Nella prima e nella seconda parte di questo post abbiamo confrontato i primi sei principi chiave del “radical management” di Steve Denning (una sorta di “summa” di quello che hanno proposto sul tema della social organization i principali esperti internazionali negli ultimi anni) con gli assunti di base dello Humanistic Management 2.0. Rispetto alla sua definizione generale, le riflessioni di Denning ci aiutano anche a capire cosa significa tradurre in pratica il concetto di intelligenza collaborativa, che propongo nel mio ultimo libro. Concludiamo oggi questo percorso analizzando gli ultimi quattro principi proposti da Denning.
Nella Creative Economy, afferma Denning, vi è uno spostamento dalla focalizzazione sul profitto ottenuto tramite maggiore efficienza ed economie di scala alla centralità di un ventaglio più ampio di valori, che consente di ridurre i costi al tempo stesso generando innovazione e soddisfazione del cliente. La trasparenza radicale, l’innovazione continua e la sostenibilità diventano i valori primari dell’impresa.
Questo è un punto chiave anche dello Humanistic Management 2.0. La Quindicesima Variazione Impermanente sottolinea come il management
dell’impresa deve essere orientato all’etica della responsabilità. Un’etica che si interroga continuamente sulle conseguenze che le proprie azioni possono produrre nell’altro e sull’assunzione responsabile del rischi.
Perchè ciò avvenga, si spiega, occorre che “le persone diventino il centro di un capitalismo personale che chiede loro di investire su se stesse e a proprio rischio.
E le persone possono farlo solo se vivono in comunità epistemiche e pratiche (community, nel linguaggio della social origanization, ndr) che consentono loro l’esercizio di queste funzioni (riflessione, condivisione, correzione delle premesse, creazione di nuove identità).
Rischiare in maniera condivisa, dialogica, significa progettare insieme la propria interdipendenza, spiegando agli altri le ragioni del proprio modo di vedere i rischi e di assegnare significati.
Rischiare significa mutualismo e inclusione, non solo concorrenza.
Rischiare significa immaginare il possibile e l’imprevisto, dando un significato condiviso, spendibile sul mercato tecnico, economico, politico a queste produzioni immaginarie.
L’impresa che emerge dalla contemporaneità riflessiva è una unità in cui si assumono rischi, che sono stati dialogicamente giustificati dai soggetti che vi partecipano (sia pure in ruoli differenti), esistendo delle procedure e delle condizioni materiali che permettono alle persone coinvolte di riaprire il dialogo iniziale, di cercare nuove giustificazioni, di realizzare nuove ragioni per lo stare insieme (o lo sciogliere l’unione iniziale).
Anche per questa via si ribadisce la missione etica, che diviene allora imperativo, per chi ha potere decisionale e d’indirizzo, da porre a fondamento di qualsivoglia Vision: fare del sistema produttivo ‘impresa’ una comunità di lavoro, un convivio, uno ‘stare insieme per’.
Il senso dell’espressione è duplice. Intanto, lo stare insieme non è una semplice convivialità come quella di un gruppo di amici. Nel mondo vitale produttivo c’è la disciplina del fine da raggiungere, ben determinato negli standard, nei tempi, nella qualità, nella rispondenza al mercato. Ma c’è di più. C’è una finalizzazione personale; la consapevolezza del proprio apporto; il senso di pienezza della partecipazione e della contribuzione; la responsabilità riflessivamente condivisa. E questo è il per“.
Ed è esattamente quello che accade in una social organization. La quale è social nel duplice senso di partecipativa e finalizzata a promuovere utilità sociale (così come avevo già indicato qualche anno fa in un mio post sul tema della social innovation). Ovvero, recitava l’originale payoff di ideaTRE60, il primo social media dedicato ai progetti di utilità sociale da me progettato e avviato, fondata sull'”intelligenza collettiva per un mondo vitale” – un buon modo per definire l’intelligenza collaborativa.
Un esempio importante secondo Denning è Whole Foods Markets, dove l’impegno per raggiungere livelli sempre più elevati di sostenibilità in collaborazione con tutti gli stakeholder in totale trasparenza è fortissimo: l’impresa fornisce ai propri dipendenti tali e tante informazioni che la Securities and Exchange Commission ha designato tutti i dipendenti (circa 60.000) come “insiders”, cioè detentori di dati confidenziali, ai fini delle attività di compravendita finanziaria.
