Considerazioni attorno al secondo capitolo de Le Aziende In-Visibili
di Gianluca Garrapa
Il descrittore digitale non lavora più sul passato analogico del testo calviniano. Il descrittore lavora sulla sua inter-assenza per definirsi come descrittore elettronico vivo. Deve modellare il suo interfacciarsi, il momento in cui interscambia informazioni con il s-oggetto.
Il s-oggetto traduce il testo del passato analogico nel futuro digitale. Il futuro digitale è alle spalle del descrittore organico.
Nel digitale il descrittore organico assume una coscienza elettrica, e l’antico avatar del blog (il testo elettrico lineare) evolve in s-oggetto. Lo chiamo così l’avatar di Second Life. Il nuovo mondo da colonizzare. È ancora così vuoto. Un vuoto virtuale non è il nulla, soggetto e oggetto non sono separati, non v’è gerarchia, è la congiunzione del sì e del no, è il vuoto della fisica moderna, che intende il vuoto come contenente tutte le possibilità di forme delle particelle, simile insomma al caos di Deleuze: il caos, in realtà, non è tanto caratterizzato dall’assenza di determinazioni quanto dalla velocità infinita con cui queste si profilano e svaniscono.[…]Il caos non è un tutto inerte o stazionario, non è un miscuglio casuale. Il caos rende caotica e scioglie nell’infinito ogni consistenza.
Nel digitale, quando una storia inizia, finisce e si ripete, avviene un capovolgimento stesso del finire e del ripetere: il descrittore mutante fatto di carne, sangue e nervi, diventa macchina digitale. Una diversa visione e utilizzabilità del mondo sociale implica una diversa gestione dell’azienda umana. Aspettiamo l’in-umano per riconoscere le valenze umanitarie del fatto economico?
Il medium digitale in-determina la visione analogica e il descrittore produce un personaggio e un paesaggio virtuale per alterare lo squilibrio quotidiano figura-sfondo, capo-dipendente. Una rivoluzione elettrica e ambientale. Tutto il corpo agisce sul flusso, sul suono artificiale, viaggia.
Nel bazar delle visioni animistiche, il proprio ethos interiore cambia e di conseguenza anche il flusso elettrico esterno muta. Avviene l’interscambio tra le proprie in-formazioni e le inform-azioni elettriche. Performarle, aggiustarle, crearne di nuove o fissarle abbastanza a lungo da farle leggere-modificare da altri o da se stessi in altri momenti. Altri mondi devono poter incidere la memoria analogia. Memorie digitali nell’anamnesi del perduto sentire umano. Umano sei, umano ritornerai.
“Voi uomini aldilà del monitor,” mi avvertono i personaggi elettrici, “avete poca coscienza della vostra interassenza: la macchina digitale non facilita la riscoperta del vostro io-corpo se gli schematismi dell’approccio al caos digitale, seguono alla lettera la linearità gerarchica dell’analogico.”
Il personaggio elettrico strizza l’occhio e benevolo accoglie il descrittore in-visibile dell’azienda che indugia sul doppio del corpo temporale più che sul prodotto-profitto nel tempo, sul quadrato dell’umano più che sul quadrare dei conti.
Questo mi fa riflettere. È un attimo. Divento un riflesso. Una revisione non-reale del mondo determina un cambiamento di questo mondo. Quando il corpo-mente del descrittore diventa virtuale, non solo digitale, egli con proprio s-oggetto virtuale, fa comprendere ai gerarchi inumani la problematica dei propri sensi corporei. La necessità di un digitale in-umano.
La lettura in-visibile del testo e la traduzione digitale dell’analogo trasposto, mette in scacco il paradosso di un padrone-significante nell’ambito delle interculture digitali. Per evitare che la memoria digitale possa perpetuare luoghi del pensiero occidental-aristotelico da sfruttare e colonizzare, come in una sorta di elettrocentrismo, il descrittore rimette in vita il rapporto bipartito tra la persona-mutante quadrimensionale e la cosa-azienda bidimensionale, tra il corpo analogico e il doppio immateriale del suo s-oggetto digitale. Io sono l’occhio che segue e il falco maltese che vola con l’anima del mio vecchio futuro analogico.
L’Altro è macchina. Io voglio creare la macchina che è in me ma la macchina digitale ricrea l’astratto, il non rappresentabile, il doppio del sogno. L’Altro concretizza qualsiasi cosa, annulla le distanze, azzera questo tempo e questo spazio. Diventa immanente quello che è lontano, il mitico diventa quotidiano. L’Altro però deve restare Altro dal sé organico dell’analogico.
