Come per tutti i film dell’orrore che si rispettano, non posso esimermi dal dare un seguito al post dedicato ai giornalisti giurassici. Continuano infatti ad imperversare ancora più che gli zombi di Stephen King, che si limitano a ritornare solo a volte. Loro invece, i giurassici, risorgono dai loro sepolcri di carta stampata o dalle loro tombe catodiche, puntualmente, ogni giorno. Stiamo solo agli ultimi tre. 26 gennaio. A Roma dilagano gli stupratori? Gli inquirenti, che brancolano nel buio quanto all’individuazione dei colpevoli reali, prontamente scovano un gruppo virtuale su FB che inneggia allo stupro di gruppo (TG3 del 26 gennaio, edizione serale, immediatamente ripreso da La Repubblica del 27, dove se non altro si ha il buon gusto di sottolineare già nei titoli che“il popolo della Rete è in rivolta”).
Come ha notato Antonio Fazio, in un commento al precedente post, “almeno ci vorrebbe più senso dell’humor… L’immediatezza, l’essenzialità e la capacità di fare opinione in tempo reale insite nel DNA di fb affascinano e al contempo generano complessi. Qualcuno ci si diverte, altri ci lavorano o per lo meno tentano di trasformarlo in uno strumento utile per esprimersi live e condividere idee o anche solo sensazioni, altri ancora combattono fb perchè non se la sentono di affrontare una nuova alfabetizzazione communty based o perchè gli sembra che l’accessibilità sottragga loro un parte di charme. C’è più show off, falso pudore o ipocrisia? L’esempio di Nicoletti che vira da un metaverso all’altro e affascinante e vivaddio ironico: ricordate l’estate scorsa il caso del tizio che aveva fatto un ‘avatar sosia di quello di Gianluca e che, grazie all’espediente, si “faceva” le fans di Melog 2.0? Squallore o genialità? Io lo trovato buffo ;)) roba da commedia all’italiana!”
Ma, proprio a proposito di commedia all’italiana, i giornalisti non demordono anche quando danno l’annuncio che Facebook diventa un film. Il Corriere della Sera dedica oggi una pagina all’evento, ma se, nella prima parte, descrive le caratteristiche del film, un istant movie collettivo, nella seconda si impegna a mostrare come gli stessi interpreti e registi degli 8 episodi che lo compongono disprezzino Fb: “Facebook –chiede mellifluo l’articolista Valerio Cappelli, ha una funzione di servizio o è l’eremo tecnologico per truffe sentimentali?” Ed ecco le risposte: “Caterina Guzzanti: «Non si parla d’altro, ne ho quasi la nausea, ci metto le mie cose vecchie da YouTube e i miei amici ci scrivono due cavolate; rifiuto tanti sconosciuti, molto carini ma danno per scontato che voglia avere più amici, è una malattia, è inutile, non ci conosciamo che dobbiamo dirci?». Pietro Taricone: «Non sono registrato, vivo in campagna e uso la rete per lo shopping telematico, ho i cavalli e trovo pure le recinzioni maremmane». Laura Muccino: «Un mondo grottesco. Su Facebook di me non dico nulla, lo uso poco, parlo in terza persona, i miei fratelli non sono iscritti. Mi fanno ridere quelli che dicono mi cancello, nessuno lo fa; oppure chi ti dice dopo un appuntamento: sono stato tanto bene. Ma dimmelo a voce! Siamo stati per 20 anni senza sentirci, ci sarà un motivo? E poi ‘sta cosa sadica di mettere la foto di scuola…». La parola ai registi. Emanuele Sana: «Facebook è una bacheca fuori casa». Laura Luchetti: «All’inizio pensavo fosse un virus»; Mauro Mancini: «Io su Facebook mi esprimo attraverso il mio pesce Orazio, faccio parlare lui».
Se questa è la profondità con cui il film legge Facebook siamo a posto. Mi auguro che queste dichiarazioni diano solo la misura dell’intelligenza dell’articolista e di quella di Taricone. Altrimenti, arridatece la raffinatezza della riflessione sociologica di Bombolo buon’anima e Cannavale, o almeno di Alvaro Vitali, verrebbe da dire. In ogni caso complimenti a protagonisti e interpreti citati, che con queste dichiarazioni sicuramente si sono fatti un’ottima pubblicità presso i Facebooker che costituiscono il pubblico più interessato ad una operazione del genere…