“What is the use of a book without pictures or conversations?”: questa domanda che apre orizzontalmente le avventure di Alice si incrocia con la questione che le percorre verticalmente. Which way, which way, si chiede continuamente Alice, davanti alle porte della hall al termine del cunicolo sotterraneo in cui è caduta, così come nel bosco dove incontra lo Stregatto ed in tanti altri momenti, continuamente preda di quel disorientamento che forse è la cifra più emblematica della contemporaneità (giusto il titolo del celebre volume collettivo curato da Celati nel 1977 Alice disambientata).
Perché? La risposta è semplice: nei labirinti di Wonderland così come in quelli della contemporaneità non esiste una strada predefinita. La tua strada, la strada che passa per la definizione della tua molteplice identità, la devi costruire da solo. Wonderland è così fortemente avvertito come un labirinto (da cui Carroll era affascinato, fin da giovane ne produsse numerosi) specchio della contemporaneità che ad esempio i realizzatori del film Labyrinth – Dove tutto è possibile (regia di Jim Henson con David Bowie, 1986) ammisero diverse influenze, fra cui, oltre ad Alice nel Paese delle Meraviglie, Il mago di Oz e le opere di Maurice Sendak e di M. C. Escher. “Il tema della ricerca è frequentemente utilizzato nel genere fantasy, sia letterario che cinematografico, con risultati alterni. Non è infatti semplice sviluppare in modo interessante e profondo un viaggio, spesso finalizzato alla ricerca di un particolare oggetto dai poteri speciali, che coincida con il percorso iniziatico del protagonista. Uno dei modelli del cammino alla scoperta del Sè è quello che accosta il mondo “reale” (inteso come quotidiano) a uno “fantastico” (inteso non come “irreale”, in quanto la realtà può essere soggettiva, ma piuttosto alternativo a essa). In campo letterario, gli esempî più conosciuti di questo modello sono indubbiamente Il Mago di Oz di L. Baum e Alice nel paese delle meraviglie di L. Carroll: in entrambi la protagonista attraversa una serie di riti di passaggio, scoprendo sé stessa e alcune verità del cammino esistenziale tramite il mondo fantastico nel quale viene temporaneamente a trovarsi. È dunque evidente la similitudine fra questi classici della letteratura fantastica e la trama di Labyrinth, a essi chiaramente ispirato, che sviluppa e arricchisce temi analoghi.Lo scopo di Sarah, ragazza in bilico fra infanzia e adolescenza, è quello di attraversare il Labirinto per ritrovare il fratellino rapito da Jareth, Re dei Goblin; un’ardua impresa, dato che il Labirinto è un regno in continua trasformazione, colmo di sorprese, e la coraggiosa ragazza dovrà superare non poche prove. Raggiungere il centro del Labirinto significherà anche conquistare una nuova consapevolezza di sé stessa”[i].
Più esplicitamente potremmo ricordare che dal 1992 a Disneyland Paris è disponibile un’area chiamata Alice’s Curious Labyrinth, creato intorno a personaggi e scene del film; in particolare riproduce lo stesso labirinto in cui si muove la Regina Rossa nella versione cinematografica. In tempi più recenti è stato realizzato un gioco in 3D che porta a percorrere tutti i livelli del viaggio di Alice per raggiungere l’uscita e risvegliarla dal Paese delle Meraviglie. Disponibile solo in inglese, Alice in Labyrinth pesa 8,5 MB e si scarica per 1,59 € dall’App Store. Ancora, merita una citazione la mostra tematica itinerante Nel Labirinto di Alice, ideata dai Bibliotecari del Gruppo Promozione ZEROVENTI, per conto dell’Associazione Culturale Liber.arti di Brescia[ii].
