Per gli “HR hackers” l’intelligenza collaborativa rende l’organizzazione “adattativa”

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L'”Adattabilità“: colonna portante della social organization

Gli aficionados di questo blog ricorderanno che ad aprile, nel post Le social HR entrano nel mirino di Gary Hamel, segnalavo come lo studioso fosse partito con un nuovo Hackathon, ovvero una maratona online di cervelli per far nascere idee originali e progettare soluzioni innovative denominato Hacking HR to Build an Adaptability Advantage.

Ebbene: il gruppo di 1700 esperti ha concluso i lavori pubblicando il Report riassuntivo delle conclusioni cui è arrivato il team, dove troviamo numerose conferme delle tesi proposte nel volume L’intelligenza collaborativa e dallo Humanistic Management 2.0.

Il concetto stesso di “Adaptability”, ovvero la capacità dell’organizzazione di adattarsi al cambiamento continuo in maniera “automatica, spontanea e riflessiva”, su cui hanno lavorato gli “HR hackers”, sembra perfettamente in linea con quel modo di fare impresa, nuovo rispetto ai canoni tradizionali dello Scientific Management, non più adatti a offrire letture convincenti e strumenti operativi efficaci per la conduzione delle organizzazioni “mutanti” di oggi, che già 10 anni fa era stato proposto nel Manifesto dello Humanistic Management: “una visione alternativa di che cosa è il management. Quello che serve”, scrivevamo, “più che un nuovo paradigma, è un nuovo tipo di discorso, adeguato al continuo scorrere dell’azienda. Un discorso che ci parli di come si coglie l’emergere del nuovo, di come si impara a imparare, di come si è determinati dal mondo a cui apparteniamo e, allo stesso tempo, di come il mondo è (anche) frutto del nostro contributo”.

Il ruolo strategico della funzione HR

Proprio come affermiamo da tempi non sospetti, perchè l’azienda possa divenire “adattabile” è essenziale che la funzione HR divenga il catalizzatore del cambiamento. In che modo? Ad esempio, leggiamo nel Report, progettando e facilitando “i programmi di cambiamento” che si basano su un dialogo permanente con e fra tutti gli stakeholder interni ed esterni: occorre condurre l’azienda nella trasformazione in social organization sulla base di una visione strategica e non di iniziative episodiche.

Ancora, il ruolo della Direzione HR deve essere decisivo nel creare un ambiente abilitante l’emersione e la proattività degli agenti del cambiamento, siano essi giovani talenti o più esperti knowledge owner.

Si tratta infine di ridefinire i modelli di competenze e i sistemi premianti per valorizzare i contributi dati da ciascuno al raggiungimento degli obiettivi comuni attraverso il lavoro collaborativo, piuttosto che il perseguimento di risultati individuali come accade con i tradizionali MBO. Anche in questo caso, sembra di trovarsi davanti ad una traduzione quasi letterale del metodo descritto nel volume L’intelligenza collaborativa.

I nemici dell’adattabilità (e della social organization)

In questo quadro non sorprende che i nemici dell'”Adattabilità” coincidano con quelli della social organization. Vediamone alcuni.

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Il primo nemico degli HR hackers è la Gerarchia. Se questo è vero, scrivo ne L’intelligenza collaborativa, riprendendo alcune osservazioni di Emilio Bartezzaghi, l’utilizzo dei social media rappresenta l’occasione per realizzare una svolta radicale, una discontinuità nel percorso evolutivo delle organizzazioni. In altri termini, si tratta di capire che i social media – già affermatisi nella vita quotidiana di milioni di cittadini e consumatori – possono contribuire a creare le condizioni per cambiare radicalmente le organizzazioni e il lavoro, cioè per passare da modelli centrati sulla gerarchia, la frammentazione delle attività e il controllo, a modelli basati sulla collaborazione, l’elevato contributo delle persone e la partecipazione.

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Il nemico numero 2 identificato nel Report è la Paura. Qui troviamo una perfetta analogia con quanto scrivono Bradley e McDonald in The social organization: “I manager vedono i social media come una minaccia per produttività, capitale intellettuale, privacy, principio del comando e controllo, conformità alle normative e una miriade di altre cose. Del restonon a torto, perché la strada che conduce alla social organization implica la revisione radicale di tutto il modello operativo e mentale tradizionale (scientific management). Così scoraggiano e addirittura vietano l’utilizzazione di qualsiasi social media, all’interno e verso l’esterno”. Viceversa, per dirla con Frank Rose, il mondo del «command and control» si sta trasformando in quello del «sense and respond». Occorre essere sensibili a ciò che accade e reagire appropriatamente.

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La fossilizzazione su modelli mentali antiquati, che porta a richiudersi in ottuse posizioni di difesa ad oltranza dello status quo, è il terzo ostacolo all’adattabilità delle imprese. Qui siamo proprio nel cuore delle tesi proposte anche da noi: il problema consiste nell’affrontare un cambiamento che è culturale e cognitivo, prima che organizzativo e tecnologico. L’intelligenza collaborativa è l’unico antidoto alla stupidità diffusa alla base del tradizionale modo di operare delle imprese in cui si è pagati “per lavorare e non per pensare”.

I principi dell’organizzazione adattativa (e della social organization)

Ma se gli ostacoli allo sviluppo dell’organizzazione adattiva mostrano molte analogie con quelli che si oppongono alla trasformazione dell’azienda in una social organization, i “principi” fondativi dell’Adattabilità coincidono perfettamente con Le parole chiave dello Humanistic Management.

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I primi tre principi dell’Adattabilità ad esempio rimandano a quelli analoghi di:

Co-creazione del valore: in opposizione al tradizionale flusso top-down della catena del valore,  principio fondate della nuova economia social  è la co-creazione di valore che nasce dalla collaborazione orizzontale, conviviale,  da attuare all’interno dell’azienda e al suo esterno, con e fra tutti gli stakeholder;

Apertura: come afferma la Premessa al Manifesto dello Humanistic Management, “per capire il presente e  guardare al futuro occorre promuovere apertura mentale, autoanalisi e riflessioni individuali, coniugate alla capacità di trovare continuamente soluzioni originali, attraverso una maniacale attenzione al contesto, a ciò che sta fuori”. Ed è proprio il concetto di “apertura” il primo principio della nuova economia social, intesa anche come apertura dei confini organizzativi, fondata su trasparenza, condivisione di informazioni, opinioni ed esperienze con tutti gli stakeholder: clienti, partner, dipendenti, fornitori, comunità locali, associazioni, fondazioni. Presupposto per l’applicazione di questo principio, è un modello di management che annoveri la metadisciplinarietà fra le competenze diffuse nell’organizzazione”.

Autonomia: ovvero la libertà di agire da soli, di prendere decisioni senza la necessità di specifica direzione o di approvazione da livelli più elevati di gestione. Il Web ha dato agli individui gli strumenti che  consentono loro di agire in modo indipendente. Dove in passato la gestione è stata strutturata attorno al  modello del comando e controllo,  le aziende di oggi devono sapere esprimere un principio più profondo e più potente di libertà per gli individui nelle loro organizzazioni: libertà di connettersi, di dare un contributo, di creare, di scegliere, di accettare le sfide.

E’ esattamente quanto affermavamo già nel Manifesto dello Humanistic Management: “Le persone – si legge nell’Ottava Variazione Impermanente – cercano nel posto di lavoro un ambiente meraviglioso dove poter costruire qualcosa di nuovo, creativo, artistico, dove l’accoglienza, l’atmosfera, l’avventura siano garantite. Se dovessimo allora indicare un singolo fattore motivazionale cui riportare a un fondamento comune le due alternative, apparentemente antitetiche, indicate – una che muove dall’Umanesimo più estetizzante e inteso come territorio dell’armonia, degli equilibri, dell’uomo misura di tutte le cose, l’altra che scopre la versatilità umana, ambigua e tormentata, non nel perfetto corpo divaricato della famosa immagine leonardesca, quanto guardandone l’espressione corrucciata, tesa, insoddisfatta – esso potrebbe essere l’Autonomia, resa possibile da condizioni organizzative di Agio e dalla possibilità di realizzare la massima Autoespressione, valore umanistico per eccellenza”.

Adattativa fa rima con collaborativa

Mi fermo qui ma la morale mi sembra chiara: cosi come l’economia creativa (vedi la serie di post L’era aurea del management è adesso. Per chi ha intelligenza collaborativa) anche l’organizzazione adattiva fa rima con (e discende da) l’intelligenza collaborativa.

Come agire dunque per fare emergere il “tesoro nascosto” dell’intelligenza collaborativa aziendale? Noi di hitrea riteniamo che il cuore della risposta stia nella capacità di trasformare le funzioni verticali e le famiglie professionali tradizionali in comunità collaborative orizzontali e aperte alla partecipazione di tutti gli stakeholder interni ed esterni utili alla realizzazione di ben specificate value preposition.

Una impostazione che a livello internazionale si sta affermando. Lo dimostra un recentissimo articolo pubblicato su Wired, The Rise of the Enterprise Social Consultant, che elenca una serie di priorità su cui si stanno concentrando il 90% delle aziende top 500 di Fortune nella loro evoluzione in social organization. Fra queste spiccano, appunto come nella nostra offerta, il coinvolgimento in prima persona dei top manager nella definizione della strategia di cambiamento social, l’individuazione e lo sviluppo di community manager ed evangelist, l’allineamento di conversazioni interne ed esterne, la messa a punto di adeguati sistemi di governance (a partire dalla social media policy).

 

 

  • tiziano |

    Grande sintesi!
    quindi niente di nuovo ma importanti conferme della correttezza della linea già tracciata.
    non ci resta che provare a percorrerla a gran velocità

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