Intervista a Wagner James Au
di Andrea Romeo (aka Andret Beck), Introduzione di Mario Esposito
(aka Zygmunt Ballinger)
Sono davvero contento di potervi presentare un ottimo lavoro del brainer Andrea Romeo aka Andret Beck, che durante il suo recente periodo di studio a San Francisco ha avuto l’occasione di intervistare Wagner James Au, autore del recente The Making of Second Life, nonché uno dei più conosciuti blogger internazionali sui mondi virtuali e sui videogames.
Andret ha voluto proporre anche una sua riflessione a premessa dell’intervista fatta a Wagner in cui ci invita a riflettere sullo stretto rapporto che c’è fra il “gioco”, nella sua accezione più ampia, e Second Life.
In particolare, una domanda – in apparenza semplice ma che potrebbe anche spiazzare nel tentativo di fornire una risposta – che si è fatto è stata “Cosa spinge l’essere umano a trasferire le sue esperienze dentro (e attraverso) un monitor di un computer?” e devo dire che occorrerà rifletterci sempre di più considerato il tempo sempre crescente dedicato alle esperienze ed alle emozioni digitali sia dai meno giovani sia soprattutto dai più giovani.
Sarà in procinto di nascere (o esiste già) una nuova evoluzione di Homo Sapiens che potremmo chiamare Homo Tecno-Ludens o Homo Medium come lo definisce lo Andret? E con quali conseguenze?
Buona lettura!
Zygmunt Ballinger – Brain 2 Brain Founder
Da quando le realtà virtuali sono entrate a far parte della nostra vita, e quindi poi sono state connesse alla rete creando una comunicazione che miscela realtà tridimensionale, media tradizionali e social network(s), e’ sempre più in voga, negli ambienti accademici e non, il dibattito su questi nuovi mezzi di comunicazione.
L’attenzione verso queste nuove piattaforme di comunicazione si rivolge sia verso la loro comprensione in quanto mezzi tecnici, ma anche, e soprattutto, al ruolo sociale e culturale che questi strumenti assumono su scala globale. Si assiste, infatti, al proliferare di termini come “intelligenza collettiva” o “intelligenza connettiva”, “postumanesimo” o “transumanesimo“, “singolarità”, “smart mobs”, “cyberspazio”, etc. che, strutturando un nuovo linguaggio scientifico, descrivono il nuovo e mutevole rapporto tra scienza informatica, tecnica e uomo. L’uomo si pone domande, cercando di comprendere così il suo ruolo all’interno di questo mondo tecnologico che si trasforma costantemente e sempre più velocemente. Un mondo in cui la tecnologia fa passi sempre più lunghi, seguendo un’evoluzione che sembra seguire una crescita esponenziale.
Questa maggiore consapevolezza del fenomeno in ambito scientifico è dovuta dal fatto che sempre più uomini si spostano nel mondo della “comunicazione via rete”, a tal punto da fondersi con l’informazione stessa attraverso la partecipazione diretta e divenendo parte della “convergenza digitale”.
Che significa divenire parte della convergenza? Il termine “convergenza”, anch’esso parte di un vasto elenco di neologismi sempre più diffusi, indica che piattaforme prima pensate “individualmente” (la macchina fotografica per la fotografia, la cinepresa per il cinema, la macchina da scrivere per la scrittura etc.. ) adesso utilizzano la stessa piattaforma, cioè il computer.
Quindi la convergenza avviene grazie all’utilizzo della stessa “pellicola” su cui “registrare” tutti i tipi di comunicazione conosciuti dall’uomo. Tale “pellicola comune” e’ il codice binario, quindi il digitale, cioè “il linguaggio dei computer”, sia quelli grandi quanto un televisore, sia quelli piccoli come microchip.
Ma la convergenza non riguarda soltanto l’utilizzo di una stessa piattaforma per l’acquisizione di diversi mezzi di comunicazione. In questo modo il computer sarebbe, per dirla con Henry Jenkins, una specie di “coltellino svizzero”. La fusione dei mezzi, infatti, ha anche stravolto il modo di comunicare degli uomini, determinando anche una “fusione dei contenuti”, dove tutti i tipi di linguaggi conosciuti (scrittura, voce, radio, disegno, immagine, musica, etc.) vengono amalgamati in una forma nuova, forma che muta e si adatta con strategie di adhocrazia, citando H. Rheingold, cioè’ sulla base del tipo di comunicazione che si deve affrontare.
La diffusione dei computer ha così permesso agli uomini di trasportare tutto il loro sapere in questo mondo digitale, dove la realtà e’ sempre più vissuta sotto forma di ”simulazione al computer”. Simulazione non significa che ciò che è dentro gli schermi sia “finzione”, così come ciò che si trova dentro lo schermo non è“reale” nel senso classico del termine. Simulazione indica un “mondo diverso”, un “mondo altro”, immagini e suoni che sono frutto di complessi calcoli elaborati dalle macchine informatiche.
Così l’uomo ha digitalizzato l’informazione che del Mondo ha (si pensi programmi come Google Earth), a tal punto da ricreare una copia digitale del mondo stesso, quindi della nostra conoscenza, e infine di noi stessi. Questo simulacro del nostro mondo sta man mano acquisendo sempre più importanza, più che il mondo materiale a cui i nostri antenati erano stati abituati. Inoltre l’uomo ha anche trasferito se stesso all’interno di questa “conoscenza digitale”, conoscenza che fluisce costantemente lungo il passaggio da computer a computer, e che, come una valanga, diviene man mano più grande.
L’uomo cybernetico e’ parte di questo processo, si e’ fuso con l’informazione digitalizzandosi anche egli, creando il proprio (o i propri) io digitale, avatar, simulacri, etc. Digitalizzandosi egli stesso, ed essendo parte di questo flusso circolatorio digitale multi-mediatico, si potrebbe quasi affermare che ci troviamo dinanzi ad un Homo Medium.
Quindi se da un lato la cultura cybernetica e’ sempre più cosciente dell’importanza che riveste la rete in quanto strumento di lotta politica, sociale, e mediatica, nonché della presa di coscienza di una cultura collettiva, open source, hacker, dall’altro il dibattito tende verso la questione riguardante questo “spostamento” dell’uomo verso l’alto, verso la stratosfera della comunicazione mediatica, “luogo” in cui passa sempre più tempo che in passato. In parole povere si cerca di prendere atto non solo dell’utilità del computer e di internet in quanto “coltellino svizzero”, ma si cerca anche di tener conto di un altro dato, cioè del fatto che il mondo simulato al computer, il “simulacro collettivo”, ci invita a passare sempre più tempo dentro la sua dimensione filtrata dagli schermi.
Si sottolinea come, a conti fatti, la nostra società vive negli schermi, nella dimensione della comunicazione.
E di certo non é che l’uomo se ne sta ore ed ore dinanzi al computer senza inventarsi il modo di “starci bene”, altrimenti si potrebbe sul serio parlare di una sorta di “prigione invisibile”. I computer sono stati innanzitutto “conditi” con immagini, suoni, programmi sempre più accattivanti, sino a far diventare la macchina una fonte inesauribile di stimoli, creativi e non.
Poi la “messa in rete” ha fatto il resto, cioè ha permesso a ciascuno di noi di comunicare l’un l’altro attraverso le sbarre della nostra cella, scambiandoci testi, immagini, video, suoni, cartoline digitali, fiori digitali, regali digitali, rituali digitali, e soprattutto, grazie alle realtà virtuali on-line, di condividere parte della cella.
Ai tempi dei grandi calcolatori, gli anni ’60, ‘70 e ‘80 per intenderci, i computer apparivano come strumenti “freddi”, grafiche vettoriali, numeri, codici, calcolo. Eppure sin da subito, con l’avvento del videogame (che praticamente coincide con l’avvento dei computer), si é cercato di unire tale “freddezza” a programmi accattivanti, giochi stimolanti, lavori artistici. Se si osserva un portatile moderno, infatti, si può notare una facciata personalizzata ricca di immagini del possessore, i suoi lavori creativi e meno creativi, i suoi film preferiti, la musica preferita, i videogiochi preferiti, un ambiente personalizzato molto stimolante.
In parole povere, il computer ed il possessore sono diventati la stessa “persona”, l’una digitale, l’altra in carne ed ossa. Se é vero infatti che l’uomo spende molto tempo al computer, e se e’ vero che il computer é un “ambiente”, in tale ambiente l’uomo trasporta se stesso, le proprie conoscenze, credenze, paure, personalità, miti, religioni, le ideologie, i sogni, le culture, i rituali, i simboli, le poesie, i dipinti, le fotografie, insomma tutto. Così che l’uomo non solo ha attuato quel fatidico passaggio attraverso la porta di uno “stargate” che porta nel “magico mondo dei simulacri”, ma egli stesso é diventato un simulacro, parte integrante di quel mondo, personaggio che ha superato il ruolo di “esploratore curioso”, e non comprende se riveste più im
portanza il nuovo abito digitale o quello vecchio, l’abito biologico.
Con la messa in rete ora tale dimensione diviene sociale, e gli uomini si trovano nella condizione di condividere tale mondo di simulacri, mondo che non é la creazione di un Dio malefico, ma che é creazione dell’uomo stesso. Luogo condiviso con altri uomini che si trovano in altre “postazioni” del mondo reale, ma che hanno in comune la “vita nel cyberspazio”. Quindi un mondo in cui l’uomo, preso coscienza del suo nuovo “stato simulacrale”, ci si ritrova perfettamente, poiché tale dimensione é specchio di lui, della sua società e di tutto ciò che egli conosce.
Ma se si vuole capire tale trasposizione della cultura umana nelle realtà virtuali, bisogna chiedersi il perché l’uomo si trasferisce dentro gli schermi? Cosa è che lo attrae così tanto?
Se da un lato infatti si trovano programmatori, scienziati, dipendenti statali, e altro, che usano il computer e la rete solo per “lavorare”, dall’altro si vede un utilizzo del computer e di internet da parte di sempre più gente, persone che non hanno nessun guadagno diretto da questa connessione, ma che nonostante tutto passano molto tempo coi loro “giocattoli elettronici”, e soprattutto lo fanno in modo che sembrerebbe “spontaneo”. Probabilmente ciò avviene innanzitutto, come detto, perché il computer e’ oggi molto più attraente che in passato, cioè vi é qualcosa insito nel calcolatore che richiama gente, la invita a premere il “pulsantino” dell’accensione per passare qualche oretta di sano “divertimento elettronico” davanti al suo schermo.
Viene così da chiedersi: se col computer non ci si lavora, che cosa ci si fa? Mi verrebbe da dire che se non si hanno scopi economici o “intellettualoidi”, l’unica cosa che si può fare col computer é quella di informarsi, in quanto mezzo di comunicazione, o di ascoltare musica o vedere immagini in quanto simulatore di altri media: ma allora qui si parlerebbe di un computer in quanto sostituto del vecchio giornale o della vecchia enciclopedia, o del vecchio giradischi e della televisione, ritornando così al famoso “coltellino svizzero” di Jenkins. Ma il coltellino svizzero non ha creato anche una cultura del coltellino, come il computer e la rete hanno invece fatto con la cultura cibernetica.
La questione non e’ semplice. Infatti, le caratteristiche principali del computer, che lo distinguono dai suoi avi, sono proprio l’interazione e la manipolazione dell’informazione. Interazione e manipolazione sono a loro volta sinonimi di “partecipazione” da parte del manipolatore con l’ambiente mediatico, ambiente che a sua volta prevede la comunicazione (nel senso classico del termine, cioè “mettere in comune”) di almeno due agenti: il creatore dell’ambiente digitale ed il fruitore dell’interfaccia sincretica. Così se il computer è attraente è perché il fruitore è “messo in gioco”, parte integrante delle “sfide” dei programmatori di giochi elettronici, della sfida della comunicazione mediatica intesa come bravura del fruitore nel riuscire ad utilizzare al meglio programmi creativi per la messa a punto dei propri simulacri digitali.
Ed infine la sfida della messa in rete, che prevede ora la socializzazione di tale simulacro (che si può esprimere in modi molto diversi, attraverso video, avatar di video-game e realtà virtuali, anche attraverso l’anonimato), con relativo utilizzo di chat, commenti, socializzazione, mettere in mostra le proprie immagini, i blog, le curiosità, i cruciverba digitali, i segni zodiacali interattivi (tipo – Di che segno sei? Compila il test e lo scoprirai!), etc. Per chi non ci lavora, il PC e’ un “passatempo” pieno di “programmi creativi” e “giochi sociali”.
Questo passaggio mette in luce come la diffusione dei PC non sarebbe mai avvenuta senza una componente ludica, fattore che ha avuto una rilevanza importante nel commercio della tecnologia informatica. Tralasciando le teorie di gioco legate alla società tradizionale (J. Huizinga, R. Caillois, ma anche E. Goffman, Piaget, e si potrebbero citare anche M. Foucalt e E. Morin), che comunque mettono in risalto come il gioco sia una componente essenziale nello sviluppo biologico, psicologico e sociale dell’uomo, va sottolineato come proprio il gioco (o la creazione di un ambiente mediatico favorevole, rilassante o eccitante) sia stato protagonista della diffusione dei media di massa (televisione prima e PC dopo – si pensi al Commodore 64 o all’Amiga 500).
Immaginatevi, a tal proposito, se la televisione ci avesse dato soltanto notizie giornalistiche sulla guerra e le previsioni del tempo, mostrandoci immagini crude e realistiche l’una dietro l’altra, cioè una tv molto informatrice, ma inquietante tanto quanto la TV immaginata da Orwell: probabilmente non avrebbe richiamato la curiosità delle giovani casalinghe o dei ragazzini. Allo stesso modo, se lo schermo del PC fosse rimasto un “ambiente di lavoro” o un mero “strumento di comunicazione”, forse non ci sarebbe stata da parte delle masse la necessità di inglobare, nel proprio arredamento domestico, anche tali “ingranaggi”, o almeno non ne avrebbero fatto l’uso eccessivo che invece caratterizza sempre più la nostra Era.
Qual è dunque la novità se non quella del gioco interattivo? Qual è quella componente che attira le masse se non la messa in gioco degli individui?
La componente ludica principale, sia nella realtà virtuale quanto in quella reale, è la socializzazione delle esperienze. Secondo gli studiosi del gioco, il gioco non è mai fine a se stesso, ma ha sempre fini sociali. Anche quando il gioco non è socializzato (cioè si gioca da soli), ci si mette alla prova per vantarsi, una volta finito di giocare, della propria performance. L’ incontrarsi sotto altra forma negli ambienti mediatici con altri utenti presuppone una socializzazione, con tutti i “giochi sociali” (seguendo Goffman) che ne derivano. Nella fase di socializzazione ha rilevanza essere abili nel mostrare un buon abito digitale (un blog equilibrato, un avatar sgargiante, video illuminanti etc.), e quindi bisogna essere bravi comunicatori mediatici. La seconda componente ludica è il video-game, cioè l’esperienza nella realtà virtuale stessa, che a sua volta deve stimolare l’utente attraverso l’interazione con l’ambiente.
Realtà che a sua volta, come detto all’inizio dell’articolo, è il medium stesso con tanto di “emittente” (il creatore dell’ambiente interattivo). Questa è la novità assoluta del computer, l’interazione con un ambiente mediatico “reale” (ad esempio la riproduzione della Basilica di San Francesco D’Assisi in scala 1:1) o “inventato” (un videogioco tipo Super Mario Bros): l’interazione è il linguaggio del PC per eccellenza e l’innovazione, interazione che porta con sé componenti ludiche. Infatti, quando si scambia una immagine via rete, o un file musicale, un testo, etc, in fondo non vi è nulla di nuovo rispetto allo scambio di informazione attraverso i vecchi media (la lettera, il disco che si scambiava con l’amico, la videocassetta, la fotografia etc), a parte la modalità (i programmi del PC) e la compressione dei tempi di scambio (grazie alla rete). Il linguaggio proprio, unico, caratteristico del PC e’ l’interazione con l’informazione, quindi la manipolazione, e quindi la realtà virtuale che include tutti questi fattori.
Per questo motivo, se la rete ha creato i presupposti per una società nuova che agisce su scala globale nello scambio di informazioni, la realtà virtuale è il passo avanti, l’evoluzione di questo processo di sviluppo mediatico sia i
n termini di tecnologia che di uso della tecnologia. La realtà virtuale è il nuovo medium che prende corpo dal computer, e che si miscela con i vecchi media e con la rete, creando nuove forme d’espressione. La realtà virtuale risucchia l’utente inglobandolo nella propria dimensione, luogo in cui è possibile comunicare anche attraverso i media tradizionali.
In questo senso l’uomo si fonde col mezzo e diviene anche lui, in quanto “cyborg”, mezzo di comunicazione, ovvero Medium.
Affinché la realtà virtuale chiami gente (cioè affinché venga venduto l’ultimo videogioco sul mercato, oppure affinché gli utenti frequentino una realtà anziché un’altra), essa deve essere un luogo intrigante, stimolante, essa stessa creativa così come la gente che la frequenta. Second Life, e programmi simili come Open Sim, Habbo, The Sims On-line, e molte altre ancora, sono l’ultima frontiera di questa nuova forma di comunicazione che unisce (o fonde) video-gioco e social-network, per il fatto che il fruitore di questo genere di realtà virtuale “open source” può creare la propria comunicazione virtuale manipolando l’ambiente virtuale on-line (videogioco), e nel frattempo può caricare, scaricare, e scambiare file di ogni tipo con gli altri utenti (social network). L’aspetto ludico è molto importante in questi ambienti mediatici, in cui giocano fattori come creatività, partecipazione, scambio, idee, eventi, musiche, arte, interazione, mascheramento, etc., oltre che l’utilità, come nel caso di Second Life, di poter scambiare file ed informazione.
Per comprendere l’importanza del gioco nelle realtà virtuali si passerà adesso ad un’intervista che ho fatto nel febbraio 2009 allo scrittore dei mondi virtuali Wagner James AU, collaboratore della Linden Lab, azienda creatrice di Second Life.
Andrea Romeo: Chi è Wagner James AU? O meglio, com’è che sei finito alla Linden?
Wagner James AU: prima di lavorare per la Linden lavoravo coi videogame. Scrivevo articoli su questi nuovi mezzi di comunicazione già negli anni 90′, nonché sono stato sviluppatore di alcuni titoli, tra cui cito Majestic (2001), il primo Alternate Reality Game. Da sempre sono stato interessato ai videogame e quindi al digitale e alle realtà virtuali. Ho sempre creduto nelle potenzialità di queste piattaforme, e vedevo in esse nuove potenzialità in ambito artistico ed espressivo. Ho iniziato nel 1995 scrivendo molti articoli sui videogiochi e sui loro sviluppatori, scrivendo per riviste on-line tipo Salon.com, e tante altre. Ho scritto ad esempio molto sulla Looking Glass Studios, una compagnia sviluppatrice di videogame molto interessanti agli inizi degli anni ‘90 nel Massachusetts. La compagnia era composta da gente proveniente da Cambridge, tutti sviluppatori del MIT ed ha chiuso nel 2000. Molte di queste persone si sono spostate alla Electronic Arts, e sono oggi creatori di videogame commerciali molto famosi, tra cui ad esempio Guitar Heros, ma anche “capolavori video-ludici” come Bioshock.
E’ interessante osservare che questa compagnia fallì non perchè i videogame che si sviluppavano non erano attraenti, anzi. I videogiochi creati dalla Looking Glass Studios erano molto innovativi, storie intriganti ed ambienti ben curati. Purtroppo questi videogame non hanno avuto un successo commerciale adeguato. Ho continuato a lavorare in questo ambiente scrivendo recensioni e articoli sui videogame sempre più, finchè non mi sono interessato a Second Life. Sono entrato alla Linden Lab nel marzo del 2003 e ho lavorato li fino al febbraio 2006. Ciò che soprattutto mi intrigava infatti erano i MUD, i Giochi di Ruolo, proprio per le grandiose potenzialità espressive che questi tipi di videogame possono dare. Da qui il mio interesse per Second Life. La differenza infatti tra i classici Role Playng Game e Second Life è che i primi danno un ruolo specifico all’interno di una Gilda, o Razza, etc. In un certo senso sono “videogiochi razzisti”, cioè che ti fanno schierare e ti portano a lottare contro ciò che in un certo senso è diverso da te (all’interno del gioco ovviamente). Su Second Life invece si può sperimentare praticamente all’infinito e si può essere ora parte di una Gilda, ora parte di un’altra. Ho subito vista in questa piattaforma grandiose potenzialità. Alla Linden ho lavorato sia come sviluppatore di Machinima, che come scrittore. Ho seguito i Linden per tre anni e alla fine ne è uscito fuori il mio libro The Making of Second Life – Notes From The New World.
A. R. : Qual’è il futuro dei videogame ed il rapporto tra videogame e Second Life?
W. J. AU. : domanda interessante. Bene, oggi per fare videogame immersivi, vere e proprie realtà virtuali con storie intriganti, tipo per fare un esempio la serie di Grand Theft Auto, ci vogliono grossi investimenti e risorse umane e comunque non garantiscono il grado di libertà offerto da Second Life. Credo comunque che il videogame si sta sempre più imponendo come il mezzo di comunicazione del futuro, proprio per il fatto che permette all’utente di essere protagonista dell’ambiente mediatico. I videogiochi sono inoltre ottimi mezzi di comunicazione anche per raccontare storie. Credo comunque che i player utilizzeranno sia realtà virtuali open source tipo Second Life che videogame classici.
Ma sicuramente è in atto un cambiamento che è stato dato proprio da Second Life. Su Second Life infatti sono nati (e nascono) videogame pensati solo per Second Life. E’ il caso di Crackden, un videogame sviluppato solo su questa piattaforma da un ragazzo di 24 anni, o anche Black Lineso o Midian. E’ interessante infatti osservare come gli utenti, attraverso questa tecnologia, possano creare il proprio videogioco, e deciderne le regole. Da questo punto di vista Second Life è l’innovazione e sicuramente il futuro nel momento che i videogiochi si affermeranno come mezzi di comunicazione per eccellenza.
In ogni caso, ripeto, credo che gli utenti saranno in grado di creare i propri “videogame” su Second Life, e giocarci di conseguenza, ma comunque l’industria videoludica avrà un ruolo per la creazione di storie chiuse che l’utente dovrà “esperenziare”.
Diciamo che ci saranno quindi “videogiochi aperti” e “videogiochi chiusi”, e gli utenti si muoveranno tra queste dimensioni, ora prendendo i panni di un personaggio proprio, personale, di propria invenzione, ora spostandosi e prendendo i panni di qualcun’altro e rivivere le sue di esperienze. Nella creazione di questi videogiochi le possibilità di sperimentazione in campo artistico, letterario, architettonico e quanto altro sono infinite.
A.R. : Parlando di Second Life si può affermare che è in atto una Rivoluzione dei Videogiochi? Cioè, siamo nel bel mezzo di una rivoluzione mediatica della quale i videogame sono i protagonisti?
W. J. AU. : Se si ripercorre la storia dei videogiochi, citando ad esempio J. Hertz e il suo libro Joystick Nation – a history of video games, si può osservare come il videogame è sempre stato visto, a livello sociale, come un semplice gioco. Oggi non si può più parlare di “semplice gioco”. Anzi. Negli USA il professor Kevin Werbach, collaboratore del presidente Obama, che ha lavorato per la sua campagna elettorale, ha puntato molto sui videogiochi e ha portato avanti la campagna elettorale in piattaforme famosissime come World of Workraft o Burnot Paradise on-line, videogame per la Xbox 360. Ed è stata una campagna molto mirata che ha avuto un certo successo in termini di voti. Si potrebbero fare tanti altri esempi di politici entrati nelle realtà virtuali (anche su Second Life) dove hanno portato avanti i propri dibattiti, dandosi nuove forme di visibilità.
In ogni caso ciò che è importante sottolineare è che i videogame sono media, e stanno non solo diventando sempre più importanti, ma sono anche molto potenti. Quindi si, si può dire che è in atto una rivoluzione videoludica. Per quanto concerne Second Life, la questione è molto complessa. Innanzitutto va detto che Second Life nasce come videogame, e che i primi sviluppatori erano tutti sviluppatori di videogame. Ma se è vero che all’inizio SL nasce come MPORPG, cioè come videogioco di ruolo on-line, oggi la Linden definisce la propria realtà virtuale come Virtual World Platform.
Il punto è che, seppur la componente del gioco di ruolo risulta la parte essenziale di questa piattaforma, è stato ritenuto troppo limitativo parlare di SL come un MPORG proprio a causa del fatto che in realtà ci stanno agenzie che fanno business o anche strutture per l’educazione. Così il termine Virtual World Platform include il tutto. Ma non si può dire che SL sia il simbolo di questo cambiamento. E’ stato stimato che gli utenti on-line al mese su SL sono 500.000, contro i 10.000.000 di utenti mensili in realtà virtuali come Habbo. Il problema è che la gente non è ancora pronta al “linguaggio video-ludico”.
Ad esempio il fatto che l’avatar si trovi di spalle è molto difficile da gestire. Stranamente le realtà virtuali con più utenti sono quelle 2D o quelle che hanno un sistema di movimento “punta e clicca”. In ogni caso la componente ludica su SL, il gioco, rimane un fattore essenziale e, visto le innovazioni che ha portato, se si può parlare di una rivoluzione dei videogiochi, sicuramente SL ha un ruolo importantissimo ma in mezzo a tante altre realtà virtuali.
E’ interessante infatti osservare come i dati della Linden ci mostrano che comunque le SIM più affollate di gente siano proprio quelle in cui si gioca di ruolo. Inoltre è anche vero che la gente che viene su SL, per business o per altro, una volta finito il lavoro, si mascherano (oppure no poiché l’avatar è già una maschera) e vanno a giocare di ruolo, o a chattare. La maschera stessa, una volta finito il lavoro è un motivo di relax.
A. R. : qual’è il rapporto tra Second Life e il web? O meglio, qual è la differenza?
W.G.AU : Vi sono due differenze essenziali: la presenza di un corpo e un ambiente immersivo, caratteristiche di Second Life (e dei videogame in generale). Questo punto è molto importante. Negli USA sono stati infatti fatti esperimenti sulle persone che usano realtà virtuali. Sono stati loro connessi dei sensori in tutto il loro corpo per l’analisi delle contrazioni muscolari durante l’uso delle realtà virtuali. Inoltre sono stati fatti esperimenti sull’attività dei neuroni specchio durante l’utilizzo delle realtà virtuali medesime.
E’ stato osservato che quando un utente on-line in una realtà virtuale vedeva un altro avatar, egli contraeva i muscoli come se avesse incontrato un altra persona. Anche l’attività celebrale di un utente che incontra un altro utente ha mostrato risultati interessanti a livello neuronale, mostrando come vi sia un attivazione dei neuroni specchio durante l’incontro.
Questi risultati mostrano che la presenza di un corpo all’interno delle realtà virtuali ci fa muovere come se fossimo nella realtà e questi risultati si osservano anche a livello sociale. Se si prende il web, ad esempio Youtube, si osserva che anche qui le persone sono mascherate, come su SL. Però la differenza sta nel fatto che su SL gli utenti non dicono parolacce e hanno un linguaggio molto pulito.
Inoltre gli avatar rispettano regole del galateo che vengono direttamente dalla RL, come il rispetto dello spazio durante la conversazione. Certo, ci sono casi di persone che insultano magari solo per il piacere di farlo, ma poi si creano un altro avatar. Se hai un ruolo in Second Life, se sei un cittadino del metaverso, ti comporti come se fossi nella realtà reale in un certo senso, da questo punto di vista.
A.R. : Qual è il rapporto tra videogiochi – realtà virtuali e la cultura americana nel mondo? Mi spiego meglio. Queste piattaforme stanno sempre più dando neologismi a tutti i paesi che acquistano questi prodotti dagli USA o dai paesi produttori. Anche quando si hanno traduzioni di tali programmi, comunque qualche neologismo derivante dalla lingua inglese scappa in un certo senso. Bene, la domanda è questa. E’ in corso una forma di colonizzazione mediatica da parte degli USA? Ed il vostro governo appoggia la ricerca in questo senso?
W.J.AU : I videogiochi e anche internet sono nate negli USA, quindi era inevitabile che comunque ci fosse in un certo senso una sorta di “dominazione” di questo mercato, o meglio influenza anche culturale. Questo avviene ogni qualvolta si ha un’innovazione tecnologica in tutte le aree.
In ogni caso vorrei dire che gli USA in realtà non sono i principali o unici creatori di videogame e realtà virtuali. Forse gli USA sono punto di riferimento per la cultura Occidentale, questo si. In ogni caso vanno citati paesi come il Giappone il cui mercato videoludico è molto importante a livello mondiale, anche in Occidente.
Per quanto concerne le realtà virtuali on-line, a tal proposito vorrei citare un filosofo inglese Thomas More, coniatore del termine Utopia, sulla quale filosofia si basa parte della cultura americana. Quali sono le megliori regole per una migliore società?
Questa è la domanda che ci si pone quando si crea un mezzo di comunicazione come SL ad esempio. La nostra cultura nasce da gente che abbandonò l’Europa ed andò a vivere in un nuovo ambiente, in un altro mondo. Da lì noi abbiamo dovuto costruire una nuova società, e vi è sempre stato un tentativo (difficile) di equilibrare questa società stessa, nuova, composta da gente diversa.
Negli USA noi ci chiediamo sempre cosa sia meglio, come fare al meglio una cosa? Quando si costruisce qualcosa diamo sempre il massimo. Bene, Second Life rispecchia pienamente questa nostra filosofia, perchè – come l’America – esso è un nuovo mondo, un nuovo luogo da conquistare, da colonizzare. Quindi, come si è cercato di fare qui in RL anche in Second Life la questione è come organizzare questa nuova società? Come creare un ambiente che dia il meglio a questa gente? E da questo punto di vista forse potrei affermare che gli USA potrebbero essere un punto di riferimento a livello culturale proprio per questa sovrapposizione tra i coloni americani e i coloni di SL. In ogni caso, nel mondo non siamo i primi. La Cina ha alcune realtà virtuali che sono molto più importanti dello stesso World of Workraft, che è una delle piattaforme più diffuse in occidente. La stessa India sta facendo passi da gigante in questa direzione. Potrei anche citare il Giappone o la Korea. Quindi non parlerei di una egemonia americana, seppur il ruolo degli USA in questo mercato, in quanto creatori di questa tecnologia, è sicuramente molto importante.
Vorrei inoltre aggiungere che la rete è un luogo che trascende i confini nazionali e le differenze razziali. Attraverso la rete io ho conosciuto gente di tutto il mondo e ho imparato meglio ad accettare, o meglio a conoscere nuovi punti di vista. Ho amici cinesi, Giapponesi, Europei, Australiani, Africani, di tutto il mondo, e con alcuni di loro mi sono incontrato anche in RL (ad esempio stasera con te per questa intervista.. :)). Per quanto concerne il governo americano se ci appoggia nello sviluppo di questi media, è superfluo dire che gli USA investono molto su ciò che è tecnologia e sviluppo. Nello specifico, parlando di realtà virtuali, esse nascono prima negli ambienti militari e poi vengono portati fuori nel mondo accademico e quindi civile. Anche qui si può osservare come vi sia sempre e comunque una collaborazione governativa nello sviluppo di realtà virtuali.
A.R.: Credi che questi mezzi di comunicazione faranno scomparire quelli tradizionali inglobandoli totalmente?
W.J.AU : Non credo i videogiochi o le realtà virtuali faranno scomparire gli altri mezzi di comunicazione. Ma oggi si assiste ad una sempre maggior interattività dei mezzi tradizionali. In un certo senso i mezzi tradizionali aggiungono componenti video-ludiche al loro tradizionale modello. In ogni caso credo si potrà parlare più di fusione tra questi mezzi. Del resto è ciò che si vede su SL quando si guarda un video in diretta e nel frattempo si chatta o si pongono domande alle persone in streaming.
Andrea Romeo (aka Andret Beck)