Verso la digitalizzazione delle Academy aziendali

La Digital Transformation delle Academy aziendali: tutto qui?

Cominciamo dalla fine del volume “Le Academy Aziendali” curato da Enrico Cerni, responsabile della Formazione tecnica nella struttura People Engagement & Development di Generali Italia e vicepresidente della Delegazione Veneta di AIF, Associazione Italiana Formatori.

Mi riferisco al capitolo sesto scritto da Salvatore Garbellano, “Stato dell’arte delle Corporate University e delle Academy”. L’autore propone dati aggiornati sulla riduzione degli investimenti in formazione – in particolare in formazione manageriale – a partire dalla crisi economica di inizio millennio. Il quadro complessivo è critico ma permangono aziende capaci di reagire, le quali, effettuando investimenti mirati, denotano attitudine alla resilienza e una forte volontà di sviluppo. Garbellano parla di “cambio di mentalità”, prodromico per l’emersione di eccellenze formative e di buone prassi. Il capitolo, documentatissimo, porta esempi di Corporate University e di Academy internazionali e italiane. La tendenza, spiega Garbellano, è quella di un approccio “lean”, snello, sia dal punto di vista di struttura organizzativa, sia dal punto di vista dell’offerta, in modo tale da poter essere più veloci nell’adattarsi ai repentini cambi di decisione strategica – o semplicemente di priorità – desiderati dal management. Le eccellenze non mancano e il capitolo illustra alcune aziende, che hanno saputo innovare, introducendo nuovi approcci, nuove forme (“Metamorfosi 2” è il significativo nome di un programma di formazione della friulana Danieli), nuove metodologie.

Sorprendetemente però un unico breve paragrafo è dedicato al social learning e nelle conclusioni troviamo solo questo passaggio sulla questione della Digital Transformation: ”La necessità delle PMI di crescere dal punto di vista delle dimensioni, la digitalizzazione dei business, dei processi manageriali e produttivi stanno infatti modificando rapidamente il contesto in cui operano le imprese, le persone e le società che progettano ed erogano servizi per la formazione. Essere veloci è condizione di successo. Questo vale nel business e quindi anche per la formazione. Oggi per correre essere da soli non basta: occorre scegliere i giusti partner in grado di facilitare e accelerare i processi di apprendimento.

La diffusione di e-commerce, produzione intelligente, industria 4.0 (nel senso di totale automazione e interconnessione nelle produzioni), internet delle cose, uso dei Big Data sta accelerando la nascita di nuove competenze e nuove figure professionali. Stanno emergendo nuovi mestieri che sono nati per far fronte all’emergere di nuovi segmenti di clienti e all’evoluzione tecnologica. Sono professioni “ibride” che si caratterizzano per creare integrazione tra reale e virtuale, meccanica e digitale, presenza fisica e controllo in remoto, know-how tecnico e manageriale”.

Un po’ poco e un po’ troppo generico, direi. O no? Ne parliamo con lo stesso Garbellano.

Verso una formazione collaborativa

M.M.: “Salvatore, quanto si sta affermando, nella concreta realtà operativa delle Academy aziendali, il concetto di formazione collaborativa”?

S.G.: “I responsabili della formazione sono sempre stati attratti dal poter far apprendere a tutti, in ogni luogo e momento. Superare le barriere di spazio, tempo e spesso anche quelle che esistono tra le organizzazioni vuol dire superare i confini delle aule e quindi ampliare le possibilità di sviluppare competenze. Le strategie di internazionalizzazione, la necessità di formare rapidamente e in contemporanea i dipendenti hanno aumentato l’attenzione verso le nuove tecnologie di formazione, ma la vera svolta sta avvenendo con la digitalizzazione delle imprese, quella che tu hai definito (con Cosimo Accoto, ndr) Platformication.

La digitalizzazione dei business è infatti il driver che sta cambiando non soltanto i processi operativi ma anche i processi di apprendimento. La nuova generazione di Corporate University e Academy sta affrontando la sfida della digitalizzazione e ha intrapreso il cammino della digitalizzazione. Fino a pochi anni fa questo percorso era riservato alle aziende del mondo dell’IT (quali Microsoft, Cisco, IBM, ecc), oggi si estende a tutti i settori anche quelli considerato “maturi”. E’ pertanto la crescente integrazione tra innovazione di modelli di business, il cambiamento dei modelli organizzativi, l’aggiornamento del know how e le nuove forme di apprendimento a rappresentare il segno di forte discontinuità rispetto al passato.

