Social Media for Nurses, ovvero “Social Media per infermieri”, è il titolo di un nuovo libro pubblicato negli Stati Uniti che mostra come stanno radicalmente cambiando i rapporti fra operatori sanitari e pazienti grazie all’uso di social network quali Facebook, Twitter e LinkedIn. “I pazienti stanno diventando nostri colleghi”, arriva a sostenere l’autrice Ramona Nelson. Poiché i pazienti utilizzano con sempre maggiore frequenza i social media per accedere all’assistenza sanitaria e per auto-diagnosi, il rapporto paziente-operatore sanitario sta cambiando. Il primo passo di questo cambiamento è avvenuto quando i pazienti hanno ottenuto l’accesso alle informazioni mediche online. Ora si sta aggiungendo la potenza del crowdsourcing, il che significa che non solo il settore sanitario ha a che fare con pazienti più istruiti, ma che i pazienti possono collaborare all’interpretazione delle informazioni, diventando, in un certo modo, membri del proprio staff medico.
Deriva estrema e persino pericolosa dei principi di apertura, co-generazione del valore, collaborazione tipici della nuova Social Economy? Ognuno è naturalmente libero di pensarla come crede ma è innegabile che si tratta di un fenomeno in piena crescita e, ritengo, irreversibile. Altri indizi? Il fatto che si cominci a parlare di Social Hospital (vedi The Birth of the Social Hospital) e che casi di eccellenza come quello del Boston Children’s Hospital (citato anche da Morgan nel suo The Collaborative Organization), dimostrino come logiche e strumenti della Social Organization si applichino perfettamente nel contesto ospedaliero.
Ricordo che per Social Organization si intende un nuovo modo di fare impresa che consente ad un vasto numero di persone di lavorare collettivamente valorizzando le singole riserve di competenza, talento, creatività ed energia. Un adeguamento tanto più necessario oggi che “finalmente anche l’Italia ha posto al centro degli interventi politici quelli relativi all’innovazione digitale…Ma l’Agenda Digitale di un Paese resta lettera morta se le imprese, motore del progresso e dell’economia, non la declinano in propri obiettivi e priorità di trasformazione”[1].
In questo quadro, la classe dirigente delle imprese italiane, con poche eccezioni, pare abbastanza frastornata: sembra aver capito l’urgenza di abbandonare i modelli gerarchici e burocratici dello Scientific Management e di affrontare la sfida di una trasformazione organizzativa ispirata agli antitetici principi dello Humanistic Management 2.0[2], ma, in buona sostanza, dopo cento e più anni di abitudine al modello del Comando e Controllo, non sa letteralmente come affrontarla. Preferisce quindi adottare la strategia dello struzzo o, nel migliore dei casi, se ne lava le mani derubricandola a questione tecnica da fare gestire ai responsabili ICT.
Una situazione analoga caratterizza anche l’impatto del web 2.0 sul mondo della sanità. Sia pure a macchia di leopardo, si stanno definendo linee di intervento quali:
integrare e rendere interoperabili i dati e i servizi ospedalieri, in particolar modo rappresentati dalla cartella sanitaria, con quelli creati e gestiti all’esterno dalle strutture ospedaliere (dai medici di base, nel domicilio, dalle case di riposo…). In questo modo è possibile creare per ogni cittadino e cittadina una singola cartella sanitaria;
creare social network per gli operatori sanitari (come ad esempio DottNet[3]);
abilitare iniziative di social networking per il coinvolgimento attivo dei pazienti da parte delle aziende ospedaliere o delle USL. Un esempio molto interessante è quello della Azienda USL di Bologna, che ha aperto un account Twitter e una pagina Facebook[4] nel 2011. Che ha fatto tendenza, se il Garante della Privacy è arrivato a stendere delle Linee guida in materia di trattamento di dati personali per finalità di pubblicazione e diffusione nei siti web esclusivamente dedicati alla salute il 25 gennaio 2012.[5] Una rassegna interessante di come in generale si sta muovendo il mondo del farmaceutico la si trova su slideshare (Social Pharma 2012).
È quindi in atto una profonda rivisitazione dei processi di interazione fra gli enti pubblici e suoi stakeholder esterni (pazienti, medici, comunità locali, eccetera) in ottica 2.0[6]. Non molto diversamente da quanto sta accadendo nel settore privato, manca ancora però un intervento decisivo: il miglioramento dei processi di integrazione, condivisione e sviluppo delle conoscenze all’interno delle strutture pubbliche in una logica “social”. Solo una azione determinata che vada in questa direzione può consentire:
1.Un ingente ritorno in termini di efficienza grazie all’aumento della produttività, determinata dall’utilizzo delle nuove Tecnologie Sociali che semplificano le attività, velocizzano i processi e allineano i comportamenti, abbinata alla diminuzione dei costi infrastrutturali (molte tecnologie 2.0, come ad esempio la piattaforma collaborativa Yammer, sono utilizzabili spesso anche gratis e sono comunque molto più “leggere” delle tradizionali architetture ICT. Certo, come ribadisco anche in una recente intervista per Business People sul tema della Wikinomics, non si deve cadere nell’illusione tecnocratica che basti distribuire un po’ di Social Software per fare diventare magicamente una realtà burocratica, dominata dal modello Comando e Controllo, sclerotizzata da pastoie e procedure, e via dicendo, in una Social Organization);
2.un incremento dell’efficacia, grazie ad un migliore utilizzo delle conoscenze e delle competenze disponibili, nonché al maggiore coinvolgimento personale delle risorse umane.
[1] School of Management del Politecnico di Milano, L’Agenda Digitale delle imprese, Novembre 2012, p. 6
[2] Cfr.: http://www.marcominghetti.com/
[3]Cfr.: http://www.dottnet.it/PagineEsterne/dottnet.aspx
[4] https://www.facebook.com/AziendaUslBologna
[5] G.U. 42, 20 febbraio 2012: http://www.garanteprivacy.it/garante/doc.jsp?ID=1870212
[6]
Esemplare di queste tendenze è stato il workshop Social network e strumenti innovativi in Sanità (13.11. 2012) di cui si può vedere il video qui: http://www.ustream.tv/recorded/26961388.