Lo Smart Working – l’approccio innovativo all’organizzazione del lavoro che si caratterizza per flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari di lavoro e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati – si sta finalmente affermando anche in Italia come un concetto riconosciuto e compreso, sdoganandosi dal semplice telelavoro. Il 67% delle aziende ha già attivato qualche iniziativa in questo senso, ma ad oggi solo l’8% adotta realmente un modello di Smart Working, cioè ha sviluppato un piano sistemico introducendo strumenti tecnologici digitali, adeguate policy organizzative, nuovi comportamenti organizzativi e layout fisici degli spazi (si stima che saliranno al 19% nei prossimi 2 anni).
Si diffonde, seppur lentamente, l’abitudine a lavorare anche in luoghi diversi dall’ufficio e, già oggi, oltre metà degli impiegati, quadri e dirigenti dedica almeno una parte del proprio orario di lavoro in mobilità, all’esterno della sua sede (in maggioranza in altre sedi dell’azienda e dai clienti, ma anche in spazi di coworking o sui mezzi di trasporto). Eppure i professional effettivamente “pronti” (per predisposizione culturale e organizzativa) a diventare Smart Workers sono appena il 20% del totale, a causa degli ostacoli legati alle attività non prevedibili e pianificabili, allo scarso coinvolgimento nelle decisioni da parte del capo e alla limitata autonomia nella definizione degli orari di lavoro.
Insomma, fare Smart Working in Italia è possibile e i segnali sono incoraggianti, grazie alla crescente attenzione delle aziende, alla disponibilità delle tecnologie digitali, alla propensione delle persone all’interazione e alla relazione virtuale. Ma la strada per ripensare i modelli di organizzazione del lavoro è solo all’inizio.
Lo spiega la Ricerca 2014 dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano*, presentata questa mattina al convegno “Smart Working: si puo’ e si deve!” che si è tenuto nell’aula De Carli del Campus Bovisa dell’ateneo milanese. La ricerca ha coinvolto 230 executive appartenenti a 211 aziende di media-grande dimensione con l’obiettivo di monitorare le dinamiche di evoluzione dello Smart Working in Italia, identificare best practice e possibili approcci all’adozione attraverso l’analisi sul campo delle principali iniziative e il confronto con i manager coinvolti nei progetti.
“Fare Smart Working oggi in Italia oggi è possibile – afferma Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Smart Working -. I risultati ottenuti dalle imprese che per prime si sono cimentate in questo percorso indicano come le tecnologie digitali, i nuovi device disponibili e la cultura diffusa tra le persone permettano di rimettere in discussione gli stereotipi relativi a luoghi, orari e strumenti di lavoro, consentendo alle persone di raggiungere al tempo stesso una maggiore efficacia professionale ed un miglior equilibrio vita-lavoro. Alle iniziative delle aziende si devono accompagnare interventi sulle infrastrutture, come ad esempio la banda larga e Wi-Fi nei luoghi pubblici, insieme a misure di semplificazione delle forme contrattuali che agevolano e promuovono tali forme di flessibilità. Ma soprattutto fare Smart Working oggi è necessario, perché l’entità dei benefici concreti ottenuti per le persone, le imprese e l’ambiente ne fanno una leva irrinunciabile per recuperare le energie e I talenti necessari alla competitività del sistema Paese”.
Lo Smart Working in Italia
Il dibattito mediatico sul tema dello Smart Working ha contribuito alla crescita di consapevolezza dell’importanza del fenomeno nelle aziende. Ma se si fa riferimento alla visione complessiva di Smart Working (cioè al modello che integra interventi sistemici su tecnologie digitali, policy organizzative, stili di leadership e comportamenti organizzativi e layout fisico) si nota come in Italia manchi ancora un approccio sistemico all’adozione. Il 67% delle organizzazioni infatti ha già avviato almeno un’iniziativa e, di queste, il 50% si è focalizzata su una o al massimo due leve di progettazione, mentre il 17% ha sviluppato piani che ne comprendono tre o quattro. Ma solo l’8% ha avviato un vero piano di Smart Working, collocando questi interventi all’interno di un progetto organico. Si tratta in prevalenza di grandi aziende con più di 500 addetti, che appartengono in maggioranza ai settori Alimentare, ICT e Telecomunicazioni e Manifatturiero. In prospettiva, però, i segnali sono positivi: nei prossimi due anni si ridurrà il numero di organizzazioni senza alcuna iniziativa (dal 33 al 18%) e quelle che faranno Smart Working salirà al 19%.
