Fisiopatognomoscopia XI
La crisi economica di questi giorni ha toccato l’Italia a dispetto della limitata propensione dei risparmiatori italiani per le scommesse finanziarie. Non porterà gravi danni al nostro sistema produttivo in ragione della qualità inimitabile della sua produzione per l’export. In modo netto nell’ambito delle quattro A dell’eccellenza italica: alimentazione, abbigliamento, arredamento, automazione. In altri settori di singole imprese ci sono produzioni allo stesso livello. I pianoforti Fazioli e le fisarmoniche di alta gamma di Castelfidardo , dopo che quelle di qualità corrente sono state monopolizzate dai cinesi tramite imitazione servile. Un caso a parte è la storica, irrangiungibile liuteria di Cremona. Al contrario in campo automobilistico siamo ben lontani dai livelli raggiunti negli anni trenta anche per la produzione di consumo, Lancia e Alfa Romeo in primo luogo. La crisi odierna del settore potrebbe essere un’occasione per tornare a quei livelli.
Il segreto del successo produttivo italiano è per nulla misterioso. È la competenza distintiva della qualità che affonda le sue radici in una grande tradizione di cultura e di artigianato. Il design ha portato entrambi questi asset nella produzione di massa. Essa è industriale e artigianale insieme, legata al genius loci, orientata ai bisogni e alle aspettative materiali e simboliche della clientela, prestazionale, vale a direte innovativa non tanto nella componente tecnologica, che tuttavia è presente, quanto in una prestazione nuova e risolutiva per l’utilizzatore.
Il settore nel quale l’eccellenza italiana è inattingibile, anche se sembra a portata di mano, è l’arte. Esiste il fenomeno dei cosiddetti falsi d’autore, copie dichiarate di capolavori che hanno un mercato. Perché no? si dice. Esistono le riproduzioni fotografiche, meglio una manuale e della stessa materia dell’originale, tela e colori. Non è così. La copia fotografica è più fedele, poiché l’obiettivo della macchina fotografica è esente da distorsioni soggettive.
Vediamo un caso concreto.
Le due immagini a corredo di questo scritto sono, quella a destra, una riproduzione fotografica della Gioconda; quella a sinistra, la copia di un pittore cinese. Mostro le due immagini prive di didascalia a una mia classe. Il 90% distingue l’originale dal falso. L’impatto è diverso: appagante l’originale, disturbante la copia. Chiedo come hanno fatto e la risposta è incerta e confusa. Chiedo come mai l’esperto copista abbia cos’ clamorosamente fallito e la risposta è pronta: la mano non è italiana, toscana. Replico che non è questo il punto e invito a riflettere, aiutandoli con una strofa di Michelangelo. Non ha l’ottimo artista alcun concetto / che il marmo dentro a sé non circoscriva / col suo soverchio. E solo a quello arriva / la mano che ubbidisce all’intelletto. Ancora risposte generiche. Preciso allora che l’espressione michelangiolesca è incompleta nel senso di abbreviata. Che tra mano e intelletto manca un passaggio. È l’occhio e quella sua funzione nel processo produttivo dell’opera che è lo sguardo. Occhio e sguardo ci portano lontano dalla riproduzione fotografica e sbarrano la strada al copista. Lo sguardo italiano diverso da quello cinese che non ha visto, fin dalla nascita, l’Italia e le sue fattezze, are e artefatti cosparsi nel territorio, il paesaggio naturale e quello urbano. Lo sguardo è un atto dello spirito, è la sintesi dell’esperienza giornaliera e di una vita. Se poi è quello di un autore ispirato, non c’è speranza nemmeno per un copista connazionale.
La mano allora , in quanto terminale di un sistema e di un processo di presa della realtà (percezione, appercezione, sintesi passiva, sintesi attiva ecc.), esegue ciò che la mente – l’intelletto in Michelangelo – ordina di fare.
Ecco ora la diversità clamorosa tra le due immagini.
Le mani dell’originale sono morbide, articolate in minuscoli rigonfiamenti e lacune al polso e all’attacco delle dita. La sinistra dell’originale è tonica e pronunciatamente prensile, uniformemente rigonfia, disarticolata e abbandonata nella copia. Il sorriso è tale nell’originale, un ghigno nella copia. Ciò a causa della tensione delle labbra, specie il superiore, e della contrazione agli angoli della bocca. Idem per la fronte inespressivamente spianata della copia. La forza intenzionante dello sguardo che cattura e prende possesso dell’oggetto nell’originale, nella copia è di sfida e non di complicità. Nell’originale è di attenta e tuttavia tranquilla elaborazione del veduto, all’insegna della spezzatura di Baldassar Castiglione.
La cornice della copia è lignea in stile rinascimentale e sono convinto che un notro ebanista ne rileverebbe le pecche.
È stato chiesto a Laura Biagiotti se il nostro abbigliamento soffrirà della crisi. “Non credo.” La risposta. Il mondo non può fare a meno del made in Italy.