Enzo Riboni riflette su: Caos calmo, di Sandro Veronesi
Ancora una volta la matematica. E la fisica. Due discipline scientifiche hard che corrono in soccorso all’arte del management passando per soffici vie umanistiche. Mettendo in campo un concetto ottocentesco delle scienze naturali, l’entropia. E un moderno oggetto geometrico, il frattale. Il tutto (forse inconsapevolmente) grazie a Sandro Veronesi e al suo (ultradimoda) Caos calmo.
Il centro del romanzo è Pietro Paladini, direttore generale di una pay tv, che, salvando dalla morte una sconosciuta, perde l’attimo in cui, inaspettatamente, muore Lara, la madre di Claudia, la loro figlia di 10 anni. La tragedia non causa in Pietro un dolore apparente, ma produce un inusitato slittamento della realtà quotidiana: il manager ogni mattina si installa sotto la scuola della figlia “per contribuire alla sua quiete”. Ma è davvero così?
Veronesi ci presenta un caos che contiene molti pezzi ordinati e una calma che in realtà ribolle, un mondo apparentemente assurdo ma più equilibrato e meno caotico di quanto si possa cogliere all’inizio, ci fa incontrare tutti gli incubi della modernità, tutte le frenesie del quotidiano vivere e lavorare. E la chiave è l’impossibilità di tornare indietro, di invertire la freccia del tempo. Proprio come non si può regredire da un’entropia infinita.
Lo si potrebbe capire subito il primo giorno, quando Paladini si piazza sotto la finestra della scuola della figlia e poi, alla sua uscita, le fa la più normale domanda che possa fare un normalissimo genitore: “Cosa avete fatto oggi?”. Con Claudia che risponde: “I topi non avevano nipoti”. Cioè con una frase che letta da sinistra verso destra e poi all’inverso resta uguale a se stessa. Un’espressione palindroma, la totale possibilità dell’inversione, una reversibilità perfetta che mai si incontra nella vita. Come non sarà mai più reversibile la morte di Lara, la madre che non tornerà. Con Pietro che, con quel suo calcificarsi sotto la scuola della figlia, sembra cercare di impedire che Claudia ne diventi cosciente, che realizzi l’impossibile palindromia della vita.
La storia della crisi di Pietro e del suo annaspare “calmo” è però anche quella di una crisi aziendale, del precipitare dei destini professionali di un gruppo di 40-50enni, persone che, probabilmente, dovranno pensare a futuri diversi. Non più manager, non più ben pagati, non più con un posto sicuro, non più garantiti. C’è infatti tutto lo staff dirigente dell’azienda di Pietro che sta passando dal continente dei supergarantiti al frastagliato arcipelago dei precari”.
Gli esperti vi diranno che “si tratta di fondere e rendere omogenee culture aziendali diverse”, che c’è bisogno di un buon “change manager” per far nascere un nuovo equilibrio, che la fusione sarà tanto più riuscita quanto più si riesca a far condividere la nuova “mission”. Difficile però che vi parlino, come invece fa Caos calmo, degli uomini e delle loro crisi. Non vi diranno della “guerra per bande”, dei partiti interni che si aggregano e si spezzano a seconda che prevalga la squadra aziendale dei Noi o dei Loro, degli amici che diventano avversari pur di tenersi il posto e il ruolo anche a spese dei più vicini, dei collaborazionisti, dei voltagabbana, dei fedelissimi. E tanto meno delle notti insonni di chi teme di cadere sotto la mannaia delle “razionalizzazioni organizzative”, dei litigi di coppia causati da una nuova dirompente instabilità emotiva, della perdita dell’autostima, dei tentativi di non far trapelare nulla all’esterno delle porte di casa.
E Pietro, chiuso nella sua eremo-bunker-automobile, ascolta i problemi dei suoi (solo) colleghi (quanto poco amici si può essere dentro un’azienda in cui, ipocritamente, ogni giorno ci si scambia sorrisi, false gentilezze e pacche sulle spalle) non come un confessore che consiglia, sostiene, assolve e sgrava l’anima, ma come uno psicanalista muto, che catalizza il caos restituendo calma.
Almeno, questo è l’effetto sui suoi interlocutori-visitatori, mentre su di lui, probabilmente, il caos, amplificandosi, comincia a trovare una via di interpretazione, forse proprio grazie alla replicazione delle storie, più o meno identiche, dei suoi colleghi. Così Veronesi razionalizza il caos nella mente del suo protagonista scegliendo la via dei frattali. Ovvero di quelle forme geometriche “autosomiglianti” che si ripetono indefinitamente ad ogni scala di grandezza: curve dai contorni frastagliati che, viste con un astratto microscopio e poi ancora con un supermicroscopio, e così via, hanno sempre lo stesso identicisssimo profilo. Perché Pietro e suoi amici vivono proprio quelle situazioni turbolente che la matematica classica non sa spiegare: l’acqua che sgorga a fiotti, i gorghi dell’aria attorno all’ala di un aereo, la mutevolezza meteorologica, il sangue che turbina nelle vene. Tutti eventi così poco lineari che si affrontano solo studiandone la ripetitività. Proprio come Pietro che sente i racconti dei conoscenti, osserva il mondo statico (ma caotico) dei giardini sotto la scuola di Claudia e, alla fine, a furia di tacere e introiettare il caos altrui, spiega e capisce il proprio, incanala il disordine del suo pensiero, abbassa l’entropia della sua anima contorta.
Che il futuro sia davvero meno pericoloso di quanto ci si possa immaginare? Che davvero una morte drammatica, la perdita di un posto di lavoro, la “flessibilità positiva” come oggi ci dicono, il crollo della continuità professionale, siano veramente eventi reversibili? Che dal caos si possa emergere con la linearità di un’emozione giovanile? Che l’entropia infinita non sia stata ancora fortunatamente raggiunta? I TOPI NON AVEVANO NIPOTI.
(Per saperne di più leggere: Il grande libro della LETTERATURA per manager, Etas, marzo 2008).