di Zygmunt Ballinger (aka Mario Esposito)
RIZOM@ – Convergenze fra Arte e Scienza, Prima Parte from MarioEs on Vimeo.
Con RIZOM@ è iniziato al Brain 2 Brain Club su Second Life (http://brain2brain.ning.com) un ciclo aperiodico di appuntamenti in cui parleremo delle convergenze e delle connessioni fra Scienza ed Arte.
Come è stato già detto nella presentazione dell’evento, il termine rizoma è stato scelto per la sua origine biologica e quindi per la sua inerenza alla Vita – Gilles Deleuze direbbe in proposito che “il mondo non è né vero né reale, ma vivente” – e per la sua straordinaria adattabilità ad una semantica della cultura basata sul concetto di “rete” e sulle sue connessioni agerarchiche, sul suo sviluppo con dinamiche “bottom-up” e con emergenze di nuovi significati e vettori di senso come quello della condivisione, della cooperazione e del dono.
La serata è iniziata con l’intervento di Ignazio Licata, che, oltre alla formula dei “creatori di mondi” già presentata anche nel libro “Le connessioni inattese-Crossing fra arte e scienza” (2009), ha individuato nell’analogia una nozione fertile per poter trovare i punti in comune fra scienza ed arte e per tentare di superare le “dicotomie della logica occidentale”.
Riprendendo le sue parole, “l’analogia non è una formula predefinita, ma è lo studio di due territori di sapere e la ricerca di relazioni biunivoche dove l’elemento nuovo interessante che le accomuna – quello della creatività – nasce quando la biunivocità non viene rispettata e a quel punto emerge qualcosa di nuovo che è il mondo che ci stimola a fare nuove domande e a dare nuove risposte” e dunque “il tessuto comune di scienza ed arte è dato dall’atto creativo, che dipende dalla storia del soggetto, dai suoi qualia e dalle sue conoscenze individuali che si innestano su un corpus di conoscenze storicizzate”.
In merito Ignazio Licata ha precisato come “non esiste scienza e non esiste arte senza accettare questo corpus per poi eventualmente riscriverlo o rinnegarlo”.
Importante è poi la scelta di un punto di vista e di una prospettiva per potere dare una forma al mondo attraverso l’opera d’arte o il modello teorico: in tal senso “si gioca un gioco applicando delle regole” (importanza delle regole) per poi “inventarne sempre di nuovi”.
Un altro elemento è poi il “medium”, che per il fisico può essere la matematica e per l’artista i materiali e citando Rosalind Krauss “una matrice generativa di convenzioni derivate dalle condizioni materiali, uno spazio disciplinato di possibilità che si apre all’esplorazione del mondo da parte dell’artista e dello scienziato”.
Ignazio poi ha tenuto subito a precisare che “la realizzazione di un frattale o la trasformazione delle radiofrequenze delle stelle lontane in suoni non è né arte né scienza, ma sono attività ludiche, interessanti e con un valore fascinativo, ma non hanno quella coerenza e quella continuità stilistica che ha a che fare sia con le scelte individuali che con il corpus di conoscenze storicizzato” ed in questo si delineano già le visioni di scienza ed arte basate su “un incontro a valle determinato dall’uso di una particolare tecnologia ed uno, invece, a monte basato sul gesto cognitivo e su scelte di descrizione del mondo”.
Lo zoom, quindi, va piuttosto puntato sul “peso della semantica” (la visione del mondo, la scelta di approccio, il punto di osservazione, la coerenza, la continuità stilistica) nel cui ambito possono essere trovate le analogie fra l’artista, il musicista e lo scienziato.
Attraverso il dipinto “Las meninas” (1656) di Diego Velázquez, Ignazio Licata ci ha introdotto al tema a lui caro come fisico teorico ed epistemologo del rapporto fra osservatore ed osservato evidenziando, in rapporto critico ad un certo “scientismo di maniera” oggi anche abbastanza diffuso, che il costruttore di modelli è sempre dentro al suo modello proprio come nel dipinto in questione l’ “occhio dell’artista dirige il nostro” – citando Michel Foucault de “Le Parole e le cose” (1966).
Con il famoso teschio di Hans Holbein (1533), I. Licata ci introduce il concetto di anamorfosi (ri-generazione) ossia l’elemento creativo dell’osservazione stimolato nel dipinto di Holbein da una “perturbazione emotiva, intellettuale e concettuale”.
Nella fisica quantistica i twistors (una unità discreta di spazio-tempo) di Roger Penrose possono sembrare delle “trottole” e sono stati rappresentati da Teresa Iaria in un’opera intitolata appunto “Twistors” (2008) presente nel libro di I. Licata “La logica aperta della mente” (2008).
