Pino Varchetta su : Il falsario (regia di Stefan Ruzowitzky)
In un incipit indimenticabile e straordinario a commento dell’edizione critica dell’opera omnia di Primo Levi, Daniele Del Giudice ricorda che a Primo Levi era accaduta la circostanza di sperimentare personalmente le due esperienze fondamentali che hanno caratterizzato il ‘900: la manipolazione della materia e l’esperienza concentrazionaria. Primo Levi è stato infatti un chimico industriale che ha per lunghi anni nel suo tempo di lavoro “mescolato” vernici e ha patito la Shoah ad Auschwitz.
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Di entrambe le esperienze ha lasciato nei suoi libri tracce straordinarie. Del protagonista della storia de Il falsario si può dire che abbia sperimentato a sua volta due esperienze fondamentali della modernità: quella concentrazionaria e la falsificazione. Se infatti la manipolazione della materia è stata del ‘900 la testimonianza per così dire prometeica attraverso la quale, con l’ausilio della tecnologia connessa alla rivoluzione scientifica, il mondo è diventato tendenzialmente artificiale, si può anche accostare a tale lato più nobile l’esperienza della falsificazione, del sovrapporre a una prima real tà una seconda, creando, attraverso il simulacro, una rappresentazione del mondo dove incertezza e molteplicità di identità si mescolano in una coesione per lo più indefinibile. Verso la fine della seconda Guerra Mondiale i vertici del Terzo Reich, di fronte a una inarrestabile crisi delle fortune belliche, immaginano un attacco agli alleati occidentali attraverso un tentativo di minare le loro economie sommergendone i mercati finanziari con fiumi di valuta falsa. L’operazione Bernhard attraverso la quale si pianifica di inondare il mondo con sterline e dollari falsi è basata sull’attività di un gruppo scelto di valentissimi artigiani coordinato da Salomon, noto professionista falsario, un criminale comune, che alla criminalità distintiva legata alla sua abilità di falsificante, unisce quella di essere membro del popolo ebreo. E’ stato cinque anni a Mauthausen, il lager terribile con la cava di pietra, e lì è sopravvissuto, grazie alla sua abilità di disegnatore, colludendo con il narcisismo dei suoi carcerieri che ritraeva e che lo tengono in vita proprio per soddisfare il gusto di costruirsi una memoria attraverso i suoi ritratti. L’avvio dell’operazione Bernhard cambia la vita di questo personaggio brechtiano, che si vede trasferito nel lager di Sachsenhausen, un lager come gli altri, con tutta l’orribile, terrificante struttura di sterminio, ma contenente al proprio interno, nel sito più segreto, un luogo falso, un laboratorio con accanto un dormitorio e una mensa, dove la squadra del reparto speciale falsificazioni coordinata da Salomon lavora in un ambiente rarefatto, tecnologicamente avanzato, sotto gli occhi vigili delle SS, che non possono essere quelle che sono là fuori perché dal lavoro di questi ebrei, dalla sorte sospesa, dipende la possibilità che quell’operazione folle abbia qualche successo. E la proverbiale sapienza artigianale del popolo ebreo, pur all’interno di crisi di coscienza, produce buoni risultati. La vita trascorre in modo ordinario dentro la città falsa. Lontane si sentono le grida di morte, lontane si immaginano le ritualità folli dell’orrenda quotidianità del lager. Donne, uomini, bambini, vecchi, selezioni, spoliazioni, fucilazioni, avvio alla camera a gas, crematori. Non manca nulla. C’è tutto il repertorio dell’orrore infinito. Ma nella città falsa quei poveri ebrei ritornati artigiani, recuperati alle loro competenze distintive, lavorano per il Terzo Reich. Resta l’interrogativo centrale sul che fare: adeguarsi o sabotare? Salvarsi, forse, o morire, certamente? Nella città falsa il lavoro coatto si accompagna a un dilemma che corre libero quanto straziante. Alla fine arriva l’imprevedibile, con una liberazione che sembrava non poter arrivare mai.
Postato dalla personalità mutante di: Pino Varchetta
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