La mappa e il territorio – Alice annotata 6

What is the use of a book without pictures or conversations?”, si domanda innanzitutto Alice. E così mentre precipita (“Down, down, down. Would the fall NEVER come to an end!”), il suo primo istinto è quello di provare a fare un disegno, una mappa mentale del luogo in cui si trova:

“`I wonder how many miles I’ve fallen by this time?’ she said aloud. `I must be getting somewhere near the centre of the earth. Let me see: that would be four thousand miles down, I think–‘ (for, you see, Alice had learnt several things of this sort in her lessons in the schoolroom, and though this was not a VERY good opportunity for showing off her knowledge, as there was no one to listen to her, still it was good practice to say it over) `–yes, that’s about the right distance–but then I wonder what Latitude or Longitude I’ve got to?’ (Alice had no idea what Latitude was, or Longitude either, but thought they were nice grand words to say)”.

Un istinto ancora una volta straordinariamente contemporaneo. Thomas G. West ad esempio ha  scritto un bestseller intitolato Thinking Like Einstein: Returning to Our Visual Roots with the Emerging Revolution in Computer Information Visualization.[i] West indaga i nuovi modi del pensiero visivo, dell’intuizione, della creatività resi possibili dalla computer grafica e dalle tecnologie di visualizzazione delle informazioni. Egli sostiene che, con la rapida diffusione dei computer economici e potenti, siamo all’inizio di una transizione importante, che ci sta facendo passare da un mondo vecchio basato principalmente su parole e numeri a un nuovo mondo in cui il lavoro di alto livello in tutti i campi è basato sulla visualizzazione e la manipolazione di informazioni complesse utilizzando le immagini del computer in movimento. Thinking like Einstein… and Alice!

Annota Maurizio Ferraris su La Repubblica del 14 maggio 2011: “Declina la carta, trionfano le carte… Oggi accendi la tv e scopri che quella scatola che ospita parole e immagini in movimento (corsivo mio)… è una giungla di scritte, carte e diagrammi. Poi apri un libro, che è mediamente molto più pieno di illustrazioni di quanto non avvenisse un tempo, con schemi, grafici, figure…  Jennifer Egan ha vinto il Pulitzer con A visit from the Goon Squoad, un romanzo che contiene una settantina di pagine il cui formato è quello delle slides di PowerPoint”. E prosegue sottolineando come il successo del pensiero per immagini attuale è in realtà un ritorno al futuro della tradizione filosofica occidentale, che dai presocratici arriva ad Hegel, passando per il grande discepolo di Platone, Aristotele, secondo cui “l’anima non pensa mai senza immagine”.[ii]

Ecco dunque[iii] che Alice, avviandosi a stendere il resoconto delle sue avventure, sembra quasi voglia seguire l’approccio di quegli scrittori che danno vita a capolavori immortali partendo da una semplice mappa: come quella dell’Isola del Tesoro, protagonista e al tempo stesso creatrice del romanzo (a proposito di letteratura di formazione)  di Robert Louis Stevenson. Il quale così spiega come andarono le cose: “Disegnai la mappa dell’isola; era elaborata, e, mi parve, con dei bellissimi colori. La sua forma mi colpì oltre ogni dire; c’erano baie che mi piacevano come sonetti. Con l’incoscienza del predestinato, battezzai la mia opera Isola del Tesoro. Osservando la mappa, i futuri personaggi del libro cominciarono ad apparire concretamente nei miei boschi immaginari. I loro volti abbronzati e lo scintillio delle loro armi si manifestavano nei punti più inattesi, mentre attraversavano avanti e indietro, lottando e cercando il tesoro, quei pochi centimetri quadrati di proiezione bidimensionale. Poco dopo, mi ero messo a scrivere l’elenco dei capitoli”[iv].

