Les Demoiselles d’Avignon
di Piero Trupia
In un immaginario corso di studi di Picasso – di quelli che lui sistematicamente rifiutò – questo dipinto illustrerebbe l’esercizio “Descrizione di un incontro”.
In uno dei 100 studi preparatori, le Demoiselles incontravano uno studente in medicina, con libro e teschio in mano, e un marinaio. Sono stati omessi per rendere l’incontro, meglio un conato di esso, indeterminato e quindi universale.
Nel 1974 Leo Steinberg titolò un suo studio sull’opera The Philosophical Brothel; filosofico per il carattere archetipico della scena: l’offerta di un rapporto sessuale al di fuori della sua naturale destinazione al generare, istituzionale, tuttavia, quanto quello del contesto familiare.
Picasso aveva frequentato la casa di piacere di Calle d’Avignon a Barcellona e ne aveva riportato un’impressione insieme di attrazione e di terrore, ennesimo Adrian Leverkühn che incontra Mefistofele. Era il tempo in cui, in entrambe le occorrenze, la sifilide infieriva.
La scena delle Demoiselles – cm. 243,9×233,7 – è la vetrina di una bottega del sesso. La donna sulla sinistra, indifferente e statuaria, sguardo assente, alza la tenda per fare apparire la merce. Una citazione, senza alcuna intenzione blasfema, degli angeli della Madonna del Parto di Piero della Francesca a Monterchi. La citazione si adagia sull’altro polo dell’ossimoro: generazione negata contro generatività in atto con l’opposizione sul piano attanziale (del ruolo del personaggio) della donna picassiana maitresse di contro all’angelo nunzio.
Le due figure al centro sono le uniche che interpretano coscienziosamente il copione dell’offerta-invito. Braccia alzate nell’esibizione, posa morbida del fianco e della gamba, sguardo al pubblico che però, nella standardizzazione del gesto, è di fatto perso nel vuoto. Assente però, non fermo come quello della cariatide a sinistra.
Le demoiselles, a destra, vengono dalla madre Africa e ne indossano la maschera. Sono, al di qua dell’umano, icone di una sessualità senza sensualità. Quella in primo piano tiene le gambe aperte senza alcuna finzione seduttiva. Quella dietro irrompe da una profondità cavernosa e ignora il luogo e le circostanze. Vive e agisce nell’altrove di una primitiva, intatta animalità. Assoluta rispetto a quella della compagna.
La fruttiera in primo piano è il patetico tentativo di inscenare un’accoglienza familiare.
La rappresentazione delle Demoiselles è auroralmente cubista. L’immagine è bidimensionale e schiacciata sul primo piano; lo spazio si forma da piani che s’intersecano; le figure sono anch’esse sottoposte a una geometrizzazione e la coloritura è campita come quella della faccia di un solido, talché sono conquistate dallo spazio invece di occuparlo e conquistarlo. Diventano così icone di una vicenda simbolica fuori del tempo perché immedesimata con il tempo.
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