La maggioranza di interventi effettuati, riguarda l’introduzione di nuove tecnologie digitali, su cui il 59% delle organizzazioni ha attivato iniziative, seguite dalla formazione sugli stili di management (36%) e dalle policy di flessibilità riguardo a luogo/orario di lavoro (32%), destinate a crescere nei prossimi anni. La riprogettazione degli spazi fisici è ancora limitata a meno di un quinto delle aziende (19%).
Gli interlocutori più sensibili allo Smart Working in azienda sono i manager della direzione HR e nell’ambito Facility, seguiti dai CIO. Le principali motivazioni che stanno spingendo le aziende a orientarsi verso questi modelli di lavoro sono legate principalmente al benessere delle persone: il miglioramento del work-life balance (71%) e della produttività (56%), oppure l’incremento della motivazione (53%) e del benessere organizzativo (45%).
“Riconcepire l’organizzazione del lavoro attraverso lo Smart Working ormai appare necessario alla luce delle pressioni economiche, ambientali e sociali – dice Mariano Corso -. L’esperienza delle aziende che per prime si sono impegnate in questa trasformazione dimostra la necessità, per avere successo, di utilizzare un approccio multidisciplinare che coinvolga diversi interlocutori aziendali, come l’HR, l’IT il Real Estate e le stesse linee di business. Inoltre, ogni modello deve essere personalizzato sulla singola realtà, considerando che le tecnologie digitali sono spesso un fattore abilitante. Infine, non esistono scorciatoie: il cambiamento associato allo Smart Working richiede tempo, ma agendo contemporaneamente su cultura, stile di leadership e comportamenti delle persone, può avere un impatto profondo e duraturo sull’organizzazione e le sue prestazioni”.
Le tecnologie digitali
Le tecnologie più utilizzate per abilitare lo Smart Working in Italia sono quelle che supportano la collaborazione, la socialità e l’accessibilità delle informazioni, permettendo alle persone di lavorare in modo efficace a distanza e all’esterno della sede dell’azienda. Oltre a supportare e abilitare nuove modalità di lavoro, queste permettono di ridurre la sensazione di isolamento delle persone e di ridurre tempi e costi di trasferta.
Le tecnologie più diffuse sono quelle della Unified Communication & Collaboration, adottate già dal 70% delle aziende, in particolare infrastrutture VoIP e strumenti di webconference e instant messaging. Seguono le Mobile Business Apps, diffuse nel 51% delle aziende, anche se il numero di applicazioni accessibili da mobile è ancora molto limitato, e le iniziative Social, presenti in un quarto delle aziende. Un numero crescente di applicazioni si sta spostando anche verso il Cloud Computing, paradigma tecnologico fondamentale per garantire l’accessibilità a dati e applicazioni da qualunque luogo e con qualsiasi device.
Fondamentali per abilitare lo Smart Working sono i device mobili che rendono possibile accedere alle informazioni e lavorare anche al di fuori di spazi e orari di lavoro tradizionali: il 91% delle aziende ha introdotto smartphone, il 66% tablet (anche se in maggioranza per profili specifici all’interno dell’azienda), mentre è ancora limitata la diffusione degli ultrabook (44%)
Le policy organizzative
Metà delle imprese del campione ha già introdotto una qualche forma di flessibilità sugli orari (il 51% orario elastico, il 50% orario flessibile). Ma è molto meno diffusa la flessibilità sul luogo di lavoro: il 45% delle aziende applica la mobilità tra le diverse sedi e il 37% il telelavoro, nella stragrande maggioranza dei casi una soluzione limitata ad alcuni profili professionali o introdotta per soddisfare esigenze di specifici individui. Solo il 15% ha previsto postazioni di lavoro non assegnate.
La piena flessibilità nel definire in modo autonomo sia il luogo che l’orario di lavoro riguarda oggi solo l’8% delle aziende, anche se è evidente l’interesse di chi non ha ancora introdotto forme complete di flessibilità.
