La città orrore

Pino Varchetta su: Sotto le bombe (regia di Philippe Aractingi)

Il territorio è quello del Libano del sud, dilaniato dalle bombe della guerra dell’estate 2006 tra Israele e gli Hezbollah. La terra è a dir poco martoriata; nella bellissima sequenza iniziale del film la città, le città, presepi abbarbicati su colline spoglie, sembrano attendere attonite e impotenti l’arrivo delle bombe, che punteggiano qua e là l’orizzonte, lasciando crateri enormi che inghiottono case, case, case, e con esse bambini, donne, uomini, vecchi, mobili, suppellettili, macchine, elettrodomestici, in un dolore indescrivibile, polveroso, sordo. Una donna, Zeina, una musulmana sciita, parte per un viaggio pieno di speranza alla ricerca della sorella abitante nella casa avita, cui aveva lasciato in cura il piccolo bimbo, frutto di un matrimonio ora in piena crisi.

La ricerca di Zeina viene condotta insieme a Tony, tassista, un libanese cristiano, furbo e buono a un tempo, profondo conoscitore della gente e delle zone martoriate che attraversano. Zeina, la madre, è alla ricerca del figlio e della sorella; Tony, il tassista, è alla ricerca del fratello, rifugiatosi in Israele. Nutrono entrambi una speranza salda di ritrovare i loro cari, in questo compagni sodali, metafore viventi di una terra, il Libano, bellissima, martoriata, ma non distrutta, umiliata, violentata, ma non annientata. C’è ancora fratellanza, che si coglie nei vari incontri che la coppia costruisce nella sua affannosa ricerca; c’è ancora solidarietà tra i due, pur nei sospetti e nella litigiosità che la quotidianità alimenta. C’è addirittura spazio per un possibile innamoramento nel vuoto creatosi dalla crisi matrimoniale di entrambi. Al centro è la ricerca del figlio in una terra che ad ogni angolo rivela bambini e bambine soli, da una parte abituati a vivere da soli e a immaginare il loro tempo autonomamente, dall’altra improvvisamente orfani di famiglie devastate dalla violenza delle bombe. Il viaggio di Tony e Zeina diventa, sequenza dopo sequenza, sempre più straordinario, implodendo in un’intimità di coppia che sembra poter dimenticare l’orrore della guerra, le ragioni degli Hezbollah, le ragioni di Israele, le ragioni di tutti, e il dolore dei più. Quella che resta sempre presente è l’ossessione per il ritrovamento del figlio, che spinge ad affrontare pericoli, a tessere legami, a creare alleanze, quasi che la ricerca del bimbo diventi anche simbolo di una possibilità di recupero per tutti, per quella terra così ora violentata e affossata. Arrivano i due nel villaggio originario di Zeina e davanti alla casa dove Zeina è vissuta da bambina e da giovane ragazza e dove si è rifugiata con il suo bambino la sorella. La casa è stata distrutta dall’ultimo bombardamento insieme alle altre del villaggio; i superstiti raccontano pietosamente della morte della sorella e delle poche, vaghe notizie che hanno del bambino. Non è morto il figlio di Zeina, è stato accolto da un’organizzazione umanitaria e pare rifugiato in un convento non molto distante. Il viaggio della speranza riprende, anche se nel cuore di Zeina un presentimento sempre più atroce si fa strada. I due sul vecchio taxi, sempre più in affanno, sulle strade sempre più sconnesse, arrivano al convento, un’oasi di pace che la guerra sembra aver risparmiato e Zeina è finalmente in ginocchio di fronte al bimbo, che non è il suo bambino. E’ l’amico di suo figlio, che l’ha visto morire, ed è capace, bimbo reso improvvisamente adulto dagli orrori che l’hanno toccato, di raccontare con parole sommesse, guardando dritto negli occhi quella donna, la morte del figlio di quella madre. La donna è in ginocchio, come in adorazione di quest’ultimo, definitivo palpitare di vita, al cospetto del quale la sua lunga ricerca l’ha condotta. La macchina da presa, un po’ distante, rispettosa di quell’attimo, registra il prendersi per mano dei due, le mani grandi, calde di Zeina e le mani piccole, con ancora i segni dell’infanzia, del piccolo amico del figlio. Si allontana la macchina da presa pudica e noi sappiamo, uscendo dalla sala, che la mamma ha ritrovato il proprio figlio e un bimbo la ritrovato la propria madre.

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