Per la serie "Letteratura per i manager " Enzo Riboni presenta: Il duello di Joseph Conrad.
Incrociate le lame e preparatevi a un duello lungo 14 anni. Quasi tre lustri di cruenti combattimenti all’arma bianca, prima sciabola, poi fioretto, spada e avanti così in tutte le varianti. Con un finale in bellezza: sfida alla pistola. Il tutto per studiare concetti quali: autoaffermazione, carriera, competizione, colleganza, emarginazione, fedeltà, immobilismo, mobbing, opportunismo, ostinazione, progresso, rivalità. Vissuti attraverso una storia scritta nel 1908 da Joseph Conrad, Il duello, da leggere come una miniera di insegnamenti di management.
Gabriel Féraud, tenente degli ussari di Napoleone, popolano guascone sanguigno e attaccabrighe, si ritiene offeso dai modi formali dell’aristocratico normanno Armand d’Hubert, anche lui ussaro e parigrado, e così, d’istinto, lo sfida a duello. Perché è un damerino, un tirapiedi del generale, un nobiluccio settentrionale. E poi, quell’eleganza distaccata!
A chi non è capitato in ufficio di non riuscire a sopportare un collega? Per ragioni di competizione in carriera. Perché la sua indolenza ci costringe a lavorare di più. Perché è chiassoso e ci impedisce di concentrarci. Perché non parla mai e sembra avere chissà quali alti pensieri. Perché ha un atteggiamento di superiorità anche se è l’ultimo arrivato. O semplicemente perché ha una faccia che non ci piace, perché ci è, banalmente, antipatico. Fortunatamente non siamo in epoca napoleonica e non possiamo dare seguito alla tentazione di sguainare le sciabole. Tuttavia quanti trabocchetti, slealtà, mezzucci, cattiverie, utilizziamo quotidianamente per prevalere? Tanto più se poi quello viene promosso e noi no: quanto vorremmo essere Féraud e sfidarlo a duello, lui e “quello sciocco del capo che si circonda solo di lacchè”!
Ma siamo proprio sicuri di combattere contro qualcuno di completamente diverso da noi? E se fosse una parte di noi? Se fosse un doppio, una metà non realizzata, un’ombra che non vogliamo riconoscere perché ci inquieterebbe? In questo caso la nostra rivalità non sarebbe molto diversa da quella tra Féraud e d’Hubert. Anche se, in realtà, Conrad ci offre pure una possibile lettura che va oltre i due protagonisti e diventa simbolo. Féraud che resta napoleonico fino in fondo anche quando l’Imperatore è ormai precipitato nell’isolamento dello scoglio di Sant’Elena, e che diventa così la metafora vivente della coerenza, fedeltà, idealismo, ma anche della conservazione, ottusità, immobilismo. E viceversa d’Hubert che sa capire il cambiamento dei tempi e cerca di trarne il meglio per non perdere definitivamente gli ideali del passato e che così rappresenta l’allegoria dell’adattamento, del nuovo, del progresso, ma anche dell’opportunismo, dell’omologazione, dell’individualismo. Sembra proprio che per affermare se stessi l’unica via sia quella di andare a caccia della propria antitesi, per inglobare il doppio in un’immagine finalmente comprensibile. Ecco dunque una chiave per rendere la rivalità una fonte di autoaffermazione. Il collega, il capo, quello che non ci capisce, che non ci valorizza, che vuole prendersi i meriti dei nostri sforzi, possono diventare stimoli per trasformare la competizione in emulazione, la concorrenza in miglioramento. Al punto che una rivalità potrebbe addirittura trasformarsi in alleanza, in mutuo soccorso per perseguire i reciproci obiettivi.
Non è così però per il Féraud di Conrad che, arrivato infine al 1814, generale quarantenne (che sembra più vecchio di d’Hubert, generale come lui ma ancora con molte chance) cerca di sopravvivere a se stesso, e alla fine prossima di Napoleone, puntando ancora al duello (questa volta alla pistola). Nello scontro finale, però, come è ovvio vista la fine di un’epoca che non può più essere, vince il normanno. Il quale tuttavia non esplode il colpo mortale contro Féraud, trasformandolo così in uno dei tanti eroi solitari di Conrad, non più fuggiasco perché alla mercé di d’Hubert, ma ormai reietto per aver perso la propria possibilità di scelta. “Non so che farmene della tua indulgenza”, gridò Féraud contro d’Hubert. “Permettimi di farti notare che la cosa mi lascia affatto indifferente”, rispose il generale d’Hubert… “Non posso certo stare a discutere con uno che, per quanto mi riguarda, ha cessato di esistere”.
Una conclusione sulla quale conviene riflettere, perché l’ostinazione cieca, nel lavoro quanto nella vita, può portare alla definitiva emarginazione. A ciò che oggi, in azienda, molti chiamano mobbing.
P.S. Dal libro di Conrad è stato tratto un bellissimo film con la regia di Ridley Scott, I duellanti.
Postato dalla personalità mutante di: Enzo Riboni