La città muta

Giorninuvole La città muta si distende lunga e grigia accompagnando il mare con un colloquio silenzioso, che molti dicono misterioso. Il porto era stato un grande luogo, una metropolis irta di uomini, pennoni e corde. Da molto tempo ormai è in attesa di un’occasione che non giunge mai e i container, segno della contemporaneità, non hanno l’identità sicura di quelle navi, di quei pennoni, di quelle corde. Più che stare, sembrano galleggiare incerti, bare per merci che sono arrivate lì, ma che sarebbero dovute arrivare altrove e sembrano colme di una rabbia nostalgica per quello che avrebbero dovuto trovare e non hanno trovato.

(Pino Varchetta per la serie Le Aziende Nascoste recensisce: Giorni e nuvole  – regia di Silvio Soldini. Vedi il trailer ufficiale: http://it.youtube.com/watch?v=hiyORFElMGg)

Un tempo la chiamavano superba la città muta. Bella è bella, di una bellezza melanconicamente aspra, segnata qua e là da stupende tracce, un palazzo verde, un palazzo rosso, magnifiche pinacoteche, radi passanti frettolosi. Il centro storico è una città nella città, dicono il più esteso del continente. Vi risuonano ancora le musiche di un gruppo di giovani che negli anni sessanta fecero l’impresa di un canto nuovo, che corse per il Paese e affratellò molti. Non partecipa, la città muta, alla storia dei due. E’ stata commentata come una storia del nostro tempo; qualcuno potrebbe dire che storie simili sono tuttavia sempre accadute e che in piccole imprenditorie scontri dichiarati come valoriali, ma in realtà scoppi di grumi invidiosi e di caratteriologie incompatibili, sono sempre accaduti e raramente si è stati capaci di un loro contenimento. Nella nostra storia tutto esplode con tempi brevi e il gettare sugli altri, soci, amici, compagna di una vita, la frattura tanto attesa quanto improvvisa di un precario interno, è il modo che il protagonista si dà, pur di non interrogare le ragioni mai ascoltate del suo desiderio. L’io non è padrone in casa propria e il nostro imprenditore ha alle spalle molti anni di coabitazione precaria. La compagna, la moglie, all’inizio dolorosamente sorpresa, ha capacità di contenimento e di recupero e, per così dire, si dà da fare. Ma inconsapevolmente butta in faccia al suo tramortito compagno l’esempio di un’energia nuova, non occasione ahimè di una mutua rigenerazione ma, all’opposto, di un rinforzo di una accidia crescente. La città muta ha colpe in tutto questo. Non è capace infatti di offrirsi come mondo intermedio tra quei suoi due abitanti sbattuti e ribattuti da venti nemici e il resto del mondo. La città muta sembra infatti incapace – pur svettando orgogliosamente presente con la Lanterna, col Ditone, con la sopraelevata carica di traffico fumoso – di dare direzione e contenimento positivi alle ansie che il grande cambiamento sta gettando addosso a quei due così bisognosi di conforto e di solidarietà. Manca nella città muta un ascolto capace di dare qualche indicazione al proliferare costante, obbligato, di nuove logiche identitarie, che sono meno di quanto si pensi l’espressione della capacità di fare i conti con i processi in atto, ma tentativi ultimi di difesa e di chiusura rispetto a un emergere nuovo di noi stessi. E quando i due sembrano ritrovarsi, intimamente vicini in uno spazio pubblico ma che contemporaneamente rimanda a un contenitore intimo, quasi l’arco di un’alcova per una coppia di amanti, la città resta muta, osserva astante, ma noi, partecipi giù nelle nostre poltrone nella sala buia, ci attenderemmo un gesto, un grido, una presenza improvvisa. La nostra attesa viene delusa e i due restano soli, in una solitudine urbana rarefatta, con il loro amore e le loro energie, consapevoli, noi e loro, di quanta solitudine dovranno affrontare e di quanto coraggio dovranno disporre.

(Recensione del film Giorni e nuvole  postata dalla personalità mutante di: Pino Varchetta)