Sono felice di annunciare che da oggi comincia una collaborazione con Adapt, l’Associazione senza fini di lucro, fondata da Marco Biagi nel 2000, per promuovere, in una ottica internazionale e comparata, studi e ricerche nell’ambito delle relazioni industriali e di lavoro. Adapt terrà una rubrica fissa bi-settimanale, dal titolo ADAPTability – Lavoratori invisibili di un mercato del lavoro che cambia (per la serie “le coincidenze non sono mai casuali”, cfr. Per gli HR hackers l’intelligenza collaborativa rende l’organizzazione adattativa).
In questo spazio Adapt proporrà interventi su temi cruciali come ad esempio quelli legati all’impatto dei nuovi modelli di lavoro collaborativo e di social organization sul versante normativo e legislativo, quindi delle Relazioni Industriali e Sindacali. In altre parole, si tratta di riprendere e approfondire le questioni che Michele Tiraboschi, Direttore Scientifico di Adapt, ha posto all’attenzione di tutti (a cominciare da chi ha la responsabilità della cosa pubblica) nella Postfazione al volume L’intelligenza collaborativa. Verso la social organization. Ed è proprio un intervento di Michele ad inaugurare la rubrica.
Lavoratori invisibili per aziende invisibili. Sono i lavoratori del mercato del lavoro che cambia, invisibili allo sguardo cieco di giuristi e legislatori quotidianamente impegnati a negare il mutamento della realtà. E cosa dire dei decisori politici che a tutti i livelli, non da ultimi quelli sindacali, bloccano l’azione delle imprese comprimendole in un deleterio conservatorismo, ora più che in passato, l’intimo dinamismo e le prospettive di crescita?
Ancora oggi il dibattito si perde nella sterile polemica «stabilità versus flessibilità» perdendo di vista il vero punto su cui invece varrebbe la pena discutere: il mondo del lavoro è cambiato – e ancor più cambierà nei prossimi anni – da mettere definitivamente in discussione i tradizionali modelli di organizzazione del lavoro incentrati sui concetti di gerarchia, potere e controllo e, con essi, il paradigma normativo della subordinazione posto alla base dei processi legali e contrattuali di regolamentazione dei rapporti di lavoro.
Le regole del lavoro ancora non colgono la dimensione globale e l’irreversibilità delle trasformazioni che stiamo vivendo: dottrina e addetti ai lavoro sembrano non accorgersi, come ha recentemente ricordato un interessante rapporto McKinsey, che il lavoro manuale sta scomparendo per cedere il passo al lavoro interattivo e cooperativo. Analizzando il nostro sistema giuridico, emerge come il quadro regolatorio fatichi non solo a riconoscere i nuovi lavori (si pensi al problema di inquadramenti professionali coerenti), ma soprattutto non riesca a comprendere la mutazione stessa del lavoro. Taylor scriveva che affinché fosse efficacemente strutturato il suo famoso processo di produzione occorrevano operai “pieni di spirito di sacrificio”, “non molto aperti di mente” e “così sciocchi e pazienti da ricordare come forma mentis la specie bovina”. Il tempi sono cambiati, ma troppo spesso il modus operandi di vecchi capi d’azienda, di molti decisori politici e sindacali rimane lo stesso.
Il valore e qualità del lavoro dipendono, in misura sempre maggiore, dalle competenze e dall’autonomia del singolo collaboratore, più che da un rigido assetto regolatorio, predeterminato dalle leggi e dai contratti collettivi nazionali di lavoro, che ingabbia e comprime il dinamismo di un mondo del lavoro che cambia insistentemente. Ben venga quindi l’immagine della social organization e, con essa, l’idea di un modello di organizzazione del lavoro che consenta a un vasto numero di persone di collaborare collettivamente valorizzando le singole riserve di competenza, talento, creatività ed energia.
Ciò tuttavia non sarà possibile sino a quando il Legislatore e prima ancora il sistema di relazioni industriali italiano non sapranno superare i vecchi sistemi di inquadramento e classificazione del personale e con esso le declaratorie contrattuali che, oggi più che in passato, rappresentano gabbie che comprimono l’apporto individuale e la creatività di ciascun singolo individuo nei processi di produzione e scambio di beni o servizi.
Colgo quindi con entusiasmo l’invito di Marco Minghetti ad intervenire in prima persona per dare vita in questo blog – assieme a tutti i collaboratori della Scuola di Alta formazione ADAPT – ad una nuova rubrica bisettimanale con l’obiettivo di dare un contributo proattivo su quei temi di diritto del lavoro che l’economia della collaborazione di massa ha messo in crisi, in quanto ad essere messo in discussione è il contenuto fondante dello stesso diritto del lavoro, ovvero il principio della subordinazione e con esso i vecchi sistemi di inquadramento e classificazione del personale, nonché le rigide declaratorie contrattuali.
L’abbiamo chiamata “ADAPTability – Lavoratori invisibili di un mercato del lavoro che cambia”, intendendo non solo i lavoratori senza contratto o nuove figure professionali non ancora inquadrate da un contratto collettivo, ma anche tutti quei lavoratori che, sebbene in possesso di un contratto, non si rispecchiano più in quel paradigma fordista del comando e controllo, che tiene costretta la loro intelligenza e non permette loro di vedere riconosciuto il proprio contributo creativo, vero motore di un azienda moderna.
Sarà un’occasione di incontro e confronto, con una forte connotazione metadisciplinare grazie al dialogo aperto e costante di sociologhi, economisti, psicologi, pedagogisti, comunicatori e giuristi, con il chiaro obiettivo di dare una nostra lettura e interpretazione sui cambiamenti del lavoro, cogliendone le nuove modalità e configurazioni.
Condividiamo come scuola ADAPT (v. ADAPT, l’Università 2.0), i principi dello Humanistic Management e questo spazio potrà essere l’occasione di costruire assieme il nostro futuro del lavoro.
Direttore Scientifico ADAPT