Secondo l’Osservatorio dedicato dal Politecnico di Milano per Smart Working si intende un modello che prevede – si legge nel Rapporto del novembre 2012 – “la riprogettazione congiunta di leve non solo tecnologiche, ma anche di natura organizzativa e gestionale, che possono essere raggruppate in tre categorie fondamentali: 1. bricks, ovvero il layout fisico degli spazi di lavoro; 2. bits, ossia la capacità di sfruttare le potenzialità delle tecnologie digitali per il ripensamento dello spazio virtuale di lavoro; 3. behaviours, in termini di stili di lavoro e policy organizzative, cultura del top management e comportamenti delle persone”.
Si tratta dunque di un modello che costituisce un tassello importante per generare quell’intelligenza collaborativa diffusa decisiva per la trasformazione delle aziende tradizionali in social organization: un nuovo modo di leggere le imprese che consente ad un vasto numero di persone di lavorare collettivamente valorizzando al massimo grado le singole riserve di competenza, talento, creatività ed energia. La creazione di valore sociale (che secondo McKinsey potrebbe sprigionare un valore economico pari a 1300 miliardi di dollari) passa attraverso la capacità di generare la cosiddetta mass collaboration, sfruttando le enormi potenzialità dei social media, attraverso l’istituzione di community collaborative, che vivano tuttavia anche “offline”.
Nel mio libro L’intelligenza collaborativa. Verso la social organization non a caso ho dato un rilievo importante allo Smart Working riprendendo e sviluppando fra l’altro il caso Heineken, che aveva vinto l’Award della School of Management relativo a questa categoria lo scorso anno. Ora, mentre il tema del lavoro e della necessità di ripensare profondamente la legislazione che lo regola sta diventando forse il tema centrale dell’agenda politica italiana, finalmente un progetto di legge approda in Parlamento proprio su questo argomento. Potrebbe essere un passo decisivo per cominciare a svecchiare una normativa del lavoro risalente all’Ottocento, così come auspicato anche dal Direttore del Centro Studi Internazionali e Comparati del Dipartimento di Economia Marco Biagi e di Adapt Michele Tiraboschi Michele Tiraboschi nella postfazione al mio libro.
Parliamo dunque di tutto questo con l’On. Alessia Mosca (PD), una delle tre firmatarie del progetto di legge, e con lo stesso Michele Tiraboschi.
MM.: Onorevole Mosca, come nasce il progetto di legge sullo smart working?
AM: L’idea nasce da un’esigenza femminile, anche se poi si è trasformata in qualcosa di più ampio. Per me era una sorta di “prosecuzione ideale” del percorso iniziato con la legge n. 120/2011: quella norma serviva a stimolare un cambiamento dall’alto, questa proposta ha l’obiettivo di cambiare, migliorando, la quotidianità di tutte le donne lavoratrici ma anche quella dei lavoratori. La conciliazione non deve più essere una questione declinata sempre e solo al femminile, solo quando sarà sentita come un’esigenza di tutti si potrà cominciare a parlare di un avvicinamento a una reale parità.
MM: Quali sono i suoi obiettivi principali?
AM: Il primo, fondamentale, obiettivo è quello di rendere il telelavoro uno strumento facilmente utilizzabile per l’azienda e per il lavoratore. Nonostante di fatto esistano già, questa e altre modalità di lavoro flessibile ad oggi raramente vengono utilizzate, a causa dei molti vincoli e restrizioni che ne disciplinano l’uso. Lo scopo di questa proposta è, innanzitutto, sciogliere questo nodo. In secondo luogo, mi piacerebbe che questa proposta contribuisse a un cambiamento sistemico nella nostra concezione del lavoro. La meta è il lavoro per obiettivi: dobbiamo smetterla di pensare che chi esce alle undici di sera dall’ufficio lavori per certo più di chi esce alle sei. Ciò che conta è la produttività, non il tempo trascorso nel luogo di lavoro. In Paesi come la Germania la produttività oraria è altissima e raramente la giornata lavorativa si conclude dopo le 18. L’esigenza di riappropriarsi di uno spazio “altro”, rispetto al lavoro, deve diventare un’esigenza di tutti: se continuiamo a considerare le donne come uniche destinatarie di politiche che permettano di occuparsi del lavoro e della famiglia allo stesso tempo, lo squilibrio nella distribuzione dei lavori di cura all’interno della famiglia rimarrà inalterato e, con esso, la disparità di genere della nostra società.