Stili di leadership e comportamenti organizzativi
L’adozione di tecnologie e policy organizzative da sola non è sufficiente per introdurre lo Smart Working. Per cambiare le modalità di lavoro in modo efficace bisogna agire anche sui comportamenti delle persone e sugli stili di leadership dei manager.
Secondo l’Osservatorio Smart Working, sono quattro i principi di leadership che è necessario adottare: 1) Sense of community, un modo di relazionarsi più aperto e collaborativo della cultura funzionale e gerarchica tradizionale; 2) Empowerment, un percorso a due vie tra capi e collaboratori di progressiva delega e responsabilizzazione; 3) Flexibility, adattare in modo dinamico le modalità di lavoro in funzione delle esigenze dell’individuo e dell’organizzazione; 4) Virtuality, poter scegliere dove e quando lavorare grazie all’ICT.
Lo Smart Office
Nei luoghi di lavoro attuali, in cui prevalgano ancora spazi tradizionali con uffici singoli, open space con postazioni assegnate e sale riunioni, si iniziano a diffondere anche altre tipologie di spazi come phone boot (spazi dedicati per le telefonate), concentration room e open space con postazioni non assegnate o prenotabili. Ma sono ancora poco diffuse le aree relax e di socializzazione a disposizione dei dipendenti.
“Se cambiano le modalità di lavoro delle persone, anche l’ufficio deve evolversi per supportare i lavoratori – afferma Mariano Corso -. Progettare lo Smart Office non vuol dire solo ridurre il numero delle postazioni per aumentarne il livello di utilizzo, ma ripensare il significato degli spazi di lavoro e la logica con cui vanno concepiti: non più ambienti unici e indifferenziati per tutte le attività, sia quelle che richiedono concentrazione che brainstorming creativi o telefonate riservate, ma un ufficio in cui il lavoratore trova risposte a esigenze diverse”.
Secondo l’84% dei responsabili delle Risorse Umane, la riprogettazione degli spazi dell’ufficio sarà orientata a favorire soprattutto la “collaborazione” (che richiede ambienti ampi e adeguata attrezzatura) e per il 67% la “comunicazione” (per cui serve isolamento acustico e confidenzialità). Mentre appaiono meno rilevanti le esigenze della “contemplazione” (ovvero spazi silenziosi e appartati per pause di lavoro e pensiero creativo individuale) e quelle di “concentrazione” (che richiede ambienti silenziosi e separati dagli altri ambienti).
Per l’ufficio del futuro sono fondamentali le tecnologie. Il Wi-Fi oggi è già presente nell’85% degli uffici, mentre sono molto meno diffusi i sistemi per l’ottimizzazione delle stampe (41%) e i sistemi di smart building (26%). L’acustica negli ambienti aziendali viene ancora poco presa in considerazione: solo il 13% delle iniziative ha preso iniziative in tal senso.
L’opinione dei lavoratori
Analizzando le modalità di lavoro degli impiegati, quadri o dirigenti di aziende di medio-grandi dimensioni (indagine realizzata in collaborazione con Doxa, attraverso una survey rivolta a 1.000 professional), si nota come anche per i lavoratori il legame “lavoro-ufficio” inizi ad essere messo in discussione, almeno nelle intenzioni. Il 57% dei professional dichiara che potenzialmente potrebbe lavorare almeno un giorno a settimana da casa e, più in generale, circa il 35% del loro lavoro potrebbe essere svolto all’esterno dell’ufficio. Nella realtà, il 51% lavora già in mobilità all’esterno della propria sede per almeno parte dell’orario di lavoro (anche se, nella maggior parte dei casi, per periodi molto limitati di tempo) e il 27% lavora da casa.
Quando si trovano fuori ufficio impiegati, quadri o dirigenti lavorano principalmente in altre sedi dell’azienda (nel 48% dei casi) o presso i propri clienti (47%). Iniziano però a diffondersi anche modalità di lavoro presso spazi di coworking (19%) e altri luoghi pubblici (16%) come bar, aeroporti e biblioteche. Nelle opinioni dei professional, il lavoro fuori dall’ufficio migliora soprattutto la soddisfazione e autonomia nello svolgimento del lavoro (49%), le occasioni di formazione e ampliamento delle proprie conoscenze (38%) e le opportunità di carriera e di crescita professionale (34%).
