Forse La donna senz’ombra, racconto che esce nel ’19 contemporaneamente al libretto musicato da Richard Strauss, riesce a riassumere la complessità della metaforica dell’ombra. Hofmannsthal rivisita infatti una tradizione che trascorre dai greci ai romantici[1], sulla scorta della quale dialoga con due testi di immediato riferimento: Die Zauberflöte e la seconda parte del Faust.
Assenza di ombra vuol dire, in questo racconto, sterilità dell’amore, e quindi incapacità di amare davvero: eppure tale incapacità sembra darsi proprio nell’amore più puro, più assoluto e totale, quello che lega la donna senz’ombra al suo imperatore e sposo. Si tratta per la figlia del re degli spiriti, che legandosi a un mortale ha perso il dono della metamorfosi (possibilità di uno sguardo impossibile, insieme umano e animale), di conquistare un’ombra per poter “ripagare la vita alla terra”. Se non riuscirà nell’impresa il suo sposo diventerà di pietra, e lei con lui, definitivamente insensibile, chiusa e sterile. Ma la riconquista dell’ombra non può che avvenire attraverso l’inganno: una giovane donna, che ha rifiutato la maternità per conservare la bellezza, verrà persuasa con l’ausilio di arti magiche ad abbandonare il marito, uomo buono e semplice che l’ama; in tal modo perderà la sua ombra e lei potrà appropriarsene.
Ma nel momento in cui ciò può accadere avviene la rinuncia: nell’attimo della decisione, scrive Hofmannsthal, «Il senso terribile della realtà reggeva tutto con fasce di ferro»[2], e in effetti la necessità del reale può essere spezzata solo da una libertà non astratta, che qui si identifica con un atto di compassione: l’imperatrice sceglie di non appropriarsi dell’ombra e abbraccia un destino di pietra, per restituire al marito la sua giovane sposa. Così avviene una strana metamorfosi, che è passaggio attraverso la pietra e ricongiunzione con l’amato, cioè scoperta che la pietra è piena di vita: «Il peso tremendo gravava tutto su di lei; anch’ella cinse le braccia intorno alla pietra, si avvinghiò tutta, la salita cessò, si sentì trascinare nel vuoto. La natura liscia e orrendamente estranea della pietra la penetrava fin nell’anima. L’inconcepibile tormento le sconvolse i sensi. Sentì la morte strisciarle nel cuore, ma al tempo stesso la statua muoversi tra le sue braccia e vivere. In uno stato inconcepibile si abbandonò tutta e tremando viveva soltanto nel presagio della vita che l’altro riceveva da lei. In lui, o in lei, penetrò il senso di una tenebra che si schiarisse, di un luogo che li accogliesse, di un soffio di vita nuova… lo trasse a sé, si avvinsero senza parole, le loro ombre si fusero in una»[3]. Il sacrificio compie la conquista dell’ombra, che si configura come riconoscimento del corpo e del legame alla terra, e quindi come possibilità di generare. Hofmannsthal costruisce così lo spazio metaforico dell’ombra che lega tra loro temporalità e eternità in circolo nell’attimo della decisione, senso e non senso, libertà e necessità, vita e morte come metamorfosi incessante.
6.continua
[1] «Noi che imprestammo corpi ad ombre vediamo i corpi svanire come ombre»: sembra quasi che un cerchio si chiuda tra il celebre «skias oner anthropos» di Pindaro (VIII Ode pitica, vv. 135-136) e questa affermazione di Chamisso. La meravigliosa storia di Peter Schlemihl è del resto il testo romantico per eccellenza sull’ombra, sul rapporto uomo-ombra, sulla perdita dell’ombra (trad. di G.V. Amoretti in Chamisso, La Motte-Fouqué, Mörike,Tre racconti romantici, Utet, Torino, 1955, pp. 17-87; la citazione si trova a p. 23).
[2] La donna senz’ombra, in H. von Hofmannsthal, Narrazioni e poesie, a cura di G. Zampa, Mondadori, Milano, 1972, p. 867.
[3] op. cit., pp. 868-869.