Il matematico Piergiorgio Odifreddi, in una panoramica matematica (La Repubblica 11-9-09) compiuta sull’opera omnia di Italo Calvino riesce a individuare, per gruppi di opere, i terreni sui quali il “professore” delle “Lezioni americane” si muove con le sue sperimentazioni, di volta in volta, scientifiche, logiche, deduttive, fino a passare infine a opere dalla vera e propria struttura matematica.
La più importante in tal senso è ispirata ai Tarocchi: si tratta del romanzo Il castello dei destini incrociati. In esso, le 78 carte del mazzo “visconteo” usato dallo scrittore vengono utilizzate in parte come fossero personaggi narranti e le restanti servono loro per raccontare storie che si dipanano da ogni carta e dalla sua rappresentazione secondo una misura, a parere mio, davvero esoterica.
Non a caso Calvino stesso chiama “quadrato magico” la distesa delle carte nell’ordine seguito per la storia che inventa. Appartiene alla stessa fase anche La taverna dei destini incrociati e, il mai scritto, Il motel dei destini incrociati: in queste opere si esprime la vena matematico-esoterica di Calvino, il quale, in un secondo momento, affianca ai viscontei, i tarocchi marsigliesi.
Il terzo romanzo del filone combinatorio, il più affascinante del gruppo, è sicuramente Le città invisibili perché Calvino si ispira all’antico libro di saggezza e filosofia cinese I Ching.
Di esso, infatti ripropone non solo la struttura in 64 tessere, sulla falsariga dei 64 esagrammi cinesi, ma anche l’ambientazione di base, nella Cina di Marco Polo, e le situazioni umane archetipiche in cui “entra” il visitatore delle 55 città descritte, accompagnato per mano dai 9 dialoghi fra Marco Polo stesso e Kublai Kan l’imperatore. 55 più 9 fa appunto 64, il numero degli esagrammi del Libro dei Cambiamenti (I Ching). Le descrizioni delle città, infatti si dividono in 9 capitoli che sono le altrettante cornici dialogiche tra i due personaggi principali, nelle quali esse sono inquadrate. Come rileva Franco Marcoaldi (La Repubblica 11-08-09), a partire da una riflessione espressa da Calvino stesso che Le città invisibili è il romanzo in cui egli ha “detto più cose”, in esso sono confluiti tutti i ragionamenti, le osservazioni e le ansie riguardo alla sua idea di letteratura, e quindi del mondo. Marcoaldi cita Calvino quando questi spiega, nelle Lezioni americane, di aver scelto “la città” perché essa è il simbolo ideale della costante frizione tra il desiderio di un ordine razionale e geometrico della realtà e il caos pulviscolare che la sottende.
Proprio come nello I Ching, mi sentirei personalmente di aggiungere. Perché nell’antico testo cinese, cui taoisti e confuciani si sono ispirati, l’ordine razionale e geometrico della realtà, presentata attraverso 64 situazioni archetipiche (gli esagrammi), ben rappresenta il caos pulviscolare dell’umanità che la sottende. Fellini ebbe a dire che il Libro dei Mutamenti è “capace di sintetizzare in 64 esagrammi l’intera avventura umana”. Le “città invisibili” è dunque diviso in 64 pezzi, in ognuno dei quali è descritta, ove minuziosamente ove con interventi minimi, secchi e lapidari, l’essenziale dell’avventura umana.
Ogni città porta un nome di donna perché sono solo le caratteristiche del femminile, quelle tipiche della terra capace di sostenere ogni forma di vita, ad essere glorificate. Lo I Ching è il libro dello Yin, della capacità femminile di relazionarsi all’altro da sé. Le strategie, consigliate dagli esagrammi del Libro dei Cambiamenti, sono prevalentemente di carattere femminile in un’accezione che nulla ha a che vedere con sinonimi comunemente usati di negativo o passivo. La qualità della donna è attivazione di energie prevalentemente femminili, e quindi quasi sconosciute al maschile, di accettazione, di relazione, di disponibilità, di nutrimento. E’ un’energia vasta, feconda, tollerante. Ci sono tutte le capacità di nutrire, sostenere, adeguarsi, di adattabilità alle circostanze. E’ una forza centripeta. C’è una funzione di completamento. La terra: il suolo che nutre. La souplesse. Il riposo.
La maturazione. L’interiorizzazione. La fedeltà. La protezione. Calvino è ben consapevole di questa opzione culturalmente molto progredita e, pertanto, pone in mano ai due uomini protagonisti solo città-femmina, l’unico modo possibile con cui si possa permettere al maschile di parlare con profondità e non superficialmente delle cose della vita. In questo modo, con lo scorrere della lettura delle pagine del romanzo calviniano troviamo metafore magnifiche delle situazioni archetipiche che tutti viviamo durante l’avventura terrena. Isaura, città dai mille pozzi, racconta di un paesaggio invisibile che condiziona quello visibile; gli dei della città abitano nelle sue profondità e non nel cielo.
E’ ad essi che in certi momenti della vita bisogna rivolgersi per abbeverarci e fortificarci; proprio come raccomanda l’esagramma n° 48 del I Ching. Ad Eufemia convergono mercanti da sette nazioni, non solo per vendere e trattare le loro mercanzie ma anche, e forse soprattutto, perché la notte – intorno ai fuochi accesi – ognuno, nella compagnia dell’altro, possa raccontare la sua storia; nell’esagramma n° 13 viene evidenziata proprio l’esigenza fondamentale dell’Essere Umano, l’andare verso gli altri, l’invito continuo a uscire dal nostro piccolo perché il vasto mondo ci attende, l’invito ad accettare e farsi accettare, lo sprone a lasciare la propria torre d’avorio per lanciarsi nell’acqua vitale. A Zobeide, gli uomini hanno tutti un sogno uguale: una donna sconosciuta che corre di notte, coi capelli lunghi e nuda. Quale migliore interpretazione, di questa vicenda così conosciuta da ogni uomo, di quella che fornisce l’esagramma 31; c’è stato un contatto stimolante, l’incontro improvviso tra maschile e femminile: qualche pungiglione ci ha pizzicato o forse è stata la freccia di Cupido, ma tutto si svolge in modo fulminante, rapido e senza sviluppi se non quelli contenuti nell’istante. Gli uomini di Zobeide, infatti, dopo un lungo inseguimento perdono di vista la sconosciuta.
Ad Ipazia, invece, il visitatore comprende che deve liberarsi dalle immagini che nella sua vita fino a quel momento gli avevano annunciato le cose che cercava, e ciò allo scopo di trovare un nuovo linguaggio di contatto con il mondo: la rivoluzione, esagramma n°49. Di gran lunga una delle città che nella vita bisogna visitare è, poi, Ottavia, luogo per eccellenza dei burroni e dei precipizi dove soltanto è possibile il contatto con il vuoto fuori e, quindi, dentro di noi. L’esagramma n° 29 è quello che più degli altri ci insegna a affrontare il pericolo, che solo stimola la nostra creatività, per apprendere a resistere alla vertigine quando la terra viene meno sotto i piedi. Che dire, infine, di Trude con il suo ammonimento “Dovunque tu vada ci sei già” di oraziana memoria, “Coelum mutant non animum qui trans mare currunt”: non illudiamoci di sfuggire a noi stessi correndo di qua e di là, perché le vere radici dobbiamo farle crescere dentro di noi.
ANDREA BIGGIO