L’autorevolezza dell’altro
Trasformare una azienda tradizionale in Social Organization, ovvero metterla in condizione di entrare nella Social Economy, significa, fra le molte altre cose, porre con forza il tema della leadership, che cambia profondamente natura e si esplica attraverso modalità completamente differenti dal passato (ne abbiamo parlato in La social organization –parte quarta e HR 2.0? Una social media strategy per le risorse umane. Parte settima. Dalla famiglia professionale alla learning community). Vorrei oggi insistere sul fatto che, come sostiene anche Gary Hamel, in un contesto di questo genere le gerarchie sono naturali, non prescritte. Nelle Community che costituiscono il fulcro delle nuove organizzazioni basate sulla collaborazione emergente, “ci sono alcuni individui che ottengono più rispetto e attenzione di altri e di conseguenza hanno più influenza. Questi individui tuttavia non sono stati nominati da una qualche autorità superiore. Invece, il loro peso riflette l’approvazione liberamente data dei loro collaboratori”. Un leader 2.0 è dunque un leader di servizio, un servant leader, come ci ricordava Björn Negelman, non avendo nessun potere di comando o sanzione.
Ciò di cui Hamel parla (senza saperlo) è della convocazione come componente essenziale della leadership 2.0. Il riferimento è al Potere di convocazione concettualizzato da Piero Trupia, che così viene definito nella Nona Variazione Impermanente del Manifesto dello Humanistic Management: “La convocazione è invito attivo; è suscitamento dell’iniziativa discorsiva dell’altro, a partire dal riconoscimento di principio della sua autorevolezza in quanto altro. È lo sviluppo di relazioni dialogiche, che si prendano carico non solo di usare utilmente un rapporto dato, ma di costruirne/ricostruirne le premesse. La cognitivizzazione del lavoro organizzato, definitivamente sancita dall’avvento di Internet, rende ancora più plausibile questo modo di intendere l’organizzazione. Nel simposio aziendale del XXI secolo, il modello generale di creazione e diffusione della conoscenza è la relazione a rete, in cui gli attori si legano, tramite strumenti condivisi, in network specifici di comunicazione. Tutto ciò però non deve lasciare in secondo piano la rilevanza del faccia a faccia. Poiché il lavoro cognitivo non si concentra in luoghi fisici designati, tendenzialmente separati dalla società, è difficile immaginare che, in quanto tale, possa agire come nucleo di processi di aggregazione sociale. È significativo che la possibilità della teleconferenza non abbia determinato la fine dei viaggi d’affari. C’è un rapporto funzionale stretto tra comunità virtuale e cenacolo fattuale. Quelle virtuali non sono comunità ma semplici collegamenti – non di rado maniacali – se non generano o se non sono complementari al contatto diretto, al lavoro gomito a gomito”.
L’arco e la pietra
In grande sintesi, possiamo dire che, in un sistema produttivo conviviale, si è convocativi se si sa suscitare l’iniziativa discorsiva e operativa dei collaboratori chiamati alla realizzazione di un progetto. Sotto questo profilo i social media sono un luogo perfetto (se si riesce a valorizzarli come mondi vitali) in cui esercitare il potere di convocazione. Un potere che esiste da quando esistono comunicatori efficaci, ovvero coloro che sanno attivare la comunicazione di altri: Gesù, Kennedy, Mandela, per esempio. Il convocatore è colui che sulla base di un’idea forte sa aprirsi agli altri con l’ingenuità del principe Myskin, l’idiota, facendoli aprire a loro volta al dialogo. Alla stessa stregua, un bravo community manager (o l’amministratore delegato in quanto manager della community formata dall’azienda nel suo complesso) è essenzialmente un simposiarca digitale, un socratico maieuta dotato di una value proposition in grado di far emergere il talento individuale ponendolo al servizio dell’intelligenza collettiva.
La differenza che passa fra l’ordine di servizio, con cui ai dipendenti di un’organizzazione tradizionale viene ordinato di partecipare a un team di progetto, e la value proposition, con cui il community manager attira a sé i talenti d’impresa necessari a realizzare gli obiettivi del lavoro collaborativo, rispecchia la differenza fondamentale fra il potere di convocazione e le altre forme di leadership: si costruisce nell’esercizio, anzi nel tentativo di esercitarsi. Le altre forme di potere invece – il prestigio, la tradizione, l’autorità ecc. – sono pre-dati: sono già costituiti prima del loro esercizio. Di pre-dato nella convocazione c’è solo la volontà di mettersi in gioco. Il prestigio viene esibito, l’autorità esercitata: la convocazione discorsiva viene costruita nell’interazione e in cooperazione con il convocato. «Il ponte non è sostenuto da questa o da quella pietra, ma dalla linea dell’arco che esse formano», Calvino docet: è proprio la costruzione di relazioni solide e interattive tra chi è parte dell’azienda a costituire il primo passo per il lavoro di squadra prima, il raggiungimento degli obiettivi d’impresa poi (vedi alla voce engagement).