Credo sia bene ricordare a questo punto che i labirinti non sono tutti uguali. Il labirinto è una struttura antichissima: è un oggetto universale, diffuso praticamente ovunque. Lo dimostra l’attento studio mitologico di Kereny (Nel labirinto 1941) che ne rintraccia le coordinate geografiche con dovizia di collegamenti tesi a dimostrare la sua sostanziale archetipicità. Come oggetto simbolico, infatti, il labirinto si presta a rappresentare il mondo con una forza ideografica tale da poter essere applicata a più livelli dell’esistenza umana.
E’ stato Giovanni Sartori, ad esempio, a ricordare lo straordinario virtuosismo di Norberto Bobbio “nel puntualizzare il proprio modo di intendere il mondo, riassumendo in tre metafore le tre possibili interpretazioni della storia: la mosca nella bottiglia, il pesce nella rete, il labirinto. «Nella prima – ricorda Sartori citando Bobbio – il compito della filosofia è insegnare alla mosca a uscire dalla bottiglia: questa metafora lascia intendere che una via d’uscita esiste e che c’è uno spettatore, il filosofo, che sa dove questa uscita di trova. Diversa è l’interpretazione della storia contenuta nella metafora del pesce nella rete, che si dibatte per trovare una via d’uscita, ma la via d’uscita non c’è e lui non lo sa. Noi uomini, si chiede Bobbio, siamo mosche nella bottiglia o pesci nella rete? Né l’uno, né l’altro, risponde: la condizione umana può essere raffigurata meglio con una terza immagine, da lui prediletta, quella del labirinto: crediamo di sapere che una via di uscita esista, ma non sappiamo dove sta. Non essendoci nessuno al di fuori di noi che può indicarcela, dobbiamo cercarcela da soli. Ciò che il labirinto insegna non è dove stia la via d’uscita, ma quali sono le vie che non portano da nessuna parte»[iii].
Ancora, non è difficile scorgere la struttura essenzialmente labirintica della celeberrima Biblioteca di Babele borgesiana, con tanto di corridoi e incroci, disposta in modo multiplanare ed infinito. Qui rientra la metafora globale di mondo come libro e come labirinto di cui è impregnata la cultura moderna (e su cui spesso si è soffermata l’analisi di intellettuali come Umberto Eco, il quale ha ampiamente utilizzato questo motivo anche in qualità di romanziere nel suo Il nome della rosa), che può essere estesa all’universo delle organizzazioni sociali, e a quelle aziendali in particolare. In questo senso (e riprendo qui alcune osservazioni più estesamente sviluppate ne L’Impresa shakespeariana, ETAS, 2002), labirinti, testi e imprese possono essere ricondotti ad una tipologia schematica come la seguente:
1° TIPO: unicursale, è il labirinto classico, ad un solo corridoio che si avvolge a spirale e non ha biforcazioni, dove non ci si può perdere. Si può immaginare come una fune avvolta su sé stessa. L’esploratore entrerà e uscirà senza possibilità di errore. Dal punto di vista narratologico un racconto o un romanzo sono unicursali: vanno dall’inizio alla fine senza possibili deviazioni. Da questo punto di vista le versioni “cartacee” dei libri di Alice non fanno eccezione. Nella storia del management, questo andamento mono-direzionale e deterministico corrisponde all’impostazione tayloristica, alla fabbrica fordista, alla catena di montaggio.