Certo, la mappa, si sa, non è il territorio. Le carte e le piantine in cui il turista affonda il naso non sono altro che proiezioni imperfette del luogo fisico a cui si riferiscono, immagini parziali e incerte che servono soltanto a orientarsi. Lo affermava, già nel 1933, il conte Alfred Korzybski, matematico e linguista, invitandoci a non confondere i modelli con la realtà che rappresentano. Gli unici tentativi da me conosciuti di creare una mappa perfettamente uguale al suo territorio li raccontano Borges e lo stesso Carroll. Il primo, narrando di alcuni cartografi che tentarono di compilare una mappa dell’impero grande come l’impero stesso. Inutilmente: l’opera incompiuta fu abbandonata alle inclemenze del tempo, e le cronache dicono che animali e nomadi ne ritrovino a volte dei frammenti in mezzo al deserto… Il secondo, in Sylvie and Bruno Concluded [v], dove il Professore Tedesco riferisce di una mappa 1:1 che contiene esattamente tutto nelle sue dimensioni reali: “Non è mai stata aperta e dispiegata”, sostiene. “I contadini si opposero: dicevano che avrebbe coperto l’intero paese e chiuso fuori il sole! Così adesso usiamo il paese stesso come mappa, e vi assicuro che funziona altrettanto bene!”.

L’alternativa a questo percorso assolutizzante ma privo di sbocchi è quella offerta ancora dal padre di Alice in The hunting of the  Snark.[vi] La soluzione radicale è proposta qui per bocca del capitano Bellman, un personaggio adorato dall’equipaggio, a dispetto della sua palese incompetenza,  per il suo buon carattere e perché ama citare Shakespeare (ancora lui!): una blank map, prediletta da tutti perché non oppone resistenza, non costringe alla fatica del ragionamento, chiunque la può capire. “«Other maps are such shapes, with their islands and capes!/But we’ve got our brave Captain to thank»/ (So the crew would protest) «that he’s bought us the best/A perfect and absolute blank! ». La mappa del Capitano Bellman non contiene assolutamente nulla, rappresenta solo l’indifferente ed indifferenziata distesa dell’Oceano: “a large map representing the sea/Without the least vestige of land”). Per contro, ha osservato Milli Griffi, le altre mappe sono ricche di segni, appesantite proprio dal loro valore conoscitivo (“«What’s the good of Mercator’s North Poles and Equators/Tropics, Zones, and Meridian Lines? »/So the Bellman would cry: and the crew would reply,/ «They are merely conventional signs»”).

E ancora leggiamo la contrapposizione tra il primo verso “Other maps are such  shapes” e l’ultimo “A perfect and absolute blank!” della quartina sopra citata. Il verbo essere insiste sulla qualificazione della mappa come forma costituita e istituita, così che risulta   molto chiaramente la contrapposizione tra essere una forma ed essere un vuoto, tra shape e blank. Poiché dunque, pur condividendo con il Capitano Bellman l’amore per Shakespeare, preferiamo le difficoltà formative della conoscenza, alla appagante vacuità del nulla, proviamo a seguire Alice nel suo viaggio onirico nella contemporaneità, ad annotare le sue vicende, a disegnare la mappa di Wonderland. Nella consapevolezza delle necessarie limitazioni cui i cartografi devono sottostare, quando accettano di porsi fra i due estremi entrambi privi di senso: la carta di Bellman che non ha nulla, la mappa di Sylvie e Bruno che ha tutto.  Specie quando il sopra e sotto, la destra e la sinistra, l’alto e il basso si confondono, si sovrappongono, si scambiano di posto: come succede in Wonderland, in un’incisione di Escher, fra i link di Internet, nel labirinto della contemporaneità.  

Alice annotata 6. Continua

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[i] Prometheus Books ( 2004)

[ii] Il ritorno degli ideogrammi per leggere il mondo, p. 38.

[iii] Riprendo qui le osservazioni proposte nel numero di  Hamlet marzo 2000, Il territorio o la mappa?, successivamente riportate nel volume L’impresa shakespeariana, ETAS, 2002.

[v] Pubblicata nel 1893, è l’ultima opera data alle stampe quando Carroll vivente.

[vi] Di cui ho amato la lettura, specie nella traduzione italiana con testo a fronte La caccia dello Snaulo, ottimamente curata da Milli Griffi per le Edizioni Tesi (1985).

 

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