Il potere del tagging
Per calare questo discorso in pratica, consideriamo lo strumento del tagging così come utilizzato normalmente dagli utenti di Facebook. Come è noto, «taggare» una persona, per esempio su una nota, significa coinvolgerla personalmente, direttamente e individualmente. In teoria si tratta di note dove «si parla di te» (particolare che rivela la tendenza originaria di Facebook a premiare il narcisismo dei singoli), ma in realtà è diventato un modo per chiedere un parere diretto e personale a un singolo individuo su un tema che sta a cuore al redattore della nota. Poiché il numero di tag per nota è limitato, essere taggati significa essere scelti, essere convocati.
Proprio come vuole Trupia, il significato di convocazione qui adottato non è quello giuridico (l’inglese to summon); né quello dell’Antico Testa- mento per cui Dio chiama i profeti a una missione di annuncio, di giudi- zio, di testimonianza. Sui social media si è convocativi se si sa suscitare l’iniziativa discorsiva e operativa dei collaboratori chiamati alla realizza- zione di un progetto. Il Gesù Cristo dei Vangeli è l’esempio più luminoso di leadership convocativa. Il leader convocativo è colui che esercita la sua capacità attraverso l’espressività linguistica intesa in senso ampio: parole, discorso, atteggiamenti e comportamenti. A differenza del demagogo, non usa un linguaggio universale e massificante, ma sa interpretare la diversità degli interlocutori che chiama (convoca) a sé.
La sfida, indicata nella Nona Variazione citata in precedenza, consiste nel saper realizzare questo particolare tipo di leadership in un frame come quello di Facebook o di una piattaforma collaborativa di enterprise 2.0, che per molti aspetti si presta proprio alla massificazione, alla distruzione di un’autentica alterità, spacciata per individualismo (la «faccia» che viene messa in primo piano, che se non viene interpretata si appiattisce in un frame omologante). Un sistema di relazioni si può infatti definire convocativo solo se la parte della vita attiva in esso trascorsa non è mera erogazione ergonomica in cambio di un salario, bensì palestra per la realizzazione personale e occasio- ne di esperienza comunitaria. In una parola, mondo vitale. Lo humanistic management non stimola, induce, prescrive e controlla comportamenti, da premiare o punire. Suscita iniziativa. Convocazione è infatti attivazione del protagonismo dell’interlocutore. E su Facebook piuttosto che su Chatter o IBM Connections, anche grazie ai tag, questo funziona.
Scrittura collettiva
Devo ancora a Trupia la segnalazione di come il potere di convocazione sia stato fondativo anche di un altro progetto importante dello humani- stic management, la scrittura del romanzo collettivo Le Aziende InVisi-bili: «Un aspetto sorprendente e pacificante del romanzo a colori è l’unità di tono di tutte le voci dei pur disparati racconti, nell’incredibile fiera delle meraviglie delle biografie degli autori: età, background culturale, vocazione, professione che più diversi non potrebbero essere. Né si può dire che ci sia stato un brief e una tutorship pregnanti e pressanti dell’autore degli autori, Marco Minghetti. Questa espressione, autore degli autori, trova giustificazione nel fatto che alcuni dei partecipanti all’avventura letteraria, una minoranza, erano autori in senso tecnico, scrivevano per un pubblico. Gli altri coltivavano arti, mestieri e professioni quanto mai disomogenei e lontani dalla scrittura narrativa: astronauta, teologo, ban- chiere, politico, pubblicitario… una vera corte dei miracoli professionale, un’accozzaglia casuale e improbabile di personaggi, accorsi al suono di un magico piffero ma con la sola promessa, questa volta, di scrivere il loro racconto e tornare alle abituali occupazioni. Non si può negare che ci sia stata convocazione. Su due terreni: la suggestione di partecipare a un gioco dove non si vince nulla se non l’affrontare una sfida, misurandosi con un compito né facile né usuale, e l’inserirsi in quella carovana che in un tempo lontano unì due città magiche, quella dei Dogi e quella di Kublai Khan».
