Quanto è complicato essere semplici? Molto, a
giudicare dalle argomentazioni dell’ultimo libro di Francesco Gallucci, “La strategia della semplicità” (Egea, 2009).
Innanzitutto, siamo avvertiti: semplificare non
vuol dire banalizzare o perdere in ricchezza di senso, ma trovare quel giusto
equilibrio che consenta di ottenere il massimo risultato nel minor tempo e con
il minore sforzo possibile. È il principio base dell’ergonomia, che è stata
forse un po’ trascurata negli ultimi decenni di storia tecnologica. Se solo
pensassimo, ad esempio, che la stragrande maggioranza delle funzioni di un
videoregistratore non vengono utilizzate, verrebbe da chiederci se non si sia
superato qualche limite.
La questione semplicità, inoltre, sembra essere
tutt’altro che leggera, se è vero che l’eccessiva complessità della vita è uno
dei fattori determinanti dell’infelicità delle persone (per ben il 65%, secondo
una ricerca del sociologo Enrico Finzi ben descritta nel testo), accanto
all’insoddisfazione per le relazioni, il reddito e l’impoverimento di senso
della propria esistenza.
Qualcosa nell’aria, del resto, sta girando da un
po’. Dopo la celebrazione della complessità in tutti i settori della nostra
vita, si eleva da più parti la domanda di lentezza e di autenticità, contro i
ritmi insostenibili e gli aspetti asettici del vivere contemporaneo. Lo
testimoniano l’esodo dalle città, dal consumismo, quella ricerca della “qualità
della vita” che si sta affermando negli ultimi anni nelle società occidentali.
Nella sua riflessione olistica, il libro indaga gli
ambiti su cui la complessità impatta: le persone, la natura, gli artefatti e le
organizzazioni. Sono queste le aree in cui occorre apportare al più presto dei
sani interventi di semplificazione, sposando l’ago della bussola dalla ragione verso
la relazione. Se pensiamo le nostre azioni sono solo per il 5% guidate da
scelte consapevoli e per il 95% da scelte emozionali, tutto questo diventa
abbastanza comprensibile.
Si potrebbe quasi concludere che la semplicità stia
tutta nella relazione. Per questo motivo i primi ad essere chiamati in causa
sono i progettisti (in senso lato) e una delle discipline chiave nel
semplificare il nostro rapporto con il mondo è considerata l’interaction design. Da qui il pensiero
corre veloce a Internet. In effetti proprio il Web, con il suo bagaglio di informazione
e con la sua facilità di contatto anche attraverso l’immediatezza delle
interfacce utilizzate, sarebbe un propulsore incredibile di semplificazione
negli aspetti più diversi della nostra vita, anche quelli aziendali e
organizzativi. Già, perché proprio qui l’ondata del social networking –
straordinariamente amplificato dalla nuova Rete – ha messo in discussione il
senso delle gerarchie, che sembrano essere ormai acqua passata, almeno nei
principi che le giustificano. Le realtà che sanno superarle e aprirsi alla
collaborazione interna ed esterna (la cosiddetta open innovation) stanno entrando a pieno titolo in quella Wikinomics che promette di essere la
chiave del successo nel nuovo assetto economico mondiale. Quelle che, al
contrario, non si adeguano creeranno frustrazione al loro interno e non
riusciranno ad essere competitive nel mercato in cui operano.
La strategia della semplicità sa progettare senza
strafare, tenendo conto dei limiti dei soggetti e dell’ambiente e mettendo la
persona al centro. È allora che, ad esempio nel marketing, questa smette di
essere consumatore e ‘target’ e si trasforma in individuo che ama e sogna. Un
individuo a cui occorre raccontare una storia davvero coinvolgente.
Un viaggio nella semplicità che procede – com’è
tipico delle ricerche dell’autore – in ampiezza sfiorando la varietà delle
discipline coinvolte e scendendo in profondità nei fondamenti storici ed etici
della tematica affrontata.