La tecnologia facilita il cambiamento ma per essere efficace deve far parte di una strategia di rinnovamento dell’intera cultura aziendale. La tecnologia pertanto non sostituisce le relazioni tra le persone, ma le rende piu’ veloci e efficaci. In molte esperienze l’e-learning di fatto sostituiva il docente. Oggi invece la digitalizzazione dell’apprendimento accelera il passaggio da una formazione aziendale prevalentemente “a senso unico” in cui contenuti e metodi provengono dall’alto della piramide aziendale ad un apprendimento che valorizza lo scambio di idee, esperienze e know how”.

M.M.: “Qualche esempio?”

S.G.: “IBM è stata tra le prime aziende a organizzare un’innovation jam, una sessione di brainstorming on line a cui hanno partecipato oltre 150.000 persone tra dipendenti, fornitori e esperti sparsi in tutto il mondo. Oggi esperienze di social learning sono state realizzate in molte imprese italiane spesso di grande dimensione, ad esempio, in Banca Intesa Sanpaolo, Eni, Luxottica, OVS, Reale Mutua e da importanti multinazionali estere presenti in Italia quali Sanofi e Vodafone.

La maggiore collaborazione fra giovani, tecnici e vertici aziendali – in molti casi incoraggiata dalla gamification per premiare i piu’ attivi – si è resa necessaria per risolvere problemi complessi, condividere buone prassi e dare visibilità ai portatori di competenze inespresse. L’opportunità di condividere il know how interno ha spinto alcune imprese (tra queste Mc Kinsey, Microsoft e Linkedin) a sperimentare corsi aperti on line su larga scala (in inglese MOOC) in modo analogo a quanto hanno realizzato dalle principali scuole di management statunitensi, ma personalizzati sulle proprie esigenze”.

M.M: “Le nuove tecnologie hanno un’ulteriore funzione: migliorare l’offerta di formazione personalizzata”.

S.G.: “Si, ad esempio la piattaforma digitale di Adidas, l’azienda tedesca che produce abbigliamento sportivo, rende disponibile a ciascun dipendente uno specifico portafoglio ricco di opportunità di apprendimento. Alcuni contenuti sono sviluppati all’interno dell’azienda (ad esempio, video, test, documenti in PDF) altri invece sono su internet quali blog, presentazioni TED e filmati Youtube per superare i rischi di autoreferenzialità. Ciascuna opportunità puo’ ricevere like e segnalazioni da parte degli esperti, ma è il dipendente che è responsabile della scelta e in definitiva del proprio sviluppo professionale”.

Lo stato dell’arte in Italia

M.M.: “IBM, Adidas… e in Italia che succede?”

S.G.: “Anche le imprese italiane piu’ attente a questi temi stanno operando in questa direzione. Dopo le prime sperimentazioni in Banca Intesa, di recente la Sirti, l’azienda italiana specializzata nella progettazione e realizzazione di reti di telecomunicazione, ha migliorato l’integrazione digitale tra le metodologie di valutazione del personale. Per colmare i gap di competenze la Sirti offre ai dipendenti la possibilità di accedere a corsi tramite smartphone e tablet e un’ampia gamma di seminari da seguire in modalità live o on demand. E’ interessante rilevare che questi seminari hanno ad oggetti temi strategici: imprenditorialità, innovazione, scenario economico finanziario, operation, nuove competenze in tema di gestione dei collaboratori.

Da un lato la pluralità di offerta consente ai dipendenti di utilizzare la formazione quando devono risolvere un problema che emerge nel corso della proprio lavoro, dall’altro c’è il rischio di erogare “pillole” che spesso curano i sintomi ma non risolvono i problemi. Per questo motivo le nuove CU e Academy iniziano quindi a offrire cio’ che Crotonville, la scuola di management della General Electric e tra le piu’ prestigiose al mondo, definisce learning journey: percorsi specifici di apprendimento.