MM: Quali sono i punti qualificanti della proposta di legge?
AM: Il primo è la scomparsa della figura del “telelavoratore”: con questa proposta il lavoro fuori dall’ufficio diventa uno strumento fruibile in maniera “orizzontale” da tutti i lavoratori che svolgono mansioni compatibili. In questo modo, sarà possibile utilizzare questa flessibilità, ad esempio, un paio di pomeriggi a settimana o alcuni giorni al mese, a seconda delle esigenze di datore di lavoro e dipendente. Questa innovazione limita moltissimo il rischio di “esclusione” del telelavoratore dalle dinamiche interne dell’azienda (uno dei problemi dell’attuale formulazione del telelavoro). Un secondo elemento di innovazione è l’adattamento dello strumento alle nuove tecnologie: nel 2013 è possibile lavorare praticamente ovunque, grazie a device come smartphone e tablet. Per permettere questo, abbiamo cercato di intervenire anche in materia di sicurezza sul lavoro, per cercare di sollevare l’azienda dai molti costi che attualmente comporta la certificazione dell’ambiente preposto a uso lavorativo nel domicilio del telelavoratore. Siamo perfettamente consapevoli del fatto che non si tratta di un percorso facile, tuttavia siamo altrettanto determinati nel giudicarlo una tappa indispensabile nel percorso di modernizzazione del nostro Paese.
Veniamo adesso a qualche domanda tecnica più specifica, proposta da Michele Tiraboschi:
MT: Articolo 5, comma 1: posto che le tecnologie sono ormai sempre più agili, e la maggior parte delle persone possiede un personal computer, è ammissibile che il lavoratore, a sua richiesta, utilizzi anche strumenti propri? Se sì, il costo che l’Azienda risparmia in termini di installazione e manutenzione degli strumenti, può tradursi in un rimborso forfettario in favore del lavoratore a fine mese?
AM: Può essere una buona idea ma la proposta di legge non vuole entrare dentro questi aspetti, che dovrebbero essere rimessi alla contrattazione tra azienda e lavoratore, e non essere imposti dall’alto.
MT: Articolo 5, commi 2, 3, 4, 5, 6: Individuando la Direzione Territoriale del Lavoro come il soggetto competente in merito alla procedura per la valutazione circa la proporzionalità e pertinenza del controllo a distanza, non v’è il rischio che il sovrapporsi delle informative finisca per condurre ad un incontrollato meccanismo del silenzio-assenso (che scatterebbe dopo solo 45 giorni)? Non si rischia poi, in questo modo, di ridurre tale controllo a una pratica burocratica, allontanandola da chi, come il sindacato, in azienda è presente, e conosce gli strumenti di controllo utilizzati e i rischi ad esso connessi?
AM: Il meccanismo del silenzio assenso dopo 45 giorni dovrebbe consentire una verifica congrua. L’idea di non coinvolgere il sindacato nasce dall’esigenza di evidenziare che siamo in un’area di rischio diversa – e meno grave – di quelle tradizionalmente disciplinate dallo Statuto dei lavoratori. Ma su questo possiamo discutere senza preclusioni, nessuno vuole discutere il ruolo fondamentale del sindacato anche su questi temi.
MT: Articolo 5, comma 7: Si dice che la procedura di cui ai commi 2, 3, 4, 5 e 6 dell’articolo 5 equivalga all’autorizzazione richiesta dall’articolo 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300. Deve ritenersi dunque abrogato, rispetto allo smart working, il divieto di cui al comma 1 del citato articolo 4? Se sì, tale effetto abrogativo è valevole anche per il telelavoro così come descritto nell’articolo 3, comma 10 del decreto legislativo n. 81 del 2008 e nell’articolo 2 dell’Accordo Interconfederale del 9 giugno 2004 di recepimento dell’Accordo-quadro europeo sul telelavoro concluso il 16 luglio 2002?