Dal comando alle conversazioni
Nessuna delle trasformazioni fino a qui descritte, afferma Denning, sarà possibile senza l’abbandono definitivo del Modello Comando e Controllo, che non riconosce il ruolo dei dipendenti come protagonisti dell’innovazione, si rivolge ai clienti in maniera uniderzionale, broadcasting, e non consente a fornitori e agli altri stakeholder di lavorare su una piattaforma collaborativa unica in base ad un autentico rapporto di fiducia reciproca. Ma questa non solo è una trasformazione cruciale, è un cambiamento a cui “resistere è inutile”, come direbbero i Vogon (spietata caricatura dei manager burocratici di cui abbiamo parlato in precedenza) di Guida galattica per autostoppisti. Viviamo ormai in una società dove si è ampiamente superato il concetto secondo cui “i mercati sono conversazioni”, profetizzato dagli autori del celebre Cluetrain Manifesto (1999): “immagini e conversazioni” sono divenute parti essenziali dei rapporti umani (cfr. La società della conversazione – Alice annotata 20).
In termini di social organization, la sfida cruciale, oggi, dopo che negli ultimi anni le aziende hanno spinto moltissimo sul social media marketing, consiste nell’allineare le conversazioni interne con quelle esterne, come spiego ad esempio in una intervista recentemente rilasciata al blog di Cisco Italia e nel corso di una conversazione con il Vice President europeo David Bevilacqua (vedi video). Cosa intendo dire? Una mia collega anni fa, mi diceva: “non si può essere incinta a metà: o lo sei o non lo sei. Al massimo puoi avere una gravidanza isterica, ma non è la stessa cosa”. Lo stesso vale per le imprese: non possono essere “social a metà”: 2.0 verso l’esterno e 1.0 verso l’interno. Ed invece proprio questa è la situazione schizofrenica in cui si trovano molte aziende. Al loro interno cresce così un grande isterismo, dovuto proprio ad un disallineamento fra interno ed esterno che ogni giorno che passa diventa sempre più evidente, ma che il management tradizionale non sa letteralmente come gestire.
E’ un concetto chiave espresso ne L’intelligenza collaborativa: “il mondo del «command and control» si sta trasformando in quello del «sense and respond». Occorre essere sensibili a ciò che accade e reagire appropriatamente.
Ma la sensibilità al nuovo è quanto di più alieno possa darsi per la mentalità degli epigoni di Taylor, ben descritta da Petrus, uno dei protagonisti del romanzo collettivo La Mente InVisibile: l’autore dei principi dello scientific management ha saputo dare consistenza (solidità, direbbe Bauman) in epoca moderna al «sogno dei costruttori di ordinamenti perfetti, di istituzioni totali, siano essi l’impero di Hammurabi o una cosca mafiosa: (quello) di poter disporre di sudditi perfettamente flessibili e del tutto autonomi, nel senso di semoventi, rispetto al compito e solo rispetto al compito. Sudditi religiosamente devoti oppure schiavi, iloti, meteci, liberti, servi della gleba, picciotti, operai manchesteriani, operai-massa, operai tayloristi, robot, manager integrati e integratori nella e della macchina organizzativa».
In questo quadro, Denning sottolinea l’importanza dell’autenticità delle conversazioni sviluppate all’interno della community aziendale: anche se, come abbiamo molte volte detto in questa sede, parlare di autenticità nell’ambito delle relazioni digitali può apparire arduo (vedi ad esempio L’Unità Impermanente degli opposti si realizza sui social network).
Dalla gestione della macchina organizzativa alla cura degli stakeholder
A fronte dell’autenticità fondativa di ogni social organization, in cui tutti gli stakeholder sono chiamati a contribuire alla creazione di valore aggiunto per i clienti, elemento distintivo del Management 1.0 è il sistematico tentativo di manipolare dipendenti, partner e clienti con qualsiasi mezzo pur di realizzare profitti. Denning ribadisce fortemente che il suo “radical management” e l’economia creativa rigettano il concetto di persone come “risorse” ovvero come pezzi intercambiabili della “macchina” organizzativa.