2° TIPO: ad albero, è il labirinto manierista, a più corridoi che si dipartono da incroci. Anche qui una sola è la via per giungere al centro, ma si incontrano vari rami, ed il navigatore, terminata l’esplorazione del ramo, dovrà tornare indietro, proseguire fino al prossimo bivio, eventualmente esplorare il nuovo ramo e così via. E’ questo il caso del labirinto che Disneyland a dedicato ad Alice. Eco paragona questo tipo di labirinti ai libri-gioco, in cui il lettore si identifica con il protagonista e passa da un punto all’altro del libro a seconda delle scelte che il testo gli impone di effettuare. Nelle aziende questa duplicità comincia ad affermarsi con le organizzazioni matriciali, dove di volta in volta la persona è posta davanti ad una scelta fra le direttive provenienti dal referente gerarchico e da quello funzionale, ben raramente coerenti fra loro. Tipico il caso di una multinazionale composta da più Divisioni che riportano ad una Corporate. Ogni Divisione è autonoma per quanto riguarda la gestione corrente, ma deve ricevere l’approvazione della Corporate per le scelte strategiche fondamentali. In questo contesto, i responsabili delle singole funzioni di Corporate hanno autorità nei confronti delle funzioni omogenee delle Divisioni, le quali rispondono però gerarchicamente al Capo Divisione. Chiunque abbia sperimentato la realtà di questo modello (in teoria assolutamente chiaro) sa bene che moltitudine di problemi ci si trova ad affrontare quando una Corporate con la sede a Roma o Milano, spesso senza alcuna competenza su business specifici e realtà geografiche distanti dall’Italia, vuole assoggettare al teatrino dei piani e dei comitati per l’uniformazione di procedure unità organizzative che sono impegnate in business magari assai diversi fra loro in Cina, in Africa o in Australia.
3° TIPO: a rizoma, è il labirinto moderno, dove i corridoi sono tutti potenzialmente in collegamento in una rete di relazioni che non presuppongono l’unicità del percorso, ma la sua molteplicità. Rispetto al precedente ha dei passaggi trasversali da un ramo all’altro. In questo labirinto ci si può perdere, l’esploratore rischia di rimanere intrappolato. Come accade nei videogiochi, che in larga misura altro non sono che labirinti interattivi: ad esempio Alice: Madness Returns [iv], videogioco per Microsoft Windows, PlayStation 3 e Xbox 360, pubblicato nel giugno 2011. Come apprendiamo da Wikipedia “è il sequel del videogioco American McGee’s Alice, uscito nel 2000 per Windows e Mac. Il gioco è liberamente ispirato alle opere di Lewis Carroll, Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie e Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò”.
Quella rizomatica è la struttura dell’enciclopedia secondo Eco, che si riflette anche in quelle organizzazioni che hanno proceduto ad una decisa azione di appiattimento organizzativo ed in cui alla gerarchia sono via via andate sostituendosi, almeno in parte, altre modalità di integrazione come le task force e i team di progetto.Siamo comunque anche in questo caso nell’ambito di un universo chiuso, dove ancora sono ben chiari i confini fra ciò che sta “dentro” e ciò che sta “fuori” l’impresa. In aziende di questo tipo, ad esempio, la comunicazione si identifica con il processo di creazione e scambio di messaggi, mirati al conseguimento di scopi specifici, tra unità organizzative contraddistinte da relazioni gerarchiche o funzionali (comunicazione interna) ovvero tra queste ultime e l’ambiente (comunicazione esterna).
Alla tipologia sopra esposta, la realtà del mondo contemporaneo consente di aggiungere un quarto tipo, qualitativamente diverso dagli altri, dove “il labirinto si dice in molti modi” e “non esclude i tipi precedenti, ma li contempla come fasi provvisorie e momenti parziali della propria mobile realtà” [v]. Se il pensiero che rivolgiamo al labirinto è quello che presuppone un solo viaggiatore (Teseo, nella leggenda) e un solo percorso, il labirinto di quarto tipo si caratterizza come “polivoco”, per la caratteristica molteplicità delle visioni possibili al suo interno.
Evidentemente questo quarto modello rappresenta meglio di ogni altro lo strumento narratologico post-moderno per eccellenza: l’ipertesto, connotato dalla mancanza di una linea guida ben precisa, oltre che dalla scomparsa della direzionalità dell’ordinamento gerarchico. E nei modelli organizzativi, così come in quelli sociali, politici e pedagogici, stiamo compiendo un graduale passaggio da labirinti gerarchici a labirinti diffusi, da strutture rigidamente canoniche a strutture decentrate: “Quasi ogni momento della vita contemporanea (lavoro, tempo libero, informazione, fruizione della realtà urbana) è segnato infatti da una forte presenza di eventi comunicativi non organizzati, non sequenziali, dispersi: si potrebbe dire paradossalmente, ma non tanto, che la vita di ogni giorno si svolge all’interno di un macro-ipertesto, costituito da televisione, radio, giornali, pubblicità, dove è fondamentale orientarsi e scegliere il percorso giusto per recuperare la misura della propria posizione nel mondo”[vi].