Apofàtica e catàfatica della convocazione
Vorrei concludere questo capitolo con qualche riflessione su quelle che Trupia definisce rispettivamente apofàtica e catàfatica della convocazione, mostrando rapidamente come alla prima corrispondano una serie di atti linguistici ascrivibili alle modalità comunicazionali tipiche della moder- nità solida, dell’organizzazione gerarchica, dello scientific management; mentre la seconda si attaglia perfettamente agli stili comunicazionali di una social organization.
Apofàtica
Cominciamo dalla prima. L’apofàtica è un procedimento logico per negazione (per esempio la teologia apofàtica ci dice ciò che Dio non è) e per quanto attiene alla convocazione Trupia indica i seguenti cinque gruppi di azioni comunicative non-convocative:
al primo gruppo appartengono atti comunicativi che hanno in comune movimenti invasivi verso il locutario, o tendenze a passivizzare l’altro predeterminandone le risposte. Comprendono
seduzione, condurre l’altro verso sé;
induzione, immettere qualcosa nella mente e nell’animo altrui;
conduzione, portare altri passivamente nel proprio mondo,come fanno per esempio il conduttore televisivo o, nella forma esasperata, il duce, il führer, il conducator.
il secondo gruppo comprende azioni comunicative di chi esercitando il potere indirizza l’altro che subisce, come accade per:
la guida, che indica la via, precedendo;
A quest’ultimo proposito, è interessante notare che nelle aziende tese alla trasformazione in social organization si registra un’interpretazione del mentoring del tutto nuova rispetto a quella tradizionale descritta da Trupia. Con il «Reverse Mentoring»6, IBM mette a disposizione dei dipendenti un programma di mentorship per il trasferimento delle competenze e know-how, dove il mentor deve essere più giovane e avere un’anzianità aziendale inferiore del mentee, ma possedere abilità tecniche forti e saperle trasferire. Con il percorso «Formazione dirigenti di agenzia» Banca Popolare di Milano ha integrato la formazione per i titolari di sportello con una sezione, rivolta alle persone con più di 50 anni, tenuta da un docente-collega coetaneo che racconta il proprio percorso professionale;
il terzo gruppo di azioni comunicative non-convocative riguarda il lavoro svolto sul locutario per trasformarlo, in modo da renderlo soggetto al potere del locutore. Rientrano in questo gruppo:
la manipolazione, che trasforma il carattere assoggettandolo;
l’influenza, che agisce sui convincimenti dell’altro per mutarli a proprio vantaggio;
l’istigazione,che spinge all’azione l’altro, declinandone la responsabilità.
Rientrano in questa fattispecie tutte le varie tipologie di mobbing, patologia tipica dei modelli organizzativi fondati sul comando e controllo;
il quarto gruppo è caratterizzato dalla capacità del locutore di limitare o annullare le energie e la capacità di decisione del locutario. Comprende:
la fascinazione, che riduce le energie del locutario;
l’incantamento, che annulla la capacità di autonomia del locutore, il quale si limita alla contemplazione estatica del locutario;
l’ipnosi, anche in termini figurativi, che crea dipendenza fisico-psichica.
Come a dire: dallo scientific management a Scientology il passo è breve. Lo conferma Federico Rampini commentando l’articolo di David Collinson «Prozac Leadership»: «i top manager che ci hanno imposto la religione dell’ottimismo hanno somministrato l’equivalente di uno psi- cofarmaco […] Addentrandosi nelle regole del management che hanno dominato per molti decenni, l’autore ha trovato le cause scatenanti del crac del 2008. Alla radice, c’è un ordine gerarchico e una cultura del co- mando che premiando l’ottimismo e scoraggiando il pessimismo hanno indebolito la capacità di pensare criticamente» (Pessimisti è meglio, la Repubblica, 20 dicembre 2012);
L’ultimo gruppo di azioni comunicative non-convocative ha per oggetto la «chiamata al futuro» del locutario, chiamata che può avere la forma del fato, come nell’oracolo; dell’impegno e della testimonianza morale, come nel profetismo; della trasformazione ipotetica della realtà, come nel progetto, specie politico, ispirato alla volontà di potenza. In generale, l’atto linguistico non-convocativo viene detto da Trupia «revocativo» (e le tracce semantiche che lascia nel discorso «segnali di arresto», in opposizione alla traccia semantica convocativa in atto che denomina «segnale d’invito»). Tipicamente revocativi sono tutti i classici errori che vengono commessi da communty manager inesperti, quali:
Credere di avere il controllo sulle persone e le conversazioni
Attaccare i propri detractor
Voler moderare i commenti, censurando quelli sgraditi
Non dare delle risposte chiare e trasparenti
Rispondere a tutti commenti negativi
Usare un tone‐of‐voice spersonificato e da comunicato stampa.