Questo vale a maggior ragione per lo Humanistic Management 2.0. In Nulla due volte riassumo la questione in questo modo:
“Per lo scientific management il contesto esterno è statico, semplice, strutturato; per lo humanistic management è dinamico, complesso,
destrutturato. Per il primo, a livello della produzione, i riferimenti sono la serialità, la standardizzazione, la specializzazione del
lavoro e delle mansioni; per il secondo l’originalità, la creatività, la metadisciplinarietà.
A livello dello scambio l’uno ha il mercato di massa, l’orientamento al prodotto e alla quantità; l’altro pone la relazione personalizzata con il cliente e con le community, l’orientamento al servizio e alla qualità.
Ciò sottende un modello cognitivo sottostante allo scientific management definibile
dal riduzionismo di ogni varianza,
dal timore dell’innovazione,
da una deresponsabilizzazione personale sul risultato finale,
dal trionfalismo funzionale, specchio della negazione sistematica della indispensabilità relazionale con l’altro;
un modello contrapposto alla valorizzazione della diversità,
all’apertura al futuro,
al coinvolgimento individuale sui rischi imprenditoriali da assumere e sui fini da perseguire,
alla ricerca dell’equilibrio fra morale individuale ed etica collettiva,
alla combinazione tra razionalità ed emotività,
al dialogo interfunzionale, effetto della cura di ciascuno verso il proprio autosviluppo e verso gli altri,
alla continua ricerca e donazione di senso:
tutte caratteristiche dello humanistic management [...]
Di conseguenza, metafore e modi di pensare l’impresa sono macchina, automatismo, piramide, sistema di significati prescritti e predefiniti contrapposti a sforzo collettivo e continuo di generazione di significato, mondo vitale, labirinto, testo, partitura musicale, rappresentazione teatrale o cinematografica, blog […]
Da tutto questo discendono due modi di concepire le
persone: risorse umane “unidimensionali” e interscambiali, cloni, simulacri e replicanti dickiani, irresponsabili e irriflessivi, ciecamente obbedienti, versus identità uniche e molteplici, soggetti “in divenire” e pertanto mutanti, per quanto consapevoli della propria “singolarità”, aperti al futuro e in “colloquio” con il mondo circostante, liberi in quanto capaci di vincolarsi a scelte responsabili.
Persone la cui più concreta caratterizzazione è data dal rovesciamento delle tesi classiche sul futuro sia dei critici – dal Charlie Chaplin di Tempi moderni a Jeremy Rifkin – sia degli apologeti – da Marinetti a Nicholas Negroponte – della società moderna.
Esse infatti condividono l’idea che le macchine, i computer, finiranno con il surrogare il lavoro umano, uccidendone lo “spirito”, rinchiudendo il “fantasma nella macchina”, per usare una immagine metaforica mutuata da Arthur Koestler, che si riferiva ai rapporti mente-corpo (e ripresa anche dai Police in un loro famoso disco, Ghost in the machine, appunto, dove proclamavano: We are spirits in the material world). In realtà, la massima potenza tecnologica richiede di liberare il “fantasma nella macchina”, ovvero una sempre maggiore valorizzazione delle conoscenze intangibili e della creatività degli individui”.
Le analisi di Denning accennano poi ad un altro tema, che è stato sviluppato in particolare ne Le Aziende In-Visibili (cfr. l’Episodio 99, The sunny side of your storytelling life): vanno superate quelle modalità di storytelling 1.0, oggi molto in voga, tese semplicemente a imbellettare la Verità che nei sistemi tradizionali a cascata deve permeare dall’alto in basso tutti i livelli aziendali (ancora oggi in grandi organizzazioni che pure vantano la loro capacità innovativa sono applicati sistemi di comunicazione denominati proprio “Cascade”, che non esisterei a definire goebblesiani, se non fosse che ormai sono solo ridicolmente retorici, cfr. Convention vecchie e nuove in tre atti).
Da miglioramenti episodici a un cambiamento di paradigma nel management
La profondità e l’ampiezza dei cambiamenti sopra descritti giustificano secondo Denning (e anche secondo me) l’affermazione che stiamo assistendo ad una “rivoluzione copernicana” nel management. Come Joseph Bragdon ha scritto in Profit for Life (2006): “Ci stiamo finalmente rendendo conto del fatto che le aziende non sono il centro del nostro universo economico, con le persone e la Natura che orbitano intorno a loro. In realtà è vero il contrario”.
