Se anche in azienda, come in certi romanzi, fosse sempre così chiaro da che parte stanno i “buoni” e dove i “cattivi”, sarebbe molto più semplice stabilire alleanze e migliorare i team. Ma un libro come i Tre moschettieri – opera arcinota di Dumas, stra-amata da molti e da altrettanti cordialmente detestata perché considerata romanzetto per bambini (ma ho il dubbio che chi lo rifiuta non l’abbia letto) – riesce a fare del manicheismo della bontà una straordinaria bussola aziendale.
Come? Soprattutto grazie a quel provincialotto della Guascogna di nome D’Artagnan, arrivato a Parigi con un grande sogno: diventare moschettiere del re. E che subito va a “sbattere” proprio contro i più eroici e spacconi moschettieri del re. Un incontro-scontro che, per salvare l’onore e affermare il coraggio, lo costringe a sfidare a duello i tre imbattibili: Athos, Porthos e Aramis. Ma ecco arrivare cinque guardie del cardinale Richelieu che danno addosso ai tre moschettieri. Che fare? Spalleggiare o contrastare? “Quell’attimo – ci spiega Dumas – bastò a d’Artagnan per prendere la sua risoluzione. Era uno di quei casi che decidono la vita di un uomo, era una scelta da fare tra il re e il cardinale… e, diciamolo a sua lode, non esitò un secondo”. Ovvero, schierandosi con i moschettieri, fece una scelta di alleanze che avrebbe condizionato tutta la sua vita.
Ecco dunque la prima metafora aziendale: M&A, fusioni e acquisizioni, alleanze strategiche, consorzi, cordate, il lessico del business è pieno di parole che conducono a scelte di campo, a schieramenti che, rafforzando un fronte, ne indeboliscono un altro. E spesso, quando le occasioni si presentano nelle fasi di rapido cambiamento, come accade oggi nei processi di globalizzazione, le scelte devono essere fatte rapidamente, contando su capacità decisionali che non hanno il tempo di valutare tutti i pro e i contro, di basarsi su dati di analisi certi. E allora ciò che conta è l’intuizione, l’affinità, la simpatia, l’attrazione, l’intesa con uno sguardo. Proprio come fa d’Artagnan mettendosi a fianco dei tre moschettieri e raggiungendo l’intesa con poche parole e una strizzata d’occhi. E così, “Tutti per uno, uno per tutti”, diventa la base programmatica del futuro, per dire che, nell’avventura e nel rischio, ci si può buttare solo potendo contare su una reciprocità assoluta, su una fiducia che ti fa voltare le spalle con la tranquillità che, dietro, ci sia comunque un amico. Una condizione che, spesso, nel mondo del business non si pone, pullulando esso di presunti amici pugnalatori alle spalle.
Gli affari sono affari? Sarà, ma il mondo cavalleresco di Dumas, la lealtà reciproca dei tre moschettieri (più uno) che, anche di fronte all’avversario, al nemico, non giocano mai scorretto, non fanno doppiezze, concedono l’onore delle armi, aiutano quando il contendente è battuto, sembra anticiparci quell’etica degli affari, quel post “enronismo” che non sposa più il profitto ad ogni costo, quella “corporate social responsibility” che oggi va tanto di moda ma che, nei fatti, non si è ancora affermata nelle nostre imprese.
D’Artagnan, infatti, persegue il suo obiettivo di essere moschettiere con però un’idea chiara e onesta di come si debba arrivare al successo: mai tradire gli amici e gli alleati, arrivare alla meta assieme a tutto il team, raggiungere il successo insieme, dividere gli onori con tutta la squadra. Una lezione di team-management che oggi viene insegnata nei corsi di formazione, negli Mba e persino negli spesso demenziali “corsi di sopravvivenza” per manager, ma che raramente è bagaglio comportamentale di un vero leader aziendale. Soprattutto perché un team vincente deve sì operare per perseguire gli obiettivi del gruppo, per “far vincere” l’azienda, ma deve anche permettere lo sviluppo dei membri del team, facendoli crescere professionalmente e, quando è il momento, lasciarli andare per altri lidi a perseguire i propri progetti di carriera e di vita. D’Artagnan incarna del resto anche la metafora della leadership carismatica, quella di chi riesce a farsi riconoscere non presentandosi con i galloni già scintillanti sulla manica, ma conquistandosi sul campo il posto di comando, la posizione dell’ispiratore delle mosse aziendali, colui che ha la “vision” perché più degli altri ha percorso la strada comune. Il guascone, infatti, all’inizio incontra i mitici Athos, Porthos e Aramis con la massima soggezione, riconoscendo in loro la superiorità dell’esperienza. E di quella esperienza utilizza tutti i punti di forza, non cedendo mai alla tentazione di saltare le tappe della “crescita professionale”, imitando la forza dei tre ma anche la loro destrezza e intelligenza. E così, alla fine, diventa quello che guida il gruppo, quello che, più degli altri, ha chiara la “mission”, e solo così si fa leader.
Quanti dei nostri Ceo, capi funzione, super manager, si possono dire altrettanto leader? A capo delle aziende, soprattutto nelle più grandi, si arriva nominati dal consiglio di amministrazione, “cacciati” sul mercato degli executive, “trasferiti” da azienda ad azienda, con una leadership imposta dai gradi che si pretende tradursi troppo facilmente in leadership riconosciuta. Sul campo dei ”cappa e spada” di Dumas avviene invece un cammino che, in molti, dovrebbero studiare e imitare.
Tanto più che leggere I tre moschettieri dà un notevole valore aggiunto. Non è come studiarsi un libro di management, è qualcosa di molto più gratificante, un viaggio attraverso un libro colto che diverte e convince, che ha ritmo, trama e grandi personaggi. Una terna raramente presente nelle storie dei “romanzi aziendali”.
(Per saperne di più leggere: Il grande libro della LETTERATURA per manager, Etas, marzo 2008).
Postato dalla personalità mutante di: Enzo Riboni
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