E’ il marketing emozionale il marketing della postmodernità?

di Diomira Cennamo

Il marketing e la comunicazione stanno ripensando se stessi alla luce di una dimensione forse troppo trascurata nella civiltà occidentale: le emozioni. E l’approccio che la sostiene non può che essere interdisciplinare, proprio perché deve cogliere i diversi aspetti dell’essere umano.

“Marketing emozionale”, di Francesco Gallucci (ed. Egea), è un vero e proprio manuale che affronta e promuove in maniera sistematica questa prospettiva componendo gli sforzi che in passato, sin da Aristotele, e fino ad oggi, sono stati tesi a valorizzare la sfera dell’emotività nei diversi campi del sapere, in particolare quelli legati agli studi sui modi attraverso i quali conosciamo la realtà e interagiamo con essa. Sì, perché il processo d’acquisto non è altro che un processo cognitivo.

Se ancora oggi non siamo in grado di definire tutte le emozioni umane, è però vero che sono maturi i tempi di una riconsiderazione dell’uomo e delle sue attività culturali, tra cui il rapporto con il mercato, in un’epoca di grandi cambiamenti di prospettiva, come ad esempio il passaggio dall’idea di comunità a quella di network, o l’affermarsi di un desiderio di “felicità condivisa” e la trasformazione profonda di tutto il sistema delle relazioni, anche in seguito al diffondersi delle nuove tecnologie. In un’epoca, insomma, di postumanesimo, in cui le caratteristiche cognitive dell’uomo sono potenziate e modificate dagli artefatti tecnologici.

Il marketing classico, quello delle 4 P, deve allora necessariamente evolversi non rinnegando le proprie acquisizioni teoriche, ma riconoscendo gli apporti che possono venire da discipline diverse e di stampo dia scietifico che umanistico. Tra queste la sociologia, l’antropologia, la psicologia, le neuroscienze, la filosofia del linguaggio e della comunicazione.
In questa nuova prospettiva, le marche diventano centri erogatori di energia emotiva, che instaurano relazioni tanto migliori con i potenziali consumatori quanto maggiori sono le capacità che esse hanno di raccontare delle storie in grado di emozionare.

L’emozione sta prendendo sempre più piede nel contesto attuale, favorita dall’information overload, fonte del “caos multimediale”, e dall’affermarsi sempre più dirompente del principio consumistico del piacere.

Molto interessante la trattazione sulla fondamentale componente del design e sulla disciplina scientifico-filosofica orientale del kansei, che studia il livello di armonizzazione tra l’utente nella sua dimensione mente-corpo da un lato e il prodotto con cui interagisce dall’altro. Il kansei, introdotto in Giappone negli anni Settanta e ispirato all’Aesthetica di Baumgarten (filosofo tedesco del Settecento), interpreta il design come tecnologia emotiva e può essere, secondo Gallucci, proprio il terreno teorico in cui far emergere un vocabolario comune alle varie discipline chiamate a raccolta dal marketing di oggi.

Ma quale contributo possono dare al marketing gli studi sul cervello? Le neuroscienze ci dicono che la memoria di un evento, così come di un servizio o prodotto, viene rafforzata positivamente se gli stimoli connessi toccano i nostri sensi e quindi la nostra parte emotiva: questo effetto scaturisce dal moltiplicarsi delle connessioni tra i neuroni che i vari livelli di esperienza producono.
In tale logica, assume quindi nuovamente un ruolo centrale il negozio, dove l’esperienza di acquisto può essere arricchita di tutte le tipologie di stimoli sensoriali, in un’immersione emozionale del consumatore nel punto d’incontro fisico con il brand, che da luogo di contrattazione giunge ad essere vero e proprio luogo di suggestione.

Le reazioni emotive del nostro cervello sono misurabili attraverso una serie di tecniche messe in atto da 1-to1 lab, il laboratorio di ricerche sul marketing diretto dallo stesso Galluci. Si tratta di rilevazioni biometriche come biofeedback, eyetracking e neuroimaging che, combinate alle interpretazioni della psicolinguistica e della psicologia cognitiva, puntano a spiegare le reazioni inconsce del consumatore nei confronti della marca.

Alla stessa stregua di qualsiasi altro prodotto, Gallucci consiglia di fare di città e territori, di per sé luoghi dispensatori di emozioni, delle marche emozionali, che siano cioè in grado di coniugare comunicazione a qualità, tradizione, identità. Un invito alla disciplina nascente del marketing territoriale a darsi presto una connotazione di respiro più ampio, che è probabilmente con più forza richiamato proprio da un prodotto così peculiare come l’ambiente in cui gli esseri umani vivono e producono continuamente cose intrise di cultura a volte millenaria e di cui iniziamo oggi ad essere consapevoli estimatori.

La domanda, che lo stesso testo si pone, è a questo punto quanto tutto questo possa tradursi in manipolazione. L’approccio sembra intanto un’opportunità per le aziende di venire incontro alle esigenze dei consumatori (oggi estremamente preparati ed esigenti), arrivando ad averne tanto rispetto e tanta conoscenza fino al punto di coccolarli, e per questi ultimi di vivere esperienze gratificanti e arricchenti i momenti della transazione economica e, perché no, i diversi momenti della vita.

Francesco Gallucci è docente di Sociologia della comunicazione presso il Politecnico di Torino e di Marketing al Politecnico di Milano. E’ anche autore dei libri Web Management e Il marketing dei luoghi e delle emozioni.