Alla luce dell’ombra- 5

Del resto già la parola “ombra” è strutturalmente ambigua, ha un doppio “significato primo”: può significare sia l’ombra propria sia l’ombra portata. Si tratta di fenomeni differenti e connessi, che a livello simbolico possono differenziarsi, per ricostituire talvolta un orizzonte di unitario. Nell’orizzonte metaforico l’ombra portata, l’oscurità proiettata da un corpo opaco, rinvia alla luce: ombra e luce come coppia concettuale inscindibile e relativamente la luce come sorgente e ombra come negazione. Negazione, si noti, e non immediatamente sottrazione: l’ombra si presenta nella forma di una indipendenza, poiché è figura che rifiuta di ridursi a qualità del corpo opaco, eppure è necessariamente dipendente dal corpo, proiezione della corporeità. Schiacciata a terra segna il legame alla terra e insieme configura un potere che segna il limite della forza espansiva della luce. E quindi a rovescio: l’ombra come tenebra che ha confini, come tenebra limitata dall’insistenza della luce; essenziale all’ombra è infatti la linea d’ombra[1], una forma di soglia.

Se l’ombra portata significa insieme dualismo e reversibilità tra luce e oscurità, l’ombra propria, quella parte del corpo non direttamente colpita dalla luce, intenziona la parte oscura delle cose, una faccia non visibile che dice l’impossibilità di una visione panoramica e la necessità di un incessante rinvio: metafora dell’adombramento, innanzitutto percettivo, impossibile del resto se l’ombra non fosse prodotta dalla luce, non fosse appunto limite di una luce espansiva per se stessa e non circoscrivibile in se stessa, ma solo relativamente nel suo incontro con il corpo, cioè nell’ombra che tale incontro produce: ombra quindi come relazione corpo-luce, come ente che è relazione.

Da tutto ciò l’idea di penombra, fisicamente la regione prodotta dalla non-puntiformità della sorgente di luce, metaforicamente luogo dell’abitare umano. Dunque: legame al corpo, alla terra, limite della visione, rinvio alla luce costituiscono gli aspetti più evidenti della metaforica dell’ombra, destinati a ovviamente complicarsi nelle dimensioni simboliche della scrittura e dell’arte[2].

[1]  Come è noto,         La linea d’ombra         è il titolo di un racconto di Conrad.

[2]  Per il rapporto pittura-ombra, di cui qui non mi occupo, cfr. E. H. Gombrich, Ombre. La rappresentazione dell’ombra portata nell’arte occidentale,  trad. M.C. Mundici, Einaudi, Torino, 1996; V. I. Stoichita,  Breve storia dell’ombra, trad. B. Sforza, il Saggiatore, Milano, 2000; M. Baxandall, Shadows and Enlightenment, Yale University Press, New Haven, London, 1995.

5. continua

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