AM: L’idea è quella di sostituire alle regole dell’articolo 4 una procedura più semplice, che valga solo per lo Smart working. Il telelavoro dovrebbe invece restare soggetto alle regole ordinarie (la distinzione tra le due fattispecie è spiegata all’articolo 1).
MT: Articolo 7, comma 1: Perché distinguere tra telelavoro e Smart Working? Quest’ultimo non è forse una specificazione del primo? Qual è dunque la sorte delle norme collettive, frutto dell’accordo tra le parti sociali, in materia di telelavoro mobile? Non v’è il rischio che il sindacato si senta in tal modo messo da parte?
AM: La risposta a questa domanda – assolutamente comprensibile – è semplice: lo Smart working vuole essere una forma semplificata di telelavoro, che dura meno di questo, espone a rischi minori e, per tale ragione, non può essere soggetto alle stesse regole. Il sindacato ha molte cose di cui occuparsi, non comprendo quale danno possa subire da una norma del genere.
MM: Michele, in conclusione mi sembra che la proposta di legge sullo Smart Working, vada finalmente nella giusta direzione. Cosa si potrebbe fare in concreto per dare un ulteriore contributo a coloro che, come Alessia Mosca e le altre due onorevoli firmatarie di questa proposta, si stanno adoperando per portare la discussione in atto sulla rivisitazione della legislazione del lavoro in Italia?
MT: Il “lavoro fuori dall’ufficio” è oramai esperienza sempre più comune e diffusa. Il tema è indubbiamente di crescente attualità, come dimostra anche il progetto di legge, e sostanzialmente ineludibile. Ma l’evoluzione della tecnologia, il suo impatto sul lavoro così come le mutate esigenze organizzative delle aziende impongono di rivedere in generale le regole del lavoro, soprattutto nell’ottica della loro semplificazione.
Tale processo non è tuttavia operazione agevole. Una vera semplificazione non riguarda tanto o soltanto la riduzione della quantità delle norme, quanto la loro qualità ed esigibilità. Per questa ragione una semplificazione efficace non potrà essere imposta dall’apparato politico-burocratico. Fondamentale è il pieno coinvolgimento di tutti gli attori sociali, in chiave sussidiaria e pluralista, perché plurali e profondamente differenziati sono i contesti produttivi, i territori e i mercati del lavoro da regolare e perché si pervenga alla più ampia condivisione, garanzia di successo ed effettività del processo. Ugualmente basilare è il contributo degli operatori, di coloro che applicano quotidianamente le regole del lavoro e che conoscono perciò nel dettaglio le criticità, le complicazioni e gli effetti, anche inattesi.
È con questa convinzione che il prof. Ichino ed io abbiamo lanciato il progetto “Semplificare il lavoro. Una proposta bipartisan per semplificare le regole del lavoro”. Con l’obiettivo di realizzare una proposta condivisa, lavoreremo non solo con i nostri rispettivi gruppi di ricerca, ma anche con uomini e donne di azienda, operatori del mercato del lavoro, consulenti legali, ricercatori e cultori della materia, oltre a confrontarci con le parti sociali e i soci di ADAPT per un loro imprescindibile contributo.
Certamente la proposta di semplificazione tratterà anche delle nuove modalità di organizzazione e di svolgimento della prestazione lavorativa, compresa la necessità di dare una nuova regolamentazione al lavoro da remoto, nelle sue diverse forme.
MM: On. Mosca, qualche osservazione finale?
AM: Aggiungo solo che la consultazione pubblica che abbiamo avviato prima del deposito alla Camera della proposta sta dando risultati molto incoraggianti. La stragrande maggioranza delle persone che ci hanno contattato lo hanno fatto per sottolineare il cambiamento che una reale flessibilità nell’organizzazione del lavoro porterebbe nella vita di tutti. Ci tengo a evidenziare che non solo le donne ma anche molti uomini hanno espresso questo pensiero, dando conferma dei ragionamenti che ho esposto in precedenza. Forte di questo consenso da parte dei lavoratori stessi, mi auguro che questa proposta possa trovare al più presto applicazione nella quotidianità delle aziende. Ovviamente l’ascolto non si ferma qui: noi rimaniamo a disposizione per commenti, suggerimenti e proposte che possiamo comunque integrare durante l’iter parlamentare della nostra proposta.