Oggi la sfida per Crotonville è comune a tutte le CU: integrare esperienze di formazione in aula, on the job e digitali cosi’ da fornire a ciascun dipendente un processo di sviluppo mirato, veloce e snello in cui le metodologie di gestione e valutazione del personale anch’esse digitalizzate forniscono un continuo flusso di dati per definire con precisione i bisogni individuali di apprendimento”.

M.M.: “Per la nuova generazione di CU e Academy si profila un’ulteriore sfida: l’emergere della realtà virtuale e della realtà aumentata.”

S.G.: “Esatto. Ad esempio la digitalizzazione dei processi di R&S, innovazione di prodotto e di produzione consentono di effettuare simulazioni on line. L’apprendimento on the job sarà pertanto affiancato dall’apprendimento virtuale che avviene tramite simulazioni sempre piu’ complesse e diverse l’una dall’altra. Queste simulazioni sono particolarmente efficaci quando l’apprendimento on the job sia eccessivamente costoso o pericoloso, ad esempio come avviene oggi per i piloti di Formula 1 e di Moto GP.

Queste simulazioni consentiranno di sperimentare e fare errori rapidamente. Con tre effetti: 1) accelerare l’apprendimento, 2) fornire un’ulteriore spinta all’innovazione in quanto farà diminuire la paura di sbagliare 3) rendere piu’ semplice il trasferimento del nuovo apprendimento nei processi operativi e manageriali.

Già oggi General Motors sta sperimentando i Google Glass nella formazione dei tecnici di stabilimento che sono seguiti da un tutor che in streaming fornisce feed back in tempo reale. Marelli Motori, un’azienda veneta della meccanotronica, ha utilizzato i Google Glass nelle operazioni di manutenzione a distanza di motori montati in impianti dislocati in tutto il mondo. Qualche mese fa a Torino nella prima fiera in Italia dedicata alle tecnologie indossabili ragazzi e ragazze, molti dei quali studenti in ingegneria, facevano la coda per provare la realtà aumentata. Una fila che non puo’ passare inosservata”.

Il social learning

M.M.: “Tra le diverse definizioni di social learning esistenti in letteratura, nel libro vi affidate a quella fornita da Jeanne Meister, autrice del primo e più noto libro sulle Corporate University, che recita: l’apprendimento sociale è l’apprendimento collaborativo, immediato, rilevante che avviene acquisito nel contesto di lavoro proprio di ciascuna persona. Un numero crescente di organizzazioni sta creando network sociali interni che consentono ai dipendenti e, in alcuni casi anche a partner esterni, di comunicare, collaborare e di entrare nell’intelligenza collettiva dell’azienda globale. Come si stanno muovendo Corporate University e Academy italiane su questo fronte?”

S.G: “Alla base del social learning vi è l’apprendimento che avviene attraverso il dialogo e la collaborazione tra le persone. Mettere in rete, connettere colleghi, creare comunità professionali facilita e accelera l’apprendimento che avviene mediante le loro interazioni, comunicazioni e conversazioni.

Tra i primi esempi di condivisione delle esperienze spiccano quelli che hanno avuto origine e sviluppo nei processi di produzione, in particolare nell’ambito dell’implementazione della lean production. Così Fiat Chrysler Automobiles ha creato la WCM Academy per dif fondere e accelerare l’applicazione dei principi del World Class in tutti gli stabilimenti del gruppo. La WCM Academy è impegnata nella diffusione del metodo LUTI il cui acronimo sta per Learn, Use, Teach, Inspect.

Questa metodologia si sviluppa in quattro fasi:

  • imparare: per esempio attraverso l’autoapprendimento on-the- job, libri, dispense, oppure la formazione in aula;
  • applicare: vuol dire non soltanto mettere in pratica quanto appre- so, ma anche formalizzarlo in un documento o in una banca dati al fine di poter trasferire con facilità e rapidamente il nuovo know-how;
  • insegnare: vuol condividere quanto esaminato e imparato a fare, sfruttando l’esperienza maturata e la documentazione predisposta durante la precedente fase;
  • ispezionare: chi insegna ha la responsabilità di valutare l’efficacia del proprio processo di condivisione attraverso la rilevazione dei risultati ottenuti dai propri colleghi.