Quindi, tutti pronti a diventare Smart Worker? Non proprio. Analizzando la predisposizione culturale e organizzativa delle persone sulla base di comportamenti individuali, modello di leadership e attività svolte, i professional realmente candidati allo Smart Working (pronti cioè su tutte e tre le dimensioni) sono solo il 20% del campione. I principali ostacoli sono in particolare la scarsa prevedibilità e pianificabilità delle attività, lo scarso coinvolgimento nelle decisioni da parte del capo e la limitata autonomia nella definizione degli orari di lavoro.
Gli Smart Working Awards
American Express e Provincia Autonoma di Trento vincono gli Smart Working Awards 2014, il riconoscimento promosso dall’Osservatorio Smart Working con l’obiettivo di creare occasioni di conoscenza e condivisione dei progetti in questo ambito, consegnato in occasione della presentazione della Ricerca 2014. Due menzioni speciali sono andate a Unicredit eNestlé Italia.
“Lo Smart Working Award intende promuovere i casi delle aziende che si sono più distinte per capacità di innovare le modalità di lavoro in ottica ‘smart’ – spiega Mariano Corso –. I riconoscimenti ad American Express per il progetto Blue Work e alla Provincia di Trento per il progetto TelePAT costituiscono esempi di successo di applicazione dello Smart Working, che speriamo possano essere riprodotti anche in altre organizzazioni italiane”.
American Express con il progetto Blue Work ha permesso ai lavoratori della sede romana, in accordo con il proprio manager, di lavorare da casa o, quando presenti in ufficio, di utilizzare gli spazi lavorativi più consoni al tipo di lavoro da svolgere, con scrivanie attrezzate, aree di collaborazione per allineamenti formali e informali, sale riunioni e sale training. Con il passaggio alla nuova sede, a inizio 2015 alcuni spazi saranno dedicati a sale riunioni, ambienti per meeting informali e aree break, aree per la concentrazione, mentre la maggior parte delle postazioni sarà organizzate in open space prenotabili on-line. L’azienda è stata premiata “per la vision e l’approccio strutturato e sistematico seguito nell’implementazione del progetto che, lavorando su tutte le leve progettuali dello Smart Working, ha definito linee guida e policy differenziate in base alle caratteristiche delle persone e delle loro attività dotandole di adeguati strumenti digitali e curando la gestione del cambiamento a tutti i livelli aziendali con piani di change management diffusi”.
La Provincia Autonoma di Trento è stata premiata per il progetto TelePAT, che si è posto l’obiettivo sia di contenere e razionalizzare la spesa pubblica che di conciliare tempi di lavoro e di vita dei dipendenti attraverso il telelavoro. Due sono state le modalità: telelavoro strutturato a domicilio e in “tele centri” presso locali dell’amministrazione o forniti in comodato gratuito da altri enti o società, oppure telelavoro mobile, per dirigenti, direttori e personale con alta qualifica. L’ente è stato premiato per “la rilevanza dell’iniziativa in termini di persone coinvolte, l’approccio strutturato seguito e i concreti benefici ottenuti in termini di efficienza per l’ente, di conciliazione vita-lavoro per i dipendenti e la valorizzazione del patrimonio immobiliare della provincia tramite l’individuazione di sinergie territoriali con altre strutture pubbliche locali e l’utilizzo di spazi inutilizzati nei comuni del territorio”.
Una menzione speciale è andata a Nestlé Italia “per il percorso intrapreso nell’introduzione di iniziative di Agile Work a tutti i livelli e in particolar modo per l’esteso piano di change management recentemente realizzato in occasione del trasferimento nella nuova sede di Assago che si propone di creare una diffusa consapevolezza sulla modalità di utilizzo degli ambienti nel nuovo edificio, sulle policy organizzative e soprattutto sui comportamenti e gli stili di leadership Smart”.
E un’altra menzione speciale è stata assegnata a Unicredit per il progetto di Smart Working che, “partendo dalla ridefinizione degli ambienti fisici di lavoro di alcune sedi milanesi, ha permesso di ottenere significativi benefici nella razionalizzazione ed efficienza nell’utilizzo degli spazi e a cui si integra sia un percorso di leadershp coaching sui responsabili sia un progetto sperimentale attivato su 4 funzioni aziendali e riguardante la flessibilità di orario e luogo di lavoro”.