Catafàtica
L’apofàtica della convocazione è quindi integrata con la catafàtica. Il giu-dizio catafàtico è un processo logico, opposto all’apofàtico, perché procede per affermazione. L’aspetto catafàtico della convocazione viene sintetiz- zato da Trupia in cinque classi di atti linguistici convocativi in base alle cinque variabili classiche – locutore, messaggio, locutario, codice, canale – di cui si avvale il locutore.
Atti linguistici convocativi (A.L.C.) del locutore
La caratteristica della convocatività risiede nell’utilizzare forme comunicative performative aperte, nel senso che il loro effetto performativo – una certa risposta linguistica o comportamentale del locutario – non è né automatica né obbligata, esattamente come avviene nelle interazioni sui social network o attraverso i social media. Nella tassonomia di Trupia, gli A.L.C. del locutore presentano una forma enunciativa, vocativa e imperativa, che si sottopone, esplicitamente ed effettivamente, non formalmente, alla convalida del locutario. Per esempio, «Vi prego di credere…», «Faccio affidamento sulla vostra comprensione…» ecc.: si tratta di espressioni che si differenziano nettamente dalle forme retoriche, le quali mancano di convocatività, poiché la risposta è scontata («Potete facilmente con- statare che…», «Ditemi voi se non è così…»). Atti linguistici perfettamente calzanti con uno stile di community management caratterizzato da quella capacità di «guidare dal centro» tipica della social organization che, declinata in pratica, prevede per esempio:
status update «sexy»,possibilmente corredati di immagini o video,in grado di attirare valutazioni positive, commenti e condivisioni;
profili estremamente curati sui social network o sulle piattaforme collaborative interne;
utilizzo strategico delle tag;
poca pubblicità (se parliamo di una brand community) o retoric aziendalistica (se parliamo di una community interna) e molti contenuti;
un accurato bilanciamento fra strategia push e pull nella gestione dei contenuti;
la conoscenza approfondita dei membri della community, in particolare dei detractors e degli advocates. Trupia a questo proposito cita, dal Giulio Cesare di Shakespeare, come esempio di convocazione il discorso di Marcantonio sulla tomba di Cesare, basato sulla cono- scenza intima del suo pubblico, contrapposto a quello revocativo di Bruto, basato su astratte formule retoriche.
Atti linguistici convocativi del messaggio
Presentano la forma generale di un testo aperto a una valutazione del locutario – afferma Trupia – con una modalizzazione che può essere epistemica (vero/falso) o di altro valore categoriale (etico, politico, estetico ). Per esempio: «Questi sono i fatti, a voi giudicarli», «Il problema è aperto. Lascio a voi decidere…», «Faccio appello all’attiva partecipazione dei presenti, per dipanare una matassa che si presenta tra le più intricate» ecc. Queste sono anche for- me (benché se plasmate dal «Twitter style», rapido e conciso) che con- notano la comunicazione in rete e con cui tipicamente vengono declinate le value proposition create all’interno di una social organization.
Atti linguistici convocativi del locutario
Per Trupia in questo atto linguistico convocativo il locutario è l’interlocutore reale e concreto a cui il messaggio è rivolto e, come tale, è presente all’interno del messaggio con qualcosa che parla di lui, che ne evoca un contenuto mentale, emotivo, esperienziale, fino alla situazione-limite dell’assunzione totale del mondo del locutario da parte del locutore. Coerente con questo assunto è l’avvertenza, che viene spesso data a chi si occupa di community management, di variare spesso la tipologia di contenuti postati, per veni- re incontro alle diverse modalità di apprendimento di ciascun membro della community. C’è chi sarà più sensibile alle immagini, chi a documenti scritti, chi a file audio. In ogni caso è essenziale sapere ascoltare e al tempo stesso sollecitare le capacità comunicazionali dei membri del gruppo (la cui attivazione si tradurrà in like, condivisioni, commenti), non diversamente da come, utilizzando per esempio la tecnica del mirroring, fa un terapeuta ponendosi nella disponibilità di ascolto più totale. Nell’esempio di Trupia:
Locutario: «ogni sera ritorna in casa e già prima di aprire la porta, mi immagino la scena: sempre la stessa, da più di dieci anni ormai».
Locutore: «Dieci anni!».
In un certo senso, scrive Trupia, con quell’aggiunta del punto esclamativo, il locutore «certifica» la profondità della propria attenzione; non diversamente da quanto avviene nelle conversazioni online attraverso l’uso delle emoticon.