La creatività del Cavaliere Bianco – Alice annotata 25

“It’s my own invention”, “E’ una mia personale invenzione”: il titolo dell’ottavo capitolo di Attraverso lo specchio è la frase che sintetizza il carattere dello strampalato Cavaliere Bianco: personaggio che più di tutti assomiglia a Charles Dodgson-Lewis Carroll fra i diversi di taglio autobiografico di cui sono costellate le avventure di Alice. La bizzarra creatività del Cavaliere Bianco è infatti il contraltare di quella del suo creatore, sempre in bilico fra  il senso logico-matematico  di “Dodgson” e il nonsenso fantastico di “Carroll”. Una creatività per nulla astratta ma continuamente tradotta in prodotti, artefatti, scritti e manufatti di vario genere e specie, come i suoi numerosi biografi non si stancano di ricordare.

Phyllis Greenacre ad esempio: “(Dodgson) in his boyhood he had been so adept manually that he not only made his own marionetes and theater, but on one occasion he made for a sister a very tiny set of tools, complete in a case, only one inch long. He, like the White Knight, was an inventor – of gadgets, of puzzles, riddles, games, and conundrums, as well as many mnemonic devices”. O John Fisher: “Non è un segreto che Lewis Carroll plasma il Cavaliere Bianco su se stesso. In comune avevano gli stessi capelli arruffati, lo stesso volto delicato, gli stessi miti occhi azzurri, la stessa visione del mondo… Le invenzioni di Carroll comprendevano il prototipo di una scacchiera da viaggio in miniatura, l’originale nastro adesivo su entrambi i lati, un prototipo del gioco Scarabeo, un dispositivo di sterzo automatico per il velocimen, una procedura elettorale, il primo autoscatto”.[i]

Non sorprende quindi che in molti si siano esercitati ad analizzare e ad apprezzare i molteplici aspetti della creatività oserei dire leonardesca del padre di Alice, a partire dall’autore dei celebri Principia matematica, Bertrand Russell. Sia sufficiente qui ricordare che  Alice nel Paese delle Meraviglie costituisce il backbone intorno al quale  Hofstaedter e Dennett hanno scