Ma, a proposito, cos’è l’innovazione? Il caso COIMA sas.
Genio e regolatezza IV
Di Piero Trupia
Alla fine degli anni ’60 il dottor Spock, autore di un celeberrimo manuale sull’educazione dell’infanzia, dichiarò pubblicamente che buona parte della sua dottrina era errata, chiedeva scusa ai genitori e aggiungeva che in Italia il danno era stato minore in virtù del buon senso tradizionale dei nonni.
Alla fine degli anni ’70 i guru del marketing proclamarono che bisognava abbandonare la nicchia di prodotto e i prodotti maturi. Da qui è nata la new economy e quella dei servizi finanziari e, per li rami, il disastro presente preceduto da avvertimenti, rimasti senza seguito, a causa della fede talebana degli esperti, dei consulenti, dei formatori e, per li rami, dei produttori. Tranne che in Italia, dove, si diceva, quell’indicazione strategica non era stata seguita per provincialismo. Errore! Non era stata seguita per sano buon senso: la gente deve continuare a mangiare, ad arredare, a vestirsi e l’artigianato nell’industria di nicchia è il segreto della qualità. L’innovazione non è la tecnologia in sé. Non si vendono congegni, si vendono macchine che funzionano e sono utili.
Oggi anche queste imprese italiane, rimaste sanamente manifatturiere, di nicchia e di prodotto maturo, lottano per non affogare. Ciò a causa della stretta creditizia e della paura che attanaglia il mondo e deprime la domanda, fenomeni che hanno la loro origine nel disastro della new economy. Queste nostre imprese che soffrono e lottano per sopravvivere sono sane e vitali, vision, mission ed eidos (sostanza, essenza, anima) sono quelle giuste.
COIMA (Ancona), è un produttore sofisticato di nicchia che vende direttamente e rifornisce un grande marchio con molto blasone e non poche rigidità interne. Negli ultimi nove anni ha triplicato la forza lavoro e succhia la linfa dell’innovazione dalla clientela che la chiede per un prodotto apparentemente immobile e stramaturo come l’abbigliamento maschile. Ma, dicono alla COIMA, il prodotto non basta se non si è forti nel mercato globale e per esserlo occorre il sostegno delle istituzioni, quelle politiche e quelle della società civile. Alla COIMA sanno bene che dalla politica non ci si può aspettare molto. Ma l’associazionismo di categoria? Rotarizzato, dicono: notabili o aspiranti tali: rapporti con l’élite politica, conferenze di varia umanità e cene sociali. Incapaci di fare rappresentanza di interessi, specie su temi scottanti come la contraffazione.
Non è il capitale il nostro problema, dicono, né la finanziarizzazione dell’attività e neanche la tecnologia. Vi sono varie forme di finanziamento e di commercializzazione che consentono di chiudere il ciclo finanziario e la tecnologia è ampiamente disponibile. Risorsa scarsa è la manodopera specializzata sul prodotto e sulla gestione delle risorse umane che sono il nostro prezioso asset. Una strozzatura è la rete distributiva a livello mondiale. Infine, la contraffazione, frutto della globalizzazione che per noi ha significato copiatura a man salva.
Ciononostante COIMA esporta il 70% della produzione. Fortunatamente, ci dicono, il nostro taglio e la nostra sartoria sono al momento irraggiungibili. Ma per quanto?
Il mercato italiano è importante per testare il valore innovativo del prodotto.
Vorremmo aprire una linea per l’abbigliamento femminile, specifica per l’età matura che è praticamente ignorata.
Ordiniamo ai fornitori di tessuto delle mischie particolari che abbiamo sperimentato valide sia per la ‘mano’ (sensazione tattile), sia per la portabilità sia per la resistenza della qualità all’uso. Infine, il colore che dipende anche dalla qualità del tessuto. Le nostre lane merino sono 21, massimo 23 micron. È questa, insieme al taglio e alla sartoria, l’innovazione nell’abbigliamento. Sfuggente in se stessa e ancor più che nell’abbigliamento femminile. Ma quando, pur con le limitazioni dello stile maschile, si raggiunge il risultato, questo lascia il segno. Di più c’è che il linguaggio della nostra sartoria non conosce confini. Abbiamo dato al mondo il gusto dell’abbigliamento; senza forzature abbiamo indotto il mondo a vestire europeo e soprattutto italiano. Per riconoscenza dovremmo un po’ ricambiare.
Siamo appena agli inizi. C’è tanta gente ancora da vestire e non soltanto da coprire.