Dalle Città Invisibili alle Aziende In-Visibili. 4. Sottigliezza

L’acqua che sgorga dai rubinetti di Armilla, più che scorrere come un fiume richiamando la classica metafora eraclitea del divenire, centrale nelle riflessioni proposte in     Nulla due volte, zampilla in un’effusione di bolle e di schizzi regalandoci la gradevole immagine di un momento di gioco e di relax sottratto alle preoccupazioni del tempo che passa.

 

Per questo che a tale città ─ così come ad alcune altre tra le sottili ─ siamo istintivamente portati ad associare un’idea di serena leggerezza. E’ la leggerezza della quiete, di una realtà eterea e sottile che sembra sottrarsi all’implacabile legge del tempo lineare. E’ così che le città sottili sono tra le più piacevoli e “luminose”  del libro: dimenticarsi del tempo che fugge è una sensazione dolce e inebriante, da sempre uno dei desideri più intensi nutriti dai   mortali. Desiderio che, però, è destinato a restare inappagato: a noi uomini questo oblio non è concesso ─ non è un caso che Armilla sia abitata da ninfe e naiadi ─ o lo è soltanto nella dimensione circoscritta e limitata della finzione. Non per niente tra le città invisibili queste felici città senza tempo sono pochissime, due o tre al massimo: isole evanescenti in un mondo che è tutto intrinsecamente temporale, isole nelle quali il lettore può trovare soltanto qualche                  attimo      di evasione. Qualche    attimo,    appunto: la nostra dimensione è quella del tempo, e uscirne, in fin dei conti, non ci è proprio possibile (vedi anche alla voci Memoria e Morte).

 

Non solo: le città sottili    di     Calvino                                           ci                                     ricordano anche che ogni nostra costruzione ripete la colpa antica di Babele, il gesto con cui l’uomo prende commiato dall’orizzontalità naturale dell’abitare per disporsi sulla verticalità artificiale della costruzione.

Ogni città è un’architettura            che ci solleva da terra e che ci strappa al nostro terreno originario. Di qui il fascino di Bauci, la città che è al centro della matrice che Calvino disegna, e che ci ripropone, nella forma di una triplice possibilità, la tensione racchiusa in ogni costruzione umana, il suo porsi come un commiato dalla naturalità del vivere:

 

Dopo aver marciato sette giorni attraverso boscaglie, chi va a Bauci non riesce a vederla ed è arrivato. I sottili trampoli che s’alzano dal suolo a gran distanza l’uno dall’altro e si perdono sopra le nubi sostengono la città. Ci si sale con scalette. A terra gli abitanti si mostrano di rado: hanno già tutto l’occorrente lassù e preferiscono non scendere. Nulla della città tocca il suolo tranne quelle lunghe gambe da fenicottero a cui si appoggia e, nelle giornate luminose, un’ombra traforata e angolosa che si disegna sul fogliame. Tre ipotesi si danno sugli abitanti di Bauci: che odino la Terra; che la rispettino al punto d’evitare ogni contatto; che la amino com’era prima di loro e con cannocchiali e telescopi puntati in giù non si stanchino di passarla in rassegna, foglia a foglia, sasso a sasso, formica per formica, contemplando affascinati la propria assenza”.

 

Lo stesso si può dire delle vecchie aziende piramidali, innaturali in quanto prive di dialogo interno, di convivialità, di cura dell’uno verso l’altro, tutti valori sostituiti dal comando che dall’alto va verso il basso,  dal controllo verticale, dall’incomunicabilità fra persone e fra funzioni. Ed infatti Enzo Rullani,       docente di Economia della Conoscenza presso la Venice International University, autore di numerosissimi libri e articoli,  ha visto in Bauci, città invisibile che si distacca dall’esperienza comune per mettersi in alto, a distanza, una sottile metafora del potere, e dunque degli apparati di comando manageriale che scelgono di vivere all’ultimo irraggiungibile piano di qualche grattacielo. L’idea chiave che Rullani esprime nell’Episodio 65 del nostro romanzo collettivo,    The Man in the High Castle,      e’ che, in realta’, il potere ha comunque bisogno – come fanno gli abitanti di Bauci – di spiare quello che succede nel mondo reale, osservato, studiato, catalogato, con lo stupore di chi soprattutto contempla la sua assenza.

(4. continua)

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