E’ scoppiata la tempesta Wikileaks, ma nessuno fino ad ora ne ha rilevato il vero significato: si va da Berlusconi, che se la ride (beato lui!) fino a Frattini che, all’estremo opposto, parla di 11 settembre della diplomazia, per arrivare a una personalità come Sergio Romano che questa mattina alla radio ha dichiarato: “Dietro l’interesse per Wikileaks c’è solo la curiosità umana, il desiderio di un po’ di gossip sui politici”.
Io credo che ci sia invece in gioco ben altro, che la classe dirigente italiana e internazionale si ostina pervicacemente a non voler vedere. Mi riferisco alla crisi ormai irrevocabile di quel modello “Comando e controllo” che da ormai più di 100 anni ispira la gestione “scientifica” non solo delle aziende, ma di tutta la società. Un modello, come insegnavano Taylor e Ford, per il quale alcuni (i dirigenti) sono pagati per pensare, tutti gli altri per obbedire (credere e combattere).
La classe dirigente internazionale (da quella americana a quella russa a quella cinese) e nazionale (da quella di destra che ha inventato adirittura il “partito azienda” fino al quella del PD,che si ostina a non capire che vanno cambiati sia i metodi del fare politica sia i leader che incarnano questi metodi) continua a sbattere la testa contro questa crisi, innescata negli anni Novanta dall’avvento di Internet e destinata ad acquisirsi sempre di più con il diffondersi di Social Network come Twitter: il Commando e Controllo va sostituito con la trasparenza, il peer to peer, la condivisione, la fiducia, l’innovazione sociale. I perni fondativi di quella che è stata chiamata Wikinomics, in grande sintesi. Il solo Obama sembrava aver capito la necessità di camiare rotta, al momento delle elezioni, ma anche lui sembra avere perduto la bussola.