Come accade per tutte le metodologie del WCM, anche il metodo LUTI richiede per essere assorbita persistenza e tempi lunghi. Pertanto non sorprende che soprattutto nei primi tempi difficoltà e criticità emergano. In alcune realtà coloro i quali erano stati individuati per applicare il metodo LUTI hanno chiesto alle imprese di ritornare alla più tradizionale formazione in aula. Le resistenze trovano le loro radici nelle prassi di lavoro consolidate nel passato, nella difficoltà ad assumersi responsabilità e, in definitiva, di agire l’empowerment.

M.M.: “C’è quindi un tema di responsabilizzazione delle persone”.

S.G.: “La responsabilizzazione del personale verso forme di condivisione del know-how trova il suo focus nel coinvolgimento dei manager nelle attività di docenza. Gran parte delle CU italiane utilizza manager non soltanto come testimoni che intervengono nei programmi di formazione ma anche come docenti che gestiscono sessioni su progetti e tematiche di interesse aziendale.

Alcune CU italiane hanno posto al centro della loro attenzione questa metodologia per favorire sia il trasferimento di esperienze, buone prassi e conoscenze tecniche sia la condivisione dei valori aziendali. Per esempio, Chloride Academy e Mediolanum CU sono state tra le prime a creare delle “faculty interne” i cui componenti non sono formatori professionisti, ma manager che dedicano parte del loro tempo alla condivisione del know-how con colleghi, spesso più giovani.

L’utilizzo dei manager trova ulteriore sostegno nella crescente tendenza della formazione manageriale a “personalizzare” gli interventi sulle base delle specifiche aziende delle imprese. Spesso la consulenza e la docenza sono ritenute eccessivamente distanti dalle problematiche aziendali. Soltanto chi ha la responsabilità diretta sui processi implementati o in corso di realizzazione è in grado di trasferire conoscenze ed esperienze rilevanti per i propri colleghi”.

M.M.: “Il social learning comunque pone soprattutto al centro il tema dell’azienda come “platfirm” e richiede sia di aprirsi anche alle interazioni con gli stakeholder esterni sia di dotarsi di infrastutture digitali completamente nuove”.

S.G.: “I due temi sono strettamente intrecciati. Da una parte, ad esempio, la CU della Philips così sintetizza le finalità del proprio sistema di social learning: dare empowerment ai dipendenti per migliorare comunicazione, collaborazione e condivisione di conoscenza attraverso il rapido accesso agli esperti di contenuto nell’ambito di una comunità coesa.

Dall’altra, non c’è CU di grande azienda multinazionale che non abbia sperimentato il social learning attraverso le nuove tecnologie informatiche. Non a caso le prime aziende ad applicare queste metodologie sono state le imprese (quali per esempio, Google, Microsoft, Ibm, e tante altre) che operano nei settori hi-tech.

Ecco così che oggi è interessante rilevare che tra le esperienze di social learning più significative vi sono quelle che si aprono alla conoscenza che proviene dall’esterno dell’impresa. Anche in questi casi business e apprendimento sono fattori strettamente correlati. Per esempio, Nike attraverso il sistema NikePlus connette manager, dipendenti e clienti. Insieme creano e sviluppano in cooperazione il proprio contesto di apprendimento. In questa prospettiva, Nike ha creato un multiway learning engine, un motore di apprendimento aperto, a più vie e non soltanto top-down. Come spesso hai rilevato in questo blog, queste sono le organizzazione che si definiscono co-creative, in grado cioè di coinvolgere nei processi di generazione di nuova conoscenza tutti i principali stakeholder aziendali.

Non è casuale che diverse CU italiane (quali, per esempio ENI e Mediolanum) siano state tra le prime a sperimentare significative forme di social learning in Italia. Una priorità di Reale Mutua Academy concordata con la direzione aziendale è la diffusione del social learning e pertanto sta progettando e realizzando uno specifico percorso affinché il management possa comprendere e assimilare la nuova cultura dell’apprendimento”.