modo più veloce e meno costoso. Quando le persone toccano con mano i risultati, naturalmente tendono ad utilizzarle, diventando anche un esempio per i colleghi: dopo un ciclo di feedback positivi, in genere si determina un effetto “valanga infettiva” che determina l’adozione su larga scala.
Questo approccio è basato sulla nostra esperienza di apprendimento sviluppato nel corso di numerosi progetti di trasformazione digitale d’impresa in tutto il mondo, che hanno sempre avuto come denominatore comune la sfida principale legata alla resistenza della natura umana a cambiare. Ma, con la nostra metodologia incrementale, questa sfida può essere vinta.