Ogni azienda vive sempre più in città “continue”, ovvero fortemente coerenti con una certa “idea” imprenditoriale, per una nuova forma di funzionalismo strategico messa in luce per la prima volta dal sociologo Richard Florida nel volume L’ascesa della classe creativa.
In pratica, se siamo nel business della finanza, la nostra azienda sarà baricentrata su Londra o New York; se parliamo di trading dei metalli, Johannesburg, Dubay o Sydney; se di moda, Milano o Parigi; per il cinema Hollywood (o l’indiana Bollywood), per l’ICT la Silicon Valley o Bangalore….
Il fenomeno è tale che nel 2002 è stato lanciato il Creative Cities Network. La rete, formata sotto l’ombrello dell’Unesco, raccoglie alcune città che, in un mondo senza frontiere, hanno accettato di competere sul terreno della creatività. Una città si candida per una sua caratteristica forte e, se viene accettata nella rete, lavora con le altre per affermarsi nel mondo. Santa Fe è nel network per la Folk Art, come l’egiziana Aswan, e per il design, come Berlino, Buenos Aires e Montreal; Bologna e Siviglia per la musica; Edimburgo, la prima a essere scelta dall’Unesco, per la letteratura; la colombiana Popayan per la gastronomia.
Nel nostro romanzo collettivo il rapporto fra locale e globale viene descritto in vari modi. Ad esempio ne parlano Deckard e Fordgates nell’Episodio 35:
“Deckard ricordò che Bill H. Fordgates s’era accorto di quanto le aziende che gli narrava s’assomigliavano, come se il passaggio dall’una all’altra non fosse che il giro, in un caleidoscopio, di pezzi sempre uguali: il servizio al cliente, la sostenibilità, la qualità, le risorse umane … Stavano sfidandosi a Tetris, con la silenziosa antica passione di Montezuma e Cortes, gli sguardi fissi sugli schermi dei portatili, ognuno accoccolato alla sua postazione ai lati opposti del giardino pensile dell’headquarter, interamente cablato per la connessione Wi-Max: consapevoli che il gioco rappresentava il vero rapporto fra loro e che dall’esito di quella partita dipendeva il proprio destino personale ma anche quello della Corporation.
– Eureka!, aveva digitato all’improvviso Fordgates, utilizzando la modalità chat del videogame, Tutto sta nella tessitura, nella partitura, nel disegno architettonico. Il management è fatto di elementi da assemblare, come i fili di seta di un tappeto da cucire insieme, come le note musicali da comporre in una sinfonia, come i pesi, i volumi e le dimensioni di un ponte. Naturalmente questi elementi devono dare vita ogni volta ad un insieme coerente, ma non sono essi, in quanto tali, è il modo sempre diverso in cui si incastrano a definire la singolarità di una azienda. D’ora in poi quindi sarò io a proporre schemi e modelli, da smontare e ricostruire, combinandone e variandone le strutture interne. Tu verificherai che a questi tutto sia ricondotto.
– La forma della Corporation, aveva risposto Deckard, non è d’ordine logico, ma intuitivo. Prima va esperita e solo poi ordinata, poiché risiede all’interno del suo percorso di costituzione.
– E, dunque, quale è questa forma?, aveva replicato Fordgates, spazientito.
– È quella che si costruisce nel tempo divenendo l’ordito visibile dei progetti umani e, insieme, la loro persistenza a partire dal desiderio che li ha generati.
– Io non ho desideri, ma strategie, fondate su una formula, su una certa combinazione di prodotti e di mercati: sulla scelta di entrare in nuove aree di business, uscire da quelle vecchie, espandere la posizione attuale.
– La razionalità prescrittiva non basta: la Corporation assume una forma plasmata anche dai desideri di coloro che ne scrivono ogni giorno la storia; e i desideri cambiano col variare sempre diverso dell’istante. Danno vita ad una geografia mutante, la geografia dell’innovazione e della creatività, che non coincide con un‘immagine piatta del mondo.
– E che fine fa allora il genius loci?
– I luoghi contano perché ognuno è un insieme unico di esperienze, competenze, linguaggi, legami, prospettive condivise, capitale sociale. E’ la dipendenza da questo contesto che rende una regione, ed una azienda o Divisione della Corporation in quella regione, più o meno creativogenica, più o meno ricca di un suo particolare tipo di creatività. Dopodiché ogni centro creativo deve entrare in connessione con gli altri, condividendo la propria specifica conoscenza e ibridandosi. La Corporation guadagna così la propria consistenza dal duplice orizzonte di passato e di futuro all’interno del quale si colloca. Un orizzonte vero, perché mobile”.