La visione del futuro, l’apertura al nuovo, l’accettazione del diverso costituiscono l’orizzonte mobile a cui occorre continuamente guardare per superare l’approccio razionalizzante dello scientific management. Vi è infatti una fonte comune della razionalità e della razionalizzazione, spiega Morin, cioè la volontà dello spirito di possedere una concezione coerente delle cose e del mondo. Ma una cosa è la razionalità, cioè il dialogo con questo mondo, e un’altra è la razionalizzazione, ovvero la chiusura rispetto al mondo.
Affinché questo modello possa realizzarsi è necessario condividere una visione superiore, un sogno imprenditoriale, che indirizzi l’innovazione e si traduca nelle linee strategiche della mission aziendale. In particolare il termine visione (vision) è utilizzato nella gestione strategica per indicare la proiezione di uno scenario futuro che rispecchia gli ideali, i valori e le aspirazioni di chi fissa gli obiettivi (goal-setter) e incentiva all’azione. Il “manifesto” della visione (vision statement) dovrebbe essere tale da spronare i membri dell’organizzazione e renderli orgogliosi di farne parte. Secondo la lezione di Franco d’Egidio, un vision statement efficace dovrebbe:
- essere chiaro e descrivere in modo vivido un’immagine;
- riguardare il futuro;
- essere facilmente ricordabile – sebbene la lunghezza sia variabile è preferibile contenerla il più possibile per facilitarne l’apprendimento;
- contenere espressioni che facciano presa;
- riferirsi ad aspirazioni realistiche o comunque verosimili.
E così, sulla base di una bozza scritta da Franco proprio pochi giorni prima di lasciarci, si descrive Il sogno imprenditoriale di Bill H. Fordgates nel nostro romanzo collettivo Le Aziende In-Visibili (di prossima pubblicazione presso Libri Scheiwiller):
“Bill H. Fordgates Jr. voleva creare un’organizzazione dalle caratteristiche così uniche da essere inimitabile. Si rese conto che questo implicava la profonda trasformazione della sua azienda, macchina sempre meno efficace perché creata in vista di una determinata funzione e quindi incapace di adattarsi a funzioni diverse, non previste dal suo impianto iniziale, peraltro già ampiamente riprodotto da tante altre aziende concorrenti. Con il passare del tempo si venne formando nella sua mente l’immagine di ciò che intendeva davvero realizzare.
Bill H. Fordgates Jr. sapeva che la visione costituisce un’astrazione della realtà. Per coglierla non basta tenere gli occhi aperti, ma bisogna scartare tutto ciò che impedisce di vederla: tutte le idee ricevute, gli idoli e i preconcetti che continuano a ingombrare il campo visivo e la capacità di comprendere. Poi occorre semplificare, ridurre all’essenziale l’enorme numero di elementi che un mondo vitale, costituito da ogni gruppo di persone associate per un fine comune, mette sotto gli occhi di chi lo guarda, e collegare i frammenti sparsi in un disegno. Era questa la sfida improba ma irrinunciabile che desiderava condividere con il suo team e con tutte le persone presenti nell’impresa.
Il giovane Bill pensò che il modo migliore per raggiungere lo scopo era ricorrere a una metafora. Gli vennero in mente un teatro, una stazione orbitante e una nave spaziale: ma nessuna lo convinse. Quella notte fece uno strano sogno.
Nel sogno Bill H. Fordgates Jr. attraversava una sconfinata landa desertica, in groppa ad un cavallo rosso, come un antico cercatore del Graal. Ad un tratto, quasi per incanto, vide all’orizzonte una città di incredibile bellezza. Al risveglio, si ricordò delle parole di un vecchio saggio: “Non è possibile definire moderno tutto ciò che accade nella città, ma tutto ciò che si definisce vita moderna accade in città”. I paradossi, le contraddizioni, le ambiguità che costituiscono la realtà aziendale sono indubbiamente presenti in una città: quello, pensò, è il luogo dove storie differenti e realtà plurime possono convivere con fatica ma anche con entusiasmo e passione.
La città gli si rivelò come un simbolo complesso, che offre le maggiori possibilità di esprimere la tensione tra razionalità geometrica e groviglio delle esistenze umane, ma anche come un potente paradigma per pensare, progettare e sperimentare un nuovo modello di business, una nuova cultura. Cominciò a delinearsi nella sua mente ciò che volle chiamare la Città del Desiderio. Appunto una città irresistibile, incantevole, punto d’incontro di diversi saperi, diverse culture e diverse religioni. Che consentisse lo scambio fisico, non solo virtuale, e quindi la sorpresa, l’inatteso, il non programmato. La città, pensò ancora Bill H. Fordgates Jr., si presta alla narrazione, consente di ricorrere al linguaggio energico dei segni per ripensare tutta l’organizzazione, per raccontarla con una storia che tutti vorrebbero ascoltare.
“Vide” la città ubicata su una penisola, quindi accessibile sia da terra sia dal mare. Una città che rappresentava il perfetto connubio tra l’arte e la scienza architettonica più ardita. Bill H. Fordgates Jr. ne visualizzò ogni dettaglio. I diversi quartieri divisi da viali alberati, parchi immensi, giardini prensili lussureggianti di fiori orientali dai profumi inebrianti. Ecco l’avveniristico centro degli affari, i musei d’arte, i campi sportivi, l’auditorium.
Nella città c’erano anche molte chiese di rara bellezza e diversi luoghi di culto. Su una ridente collina a nord-est si ergeva un osservatorio, su un’altra troneggiava un anfiteatro, a sud-ovest.
La città era percorsa da uno splendido fiume, che scorreva calmo e silente dal nord al sud, attraversato da decine di ponti che univano i diversi quartieri. La città era molto animata: non solo di giorno, ma anche di notte, era un susseguirsi di eventi magici, mentre al suono della cetra i canti si moltiplicavano. La città così era sempre gaia. Ogni donna era vestita di porpora e di scarlatto, adorna d’oro, di pietre preziose e di perle.
Dispensatrice di corone, con i suoi mercanti Principi ed i suoi negozianti Nobili della terra, la città era tanto attraente che molti avrebbero voluto abitarla. Era come una coppa d’oro, che inebriava tutte le nazioni con il suo vino.
Ciò che sembrava all’inizio indistinto, indefinito, invisibile, divenne sempre più chiaro, definito e visibile. Da terra la silhouette della città ricordava un titanico bastimento e stranamente dal mare, grazie al profilo caratterizzato dalle due colline, dava l’impressione di un immenso cammello in grado di attraversare qualsiasi cruna.
Bill adesso era pronto a trasformare la realtà aziendale nella gran città del celestiale sogno”.