Secondo Jolles, il “racconto a cornice” non è una “forma semplice”, ma piuttosto una “forma artistica”, dunque una “forma complessa”. Una “forma semplice” è una forma immediatamente riconoscibile (egli pensa al proverbio, all’enigma, al motto); anche se non cogliamo immediatamente tutto il suo contenuto particolare, siamo in grado di riconoscerla al primo sguardo. Alcune di queste, come i proverbi, vivono di un’esistenza solitaria, altre mostrano una propensione alla fusione con altre forme simili. Diversa è, invece, la forma a cornice, “dove narrazioni di tipo diverso vengono riunite secondo una modalità che non deriva dai racconti stessi:al contrario, il lettore ricava l’impressione che i racconti scaturiscano dalla cornice".
Esiste dunque un processo di continuità contenutistica tra la cornice e i racconti ad essa connessi, una continuità che spesso si converte in un rapporto di completamento, approfondimento e specificazione. Potremmo domandarci, in quale senso? Ogni cornice è caratterizzata, continua Jolles, da un comune intento: essa tende infatti a disegnare un percorso (morale, filosofico, concettuale). Se dunque essa esprime l’unitarietà di un cammino, di qualsiasi natura esso sia, ciò che viene tra essa narrato ─ i racconti ─ si propone come una sua immagine esemplificatrice, come un insieme di esempi che, attraverso situazioni dissimili, propone in modo essenziale, ciò che la cornice racconta portandone alla luce ogni volta un particolare aspetto.
Lo schema narrativo de Le Città Invisibili (che viene ripreso ne Le Aziende In-Visibili) è tuttavia racchiuso in una cornice molto diversa da quella fissa, rigida del canone letterario tradizionale (vedi ad esempio il Decamerone), così come le forme “elenco” ed “enciclopedia” discusse in Nulla due volte. In questo caso vi è un’oscillazione continua dentro e fuori dalla cornice, che ci dispone così nella prospettiva che sola abilita alla lettura delle città di Marco (Polo) e delle aziende di Marco (Minghetti) per quello che sono: il racconto aperto delle molteplici forme di vita che ci consentono di cercare un senso e una trama anche per il nostro singolare racconto esistenziale.
Ne Le Aziende In-Visibili, infine, i dialoghi fra l’Imperatore Kublai Kan e l’esploratore Marco Polo si trasformano nelle conversazioni intessute dall’Amministratore Delegato Bill H. Fordgates (che rappresenta la crisi degli innumerevoli scientific manager allevati ad una scuola che inizia con Henry Ford e arriva a Bill Gates) e il suo Direttore del Personale Sam Deckard. Il rapporto dialogico fra i due riecheggia quello fra Imprenditore e Responsabile del personale che è stato splendidamente descritto nel recente romanzo di Yehoshua intitolato appunto Il Responsabile delle Risorse Umane. Ma soprattutto si è voluto fare ironico riferimento al Rick Deckard di Blade Runner, ovvero al cacciatore di mutanti, protagonista del famoso film tratto da un romanzo di P.K. Dick, che alla fine scopre di essere lui stesso un “replicante”.
Da Le Città Invisibili a Le Aziende InVisibili, 22 – continua
In apertura: Città lagunare 1, di Luigi Serafini