Dalla teoria alla pratica
Dopo la ricca anteprima realizzata in apertura della giornata dedicata alle Social HR dal Digital Festival, il 18 maggio alle ore 12.30 presenterò ufficialmente al Salone del Libro di Torino il volume L’intelligenza collaborativa. Verso la social organization. E’ un’opera che sintetizza l’esperienza maturata in questi ultimi anni sia come docente universitario sia come manager e consulente, oltre che come giornalista per NOVA100. E’ un lavoro di cui sono, non lo nascondo, particolarmente fiero, anche se naturalmente spetterà ai lettori giudicarne il valore.
Mi limito quindi qui a dare solo qualche indicazione introduttiva a quella che si propone come una vera e propria Guida strategica ed operativa per Top Manager e Direttori HR impegnati nella sfida della trasformazione della propria azienda (pubblica o privata che sia) in una social organization.
Più esattamente il libro si articola in tre parti, anticipate da una Introduzione ai concetti chiave del management 2.0. Nella Prima vengono descritte le cinque fasi necessarie per realizzare la trasformazione organizzativa a livello strategico. Nella Seconda viene indicato come deve cambiare la funzione Risorse Umane per adeguare politiche e processi di gestione e sviluppo alle logiche del lavoro collaborativo. Nella Terza sono presentati i principi e valori chiave attorno ai quali edificare i nuovi comportamenti diffusi, le nuove competenze, i nuovi stili di leadership 2.0. Nella sua Postfazione Michele Tiraboschi sottolinea come “questo sia un libro che dovrebbero leggere tutti gli appartenenti alla classe dirigente italiana, a partire dai politici”.
Ogni capitolo è accompagnato dalla testimonianza di un manager per certificare che il processo di cui stiamo parlando non solo è realizzabile anche in Italia, ma è già una realtà in aziende lungimiranti che hanno saputo anticipare il cambiamento. Iniziative gratuite come quelle promosse da Hitrea, Cisco e ADP che si svolgeranno nelle prossime settimane (la prima il 29 maggio a Vimercate, tutti gli interessati a partecipare possono farlo cliccando qui), servono a mostrare, in particolare ai responsabili delle funzioni HR, cosa significa in pratica tutto questo.
Cosa è l’intelligenza collaborativa?
Il concetto di intelligenza collaborativa si presta particolarmente bene a descrivere l’essenza del lavoro nelle social organization ispirate ai principi dello Humanistic Management 2.0 (si veda per esempio J.R.Hackman, Collaborative Intelligence: Using Teams to Solve Hard Problems, San Francisco, Berrett-Koehler Publishers, 2011) e può contribuire al superamento/integrazione di concetti ormai abusati come intelligenza collettiva (si vedano: P. Lévy, L’intelligence collective. Pour une anthropologie du cyberspace, Paris, La Découverte, 1994; P. Lévy, Collective Intelligence: Mankind’s Emerging World in Cyberspace, New York, Plenum Presse, 1997) e intelligenza connettiva (con cui de Kerckhove ha adattato la definizione di Levy al contesto tecnologico delle reti, mirando alla connessione delle intelligenze quale approccio e incontro sinergico dei singoli soggetti per il raggiungimento di un obiettivo).
Come è bene evidenziato nella pagina dedicata di Wikipedia, l’approccio incentrato sul concetto di intelligenza collaborativa nelle scienze sociali valorizza l’esperienza e la specificità individuale. Nella prospettiva dell’intelligenza collaborativa le priorità potenzialmente conflittuali dei soggetti interessati e l’intreccio di interpretazioni differenti dei fenomeni scaturenti da approcci disciplinari diversi («metadisciplinarietà» nel linguaggio dello humanistic management) sono fondamentali per la soluzione dei problemi.
In questo quadro aggiungo che il concetto di intelligenza collaborativa, nell’accezione proposta nel libro, ingloba anche quello golemaniano di intelligenza emotiva, data la fondamentale importanza dell’empatia – si vedano i Capitoli 12 e 14, rispettivamente dedicati a engagement e convocazione – nei processi di lavoro collaborativo. Processi che, come ricorda nel suo commento al Capitolo 4 Paola Cavallero di Nokia, e in coerenza con il modello organizzativo dello smart working e con quello sociologico del sensemaking (Weick), si possono svolgere solo in un ambiente abilitante adeguato sia online sia offline: un ambiente quindi fatto di spazi fisici e virtuali, di valori condivisi, di logiche e processi orizzontali e non verticali ecc..