Questo passaggio è chiaramente rilevabile nel mondo aziendale. Rispetto alle premesse organizzative che sono comuni ai primi tre modelli descritti, oggi se ne sono affermate di nuove, quali:
• è sempre più difficile stabilire chi sta dentro e chi sta fuori dall’organizzazione;
• è necessaria la condivisione, da parte delle persone, del processo di generazione dei significati;
• è più rilevante la socializzazione orizzontale del know-how che la divisione verticale del lavoro;
• come negli ipertesti tutto è fluido, temporaneo e modificabile, nelle imprese attuali strutture, ruoli, compiti non sono mai completamente definiti, sono sempre in progress.
Per questi motivi le organizzazioni fortemente centralizzate entrano in crisi. Nelle imprese il problema diviene l’organizzazione delle conoscenze dopo la messa in crisi dei consueti metodi. Si tratta di un difficile problema di ordine strategico (poiché richiede un ripensamento integrale sia delle linee guida con cui sviluppare innovazione sia della intera cultura d’impresa, a partire dai modelli organizzativi e dalle modalità di gestione), ma che richiede anche una forte innovazione sul piano degli strumenti tecnici messi in campo. Lo sviluppo rapidissimo del web 2.0 rende sempre più urgente affrontare questi aspetti. Tipica contraddizione delle aziende che non hanno ancora ben capito come orientarsi è quella per cui in moltissimi casi le imprese creano pagine o gruppi su Facebook, cui poi impediscono l’accesso ai propri dipendenti, ostacolati da Firewall insuperabili. Credo che vietare (spendendo un bel po’ di quattrini per ottenere questo bel risultato) a chi lavora per te di diventare tuo fan sia veramente un messaggio deflagrante e un chiaro sintomo della confusione mentale in cui versano i burosauri dello scientific management, purtroppo ancora saldamente ancorati nei principali posti di comando (e controllo) sia nelle aziende sia negli altri gangli vitali della nostra società (a partire dalla politica, sotto questo profilo assolutamente bipartisan)!
Ecco allora che la riflessione su Alice può tornare utile. John Fisher, parlando della passione per i labirinti che si manifestò precocemente in Carroll, ricorda un episodio assai significativo: “Carroll frequentemente ha disegnato percorsi intricati per le sue piccole amiche… Così Giorgina Watson, chiamata familiarmente Ina, avrebbe raccolto le indicazioni delle lettere che formavano i nomi delle due sorelline, Hartie e Mary, prima di raggiungere la meta designata dal proprio nome.”[vii] Come dire: per “conoscere te stesso” devi fare uso della tua intelligenza esplorativa, accettando, come insegnava Bobbio, i rischi legati alla ricerca di itinerari sempre nuovi per accedere a forme continuamente diverse ed evolutive di conoscenza, che passano anche e soprattutto attraverso la mappatura e l’aggiornamento della tua rete di relazioni sociali (social networks).
Allo stesso modo, a livello collettivo, rischio diffuso e accesso condiviso costituiscono nel mondo contemporaneo gli architravi di una organizzazione esplorativa, che, attraverso l’azione degli attori che la popolano, non conserva un ordine dato, ma che si mette in condizione di rigenerare di volta in volta – ed anche pericolosamente – un ordine emergente dal basso, dalle iniziative plurali dei molti soggetti e dei molti gruppi, e soprattutto un ordine cui sono i soggetti stessi a conferire senso e validità.
Alice annotata 7. Continua
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[iii] http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/18/BOBBIO_verita_nel_labirinto_co_0_991018711.shtml
[vii] Cit. pag. 26.