Sono meno d’accordo con Denning quando egli sostiene che l’insieme di principi, pratiche, atteggiamenti, valori e credenze fino a qui descritti costituiscano nel loro insieme un “nuovo paradigma”. Come ho scritto nella Premessa al Manifesto dello Humanistic Management:
“Esistono storicamente due versioni di paradigma: la prima, esposta alle tentazioni di un pensiero forte, vede il paradigma come una verità sovrastante e onnivora; la seconda è invece più vicina all’etimologia del termine, a un uso classico, prescientifico: quello che ne faceva Tucidide, per il quale il paradeygma indicava l’esempio che il maestro offre ai suoi discepoli per sostenere una certa tesi, senza per questo elevare se stesso a paradeygma (a modello di virtù o d’azione). Il paradigma, in questa accezione, è un modesto supporto analogico per aiutare i discenti a comprendere meglio ciò che l’esperienza, la storia e i saperi vogliono dirci. Insomma, troppo forte il primo significato, troppo debole il secondo.
Meglio allora passare dal paradigma (che è comunque statico, chiuso, non evolutivo per definizione) a un nuovo discorso, che, con Lyotard, potremmo definire «semplicemente narrativo» e fondato «su un modello legato ad idee di equilibrio interno e convivialità». Un discorso in grado di cogliere concetti originali che possano tradursi in pratiche inedite e più adeguate al continuo scorrere, nel senso eracliteo, del fiume della vita e all’evidenza che la dimensione umana, per nostra fortuna, si sottrae a ogni contenimento concettuale: perché anche quello aziendale è un “mondo vitale”, al cui centro sta l’individuo”.
Un individuo che, come cerco di mostrare nel percorso segnato in Nulla due volte, deve poter esprimere la propria intelligenza collaborativa in un ambiente abilitante online e offline, creato e mantenuto dalla cura di tutti, a partire dai top manager, come ho scritto anche in Il Top Manager come Content Curator (è proprio la cura, infatti, la quinta “C” del cambiamento illustrato ne L’intelligenza collaborativa. Verso la social organization).
La creazione e lo sviluppo di questo ambiente abilitante l’intelligenza collaborativa di tutti gli stakeholder è senza dubbio oggi possibile, anche mettendo a frutto e a sistema le esperienze di aziende eccellenti che stanno cominciando a lavorare su alcuni, se non tutti, i dieci processi di trasformazione che abbiamo elencato seguendo l’esempio di Denning in questo post. E se è vero, come è vero, che il passaggio da un paradigma statico (per quanto di “radicale” cambiamento) ad un discorso narrativo e conviviale è l’ultimo elemento necessario per ottenere questo obiettivo, credo sia utile riprendere un breve apologo borgesiano, che avevo già proposto nel 1997 nel terzo numero di Hamlet.
Forse più di ogni altro argomento o esempio di tipo tecnico, economico, “manageriale” in senso stretto (o meglio, tradizionale), aiuta a capire come saranno le organizzazioni del (prossimo) futuro e come la strada per arrivare al traguardo (che è di tipo strategico e non banalmente tattico) richieda ancora molto impegno, dedizione, volontà:
“Il remoto re degli uccelli, il Simurg, lascia cadere in mezzo alla Cina una piuma splendida; gli uccelli risolvono di cercarlo, stanchi della loro antica anarchia. Sanno che il nome del loro re significa trenta uccelli; sanno che la sua reggia è nel Kaf, la montagna o cordigliera circolare che cinge la terra. Al principio, per paura, alcuni si scherniscono: l’usignolo allega il suo amore per la rosa; il parrocchetto la sua bellezza, che gli è ragione di vita ingabbiata; la pernice non può prescindere dalle colline, nè la gazza dalle paludi, nè il gufo dai ruderi.
Alla fine, si lanciano nella disperata avventura; superano sette valli, o mari; il ponte del penultimo è Vertigine; l’ultimo si chiama Annichilimento.
Molti pellegrini disertano; altri periscono nella traversata. Trenta, purificati dalle proprie fatiche, toccano la montagna del Simurg. Lo contemplano finalmente: s’accorgono che essi stessi sono il Simurg e che il Simurg è ciascuno di loro”.
3 – Fine
La prima parte di questo articolo si trova qui: L’era aurea del management è adesso. Per chi ha intelligenza collaborativa
La seconda parte di questo articolo si trova qui: L’era aurea del management è adesso. Per chi ha intelligenza collaborativa (parte seconda)