Dobbiamo essere Postdigitali: quando non il corpo, né la parola che crea e nemmeno il capitale possono decidere il contraddittorio. Non più la terra, né il despota e nemmeno quello il capitale, ma il Virtuale, il non reale, che li comprende tutti. Nel Postdigitale il non reale non significa il falso, significa umano. Mi fido dei personaggi elettrici che dal Postdigitale attendono e sono pronti ad accogliere i descrittori mutanti. Ad ascoltare. I mutanti sono mutageni. Cambino pure l’atmosfera con il silenzioso silere.
La reciprocità che dunque esiste fra i corpi-mente e gli hardware-software fanno dell’in-magine bidimensionale serafi(ni)ca lo scarto tra ciò che è visibile e ciò che non lo è differendo dall’immagine illusionistica della rappresentazione naturalistico-lineare che rimanda solo a se stessa, al massimo al suo contorno analogico. Mai all’Altro digitale.
L’in-magine è un segno. Il segno non è però imitazione o somiglianza, ma posizione e produzione di desiderio. L’azienda in-visibile non è mimesi rappresentativa di un particolare aspetto sociale o psicologico dell’analogo calviniano, non è un semplice remake postindustriale, né tanto meno mera improvvisazione postmoderna, ma la creazione di un ponte attraverso cui possa defluire l’energia tra fruitori-lettori in-visibili e descrittori, tra un misterioso esecutore cosmico e il corpo-mente di ogni singolo descrittore. È l’inizio del Postdigitale.
L’azienda in-visibile evita la simulazione del prodotto spettacolare mercificato e ripetibile, bandisce l’impossibile e allettante divenire statico, non predilige il testo fine a se stesso, il testo-immagine indipendente dalla sua origine quadrimensionale di evento in progress, cifra ontologica delle innumerevoli scritturazioni da inconscio nevrotico, immaginario, simbolico, espressivo più che produttivo: come l’inconscio analitico di Edipo. Edipo canalizza i flussi delle macchine desideranti libere, nella triangolazione familiare quotidiana e, sulla pagina, nella triade regista-spettacolo-pubblico, immagine-consenso-capitale e via di seguito (Teatro dello spettacolo). L’in-visibilità non è scrittura da quattro soldi ma descrittura a quattro dimensioni. Non è la rappresentazione di un inconscio analitico del corpo gerarchico ma la produzione di quello elettrico del s-oggetto mutante.
Si diceva che il s-oggetto genera mutamenti trasportando l’in-formazione nell’inform-azione. Dis-amplificando le storture del reale-analogico: non ripete nulla né differisce, ma salta. Produzione di ripetizione ritmica binaria di un cuore pulsante, non rappresentazione di un processo schizofrenico a vuoto.
Produzione ma non rappresentazione in cui metafore indirette, come maschere, collegano elementi che divengono. Assenze e interassenze. Il descrittore agisce il no del proprio ruolo, costruisce e distrugge, produce nuovi significati, altera l’equilibrio, confonde intenzionalmente gioco e non-gioco. Eppure le parole-scritte sono inefficaci al dire, le metafore della retorica classica sono definitive. La chiarezza, la sicurezza dello spettacolo-merce, richiedono una metafora che spieghi, che chiuda in un ragionamento positivista la vita, l’arte e il gioco. Ma la consapevolezza e il rispetto per il molteplice, la dignità di ogni livello di realtà e diversità richiede una metafora indiretta, che spieghi l’impossibilità del possibile, la necessità di non confondere gesti che accadono con i marchi che sigillano nella tomba dei significati, la spontaneità, la danza, la vita, l’arte e il gioco.
Il descrittore analogico e il s-oggetto digitale riconsiderano i rapporti fra le parole e i gesti, in una maniera completamente differente; in una dialettica fra l’ordine meccanico e il disordine, che conduce verso ciò che i cinesi chiamano ‘Li’, l’ordine asimmetrico e imprevedibile che caratterizza la vita organica.
La metafora in-diretta, la maschera che rende in-visibile il volto delle cose, è l’alternarsi che esclude separazioni nette e definitive.
Questo stesso post, che state leggendo, costruito di parole, di segnali, di fenomeni fisico-elettrici che trasmettono link-formazione, diventa un contenitore tridimensionale, dinamico, attraversabile. L’in-ficio sulle cui finestre crescono grandi margherite. Un discorso umano non può contemplare una continuità fluida: ma dei tagli, passaggi tra realtà in-differenti, molteplici.
Cicli continui di costruzione e decostruzione, di flussi, energie, interruzioni e codificazioni.
“Ma cos’è la distruzione e la vertigine del s-oggetto digitale?” domandai infine al personaggio elettrico e al mio Ego organico. Si fissarono inquieti uno negli occhi dell’altro, parlottando freneticamente in cerca della soluzione.
Ad un certo punto, come per incantesimo, da quella frenesia scaturì la calma. Rimasero zitti. Indovinarono il senso della domanda. Sul loro volto scese improvvisamente la serenità, e si lasciarono andare ad un sorriso di saggezza. Restarono immobili, in attesa. Avevano trovato la risposta esatta.