In parole più semplici, si tratta di sostituire, con quella che propongo di chiamare intelligenza collaborativa nel senso sopra indicato, la stupidità diffusa che è al tempo stesso la vera colonna portante dello scientific management e la causa principale della crisi economica in cui ci dibattiamo da anni. Del resto, che altro esito può avere un modello basato sul fatto che la maggioranza delle persone è pagata per “lavorare e non per pensare”? Lo spiega bene Antonio Pascale in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera («Un giusto tasso di stupidità può far bene all’ufficio?», 16 gennaio 2013):
“Nei recenti disastri economici che riguardano corporation, banche e parte del mondo finanziario tra gli imputati c’è la stupidità. Ovvero, la tendenza da parte dei manager a non farsi domande di ampio respiro, concentrati come sono sulle speculazioni contingenti… Speculazioni, bassa capacità di correlare i dati rispetto a un insieme più ampio? Sì, proprio così. Stupidità. (Per questo) tutto il sistema di lavoro novecentesco sta andando in crisi. La produzione era (ed è in parte ancora) basata su ripetizioni, ordini, irreggimentazioni coatte. Tuttavia, oggi, un oggetto per acquistare valore sul mercato deve contenere una certa dose di innovazione. Per innovare è necessario essere creativi. Per essere buoni creativi non si può essere soli, bisogna sapere confrontarsi, integrare i propri dati con quelli di altre persone, adattarsi al nuovo, rischiare… A ognuno la sua parte, le idee fanno sesso. Sarà un cambiamento difficile, vecchie mansioni andranno a spegnersi, però c’è la possibilità che non la stupidità sarà l’arma vincente ma la creatività, quella diffusa e organica e solidale”.
Il cambiamento è adesso
Per quanto difficile, il cambiamento è però ormai avviato e credo sia irreversibile. Il tempo dell’economia delle Istituzioni Totali, «omologata agli standard produttivi delle grandi imprese, con la grande distribuzione al loro servizio, la pubblicità che orienta i consumi e crea stili di vita uniformi», che «produce un’umanità funzionalizzata, ugualizzata nei medesimi bisogni e nelle medesime aspirazioni: in una parola, confluisce in una medesima cultura» elevando «il conformismo a virtù civile» (G. Zagrebelsky, «La solitudine dell’articolo 1», la Repubblica, 3 febbraio 2013) è ormai al tramonto. Mentre il “tesoro nascosto” del lavoro collaborativo (valutato in un celebre report di McKinsey in 1300 miliardi di dollari) è lì che ci aspetta: dobbiamo solo portarlo alla luce. Operazione ormai possibile, come dimostrano le case history contenute nel libro e raccontate da testimoni di assoluta eccellenza:
David Bevilacqua, VP Sud Europa Cisco (Commento al Primo Capitolo, L’assessment organizzativo e culturale)
Emanuela Bonadiman, World Wide Human Resources Director Gucci (Commento al Secondo Capitolo, Mappare e strutturare le Community)
Giuseppe Addezio Direttore HR Pirelli (Commento al Terzo Capitolo, Scegliere la piattaforma collaborativa)
Paola Cavallero, AD Nokia (Commento al Quarto Capitolo, Il team per il cambiamento e un nuovo modello di leadership)
Gianluca Spina, Presidente Mip (Commento al Quinto Capitolo, Definire il ROI del lavoro collaborativo)
Antonio Migliardi, Direttore HR Telecom Italia (Commento al Sesto Capitolo, Employer Branding 2.0: come creare la Community dei futuri talenti d’impresa)
Giancarlo Campri, Direttore Personale e Organizzazione HERA (Commento al Settimo Capitolo, Recruitment online: come creare una Community multicanale e transmediale)
Fabio Bernardi, Direttore HR Ottica Avanzi (Commento all’Ottavo Capitolo, La Comunicazione Interna 2.0 per trasformare i dipendenti in collaboratori)
Gianluca Ventura, Direttore HR Europe Vodafone (Commento al Nono Capitolo, Dalle Famiglie Professionali alle Learning Community)
Paolo Cornetta, Direttore HR Unicredit (Commento al Decimo Capitolo, Linee guida per una Social Media Policy)
Giovanni Bossi, Amministratore Delegato Banca Ifis (Commento all’Undicesimo Capitolo, Co-generazione)
Luca Valerii, Direttore HR Microsoft (Commento al Dodicesimo Capitolo, Coinvolgimento)
Mario Perego, Direttore HR Heineken (Commento al Tredicesimo Capitolo, Convivialità)
Nicola Palmarini, Manager Digital Marketing & Brand Systems IBM Italia, (Commento al Quattordicesimo Capitolo, Convocazione)
Roberto Zecchino, Direttore HR Europe di Bosch (Commento al Quindicesimo Capitolo, Cura).
Postfazione di Michele Tiraboschi, Direttore del Centro Studi Internazionali e Comparati Marco Biagi dell’Università di Modena e Reggio Emilia e coordinatore del comitato scientifico di Adapt.