Per la serie Conversazioni sul Carisma, Elisabetta Pasini dialoga con David Graeber, antropologo e attivista anarchico. Graeber ha insegnato Antropologia all’Università di Yale, a New York dal 1998 fino al giugno del 2007. Dalla metà del 2007 vive a Londra dove ricopre lo stesso incarico alla Goldsmith University. È autore di numerose pubblicazioni, tra cui Frammenti di un’Antropologia Anarchica, pubblicato in italiano da Eleuteria. Membro del movimento anarchico e attivista per Direct Action, collabora e scrive per numerose riviste tra cui The New Left Review e Harper’s.
Elisabetta Pasini: Possiamo provare a mettere insieme i due aspetti chiave della tua esperienza personale, antropologia e anarchismo, e suggerire una pratica per l’azione carismatica?
David Graeber: C’è qualcosa che mi viene in mente a questo proposito e suona come la “fenomenologia dei Pupazzi Giganti”. Mi spiego meglio, se chiedi ad un americano medio cosa ricorda degli scontri di Seattle, o delle grandi mobilitazioni simili a Seattle, ti dirà fondamentalmente due cose: la prima, gente vestita di nero che spacca le vetrine; e la seconda, pupazzi giganti colorati. Ora, la mia domanda è: perché, tra i pupazzi e i black blocks, la polizia picchia preferibilmente i pupazzi? Perché i poliziotti durante le manifestazioni si accaniscono sui pupazzi prima che su ogni altra cosa?… Dicono che i pupazzi sono illegali, li fracassano, gli sparano, sembra che siano profondamente irritati dai pupazzi, come se ciò che diverte le persone li facesse impazzire… E dunque ho cominciato a chiedermi perché, e ci sono molte spiegazioni possibili per questo, ma io credo che la ragione fondamentale sia che le persone parlano dei pupazzi, che i pupazzi sono per loro figure del presente che rappresentano la certezza della possibilità di creare dei fatti. Perché bisogna farli, e farli è un processo collettivo in cui tutti sono coinvolti, e questo rende possibile il processo democratico attraverso qualcosa di divertente, e per farli ci vogliono diverse settimane, e dunque i pupazzi rappresentano la creatività collettiva, la possibilità di rappresentare tutto ciò che vuoi…. Ed è per questo che sono più dirompenti dei black blocks, perché i black blocks rompono solo le vetrine mentre i pupazzi rompono un sacco di schemi, irridono il capitalismo, il consumismo, e lo fanno in modo spettacolare, facendo vedere che il potere è solo facciata, che sotto non c’è nulla di sostanziale, perché il velo può essere sollevato in ogni momento. In più, ogni volta se ne possono fare di nuovi, sempre più cattivi, sono come monumenti simbolici, e hanno tutte le qualità dei monumenti tranne la durata; e qui c’è qualcosa di profondo perché i monumenti rappresentano il tentativo di rendere permanente ciò che, di fatto, non lo è. Non si fanno monumenti per ciò che è davvero duraturo, in termini generali un monumento è solo un monumento a se stesso. Saddam Hussein, come tanti tiranni, ha cercato di diventare permanente attraverso i monumenti. E in un certo senso i pupazzi smascherano questo gioco, e rappresentano allo stesso tempo il potere creativo dell’immaginazione, fanno diventare immediatamente evidente il potere creativo dell’immaginazione. Tuttavia questo è considerato molto pericoloso, fa paura, perché quando è coinvolta l’immaginazione il segreto del potere sembra qualcosa di ridicolo, e perché allo stesso tempo l’immaginazione implica un processo collettivo, facendo sentire le persone parte di un rituale. Ed è per questo che le persone, alla fine, pensano che i pupazzi funzionino….
Postato dalla personalità mutante di: Elisabetta Pasini