Nell’opera di T. Iaria ovviamente non abbiamo a che fare né con un twistor né con una trottola (entra in gioco l’elemento analogico) e – dice Ignazio – “proprio in questo non-essere alcuna delle due cose ma qualcosa delle due cose assieme, che apre il gioco della logica aperta sia al creatore che all’osservatore”.
Ignazio ci ha poi parlato di un artista italiano contemporaneo forse poco noto, Gino De Dominicis, affascinato dai temi dell’entropia e del tempo, che con le opere “Tentativo di far formare dei quadrati invece che dei cerchi attorno ad un sasso che cade nell’acqua” e “Tentativo di volo” del 1969 ha creato un rapporto “esemplarmente analogico fra arte e scienza” proponendosi di superare “i gradi di libertà concettuali della scienza, aspirando a fermare l’attimo, all’immortalità e alla reversibilità dell’entropia”.
Era il periodo di “Le due culture” (1963) di Charles Percy Snow sulla separazione fra scienze esatte e scienze umanistiche: quanto ancora oggi gli scienziati sanno di arte o quanto gli artisti conoscono il secondo principio della termodinamica?
Ignazio cita poi una intervista su Il Foglio del 1997 di De Dominicis in cui gli si domanda “Che cosa veramente la interessa nella costruzione di un quadro?” e lui risponde “Che una volta terminato mi sorprenda e mi rimandi più energie di quante ne ho messe per realizzarlo. Così l’opera essendo ‘antientropica’ contraddice il ‘secondo principio della termodinamica’ e si riappropria del problema della morte e dell’immortalità del corpo, che è sempre stata l’istanza principale dell’arte visiva, senza delegarlo alla scienza e agli scienziati, il che sarebbe pericoloso.” Ma l’opera d’arte obbedisce, secondo lei, a criteri oggettivi o soggettivi? “Per metà la faccio io e per metà si autodetermina” (il meccanismo dell’anamorfosi, della sorpresa e della creatività).
L’arte si contraddistingue per una “soggettività radicale”, ma anche la scienza non è “ingenuamente oggettiva”, ma è sempre “la scelta di un punto di vista sul mondo che deve raccordarsi con una tradizione storica che ha creato degli strumenti e dei modi di osservare”.
Ad esempio, nella fisica quantistica i concetti di “particella” ed “onda” trovano una sorta di convergenza e molto probabilmente cederanno il passo al concetto di”modi del campo quantistico”.
Nella stessa storia della fisica quantistica l’elemento soggettivo è tale che tra “il 1926 ed il 1927 nascono ben tre forme di meccanica quantistica”, quelle di Heisenberg per il quale contavano solo gli osservabili e le loro relazioni formali tramite la matematica (una fisica “astratta”), quella di Dirac che estremizza l’approccio matematico di Heisenberg e attribuisce valore fisico solo a ciò che si può calcolare sulle cose e quella, infine, di Schrödinger che credeva che “la sua funzione d’onda” (applicata sia nel campo molecolare che in cosmologia quantistica) esistesse “realmente” nello spaziotempo.
Le tre teorie sono equivalenti come è stato dimostrato da Pauli, a prescindere dall’approccio e dalla filosofia sottostante.
Infine, in campo letterario I. Licata cita la trilogia di Samuel Beckett “Molloy”, “Malone muore” e “L’innominabile” (pubblicati tra il 1951 ed il 1953) come esempio di “scrittore quantistico” in cui “i personaggi sono in stato di sovrapposizione, permutano secondo statistiche che violano il principio d’identità, fino a sovvertire i rapporti causali spazio-temporali” e in cui “tutte le possibilità dell’esistenza diventano un io narrante”.
Licata conclude con con la seguente riflessione “Scienza ed Arte: Sono la stessa cosa? Evidentemente NO!
Sono due cose totalmente diverse? No, ma non è così evidente. Dunque: <>”.
In tutto questo, resta quello che lo stesso Ignazio Licata ha definito come “la resistenza del mondo” a farsi descrivere una volta per tutte e, quindi, arte e scienza costituiscono quella “coppia semantica” attraverso la quale l’essere umano può tentare di costruire e inventare nuovi mondi sulla base di quelli “pre-esistenti”.
Se è condivisibile quello che dicevano Maturana e Varela, ossia che “il mondo che ognuno vede non è il mondo, ma un mondo che noi facciamo emergere assieme agli altri”, scienza ed arte ci offrono l’opportunità ed il piacere di osservare e descrivere da prospettive diverse ma non antitetiche il mondo sempre “nuovo” in cui siamo immersi.
Un ringraziamento di cuore ad Ignazio Licata per la sua disponibilità, che devo dire non è affatto comune e che gli fa onore come uomo di scienza e di cultura.
Nel prossimo articolo ci sarà una sintesi degli interventi di Chiara Passa (net artista) e Claudio Catalano (architetto) e poi successivamente quello Sonia La Rosa (architetto).