Pino Varchetta: La terra degli uomini rossi-Birdwatchers (regia di M. Bechis)
Una striscia di terra rossastra appena profanata dalle macchine agricole possenti dei fazenderos precede “quel che resta” della foresta. Prima, durante il tempo degli Indios, i figli di quella terra, lì nati e lì cresciuti, la foresta occupava ogni spazio, insieme al grande fiume.
Ora, durante il tempo dei fazenderos, la foresta arretra giorno dopo giorno, mangiata dalla terra rossastra scoperta dai fazenderos sotto gli alberi della foresta. Gli Indios sono stati cacciati nella riserva, lontani dalla loro foresta, in un habitat a loro estraneo, costruito dall’uomo bianco. Si prestano a mille lavori per poter sopravvivere, bevono la bevanda di fuoco dei fazenderos e lentamente si spengono, fino, soprattutto i più giovani, a suicidarsi. Si appendono, oscillando al vento dolce della foresta, ai loro alberi e di lì, uccisi dal cambiamento, osservano la terra avanzare. La mdp coglie la ribellione di un gruppo di Indios intorno a uno sciamano e a un capo. Quel gruppo decide di rompere la mutua collusione con i bianchi e occupa la terra dei fazenderos, rossa davanti al verde della loro foresta. Nasce lì un villaggio fatiscente, ma capace di raccogliere e contenere uno spirito di ribellione nuovo, un’opposizione al regime dei caporali che continua ad offrire giornate di lavoro nelle fattorie, alla suadente cantilena degli emissari dei fazenderos, che cercano di recuperare il vecchio regime di silenziosa acquiescenza. Ma lo spirito nuovo si espande e raccoglie proseliti e il villaggio fatiscente cresce, fino a diventare un piccolo gruppo umano nuovo, consapevole dei propri diritti e soprattutto di costituire una sfida, un precedente, un problema. Il racconto diventa western, quei racconti civili cui l’ultima parte della filmografia fordiana aveva abituato generazioni di cinefili passate e che Bechis, dopo la meditazione struggente sui desaparecidos argentini, ci ripropone attraverso immagini e tagli capaci di accompagnare con non dubbia scelta di parte la crescita sociale e individuale di quel gruppo di Indios. Il racconto assume toni epici classici e racconta della violenza, del delitto di cui è vittima il vecchio capo e dell’eredità di riacquistata dignità individuale e di gruppo che la sua testimonianza lascia alla sua gente, ora determinata a non lasciare quella striscia di terra dove i loro avi avevano visto e vissuto la foresta e dove loro, figli, hanno saputo rifondare dignità e speranza. Torna il tema dei figli, caro alla filmografia di Marco Bechis. Nel suo penultimo film, “Hijos, Figli”, vittime della tragedia argentina rialzano la testa e percorrono un lungo viaggio alla ricerca della loro vera identità, della loro vera origine, contro l’effimero quotidiano nel quale sono stati obbligati inconsapevolmente a vivere. Ne “La terra degli uomini rossi” i figli di nuovo raccolgono una sfida, questa volta in gruppo e, capaci di dialogare con i propri padri, testimoniano un diritto comune all’autodeterminazione, a non essere obbligati a tradire la propria origine di storia. E’ lo stesso tema: là, nel film “argentino”, cantato su uno spartito diventato intimistico, qui, nel film “brasiliano”, cantato su uno spartito fin da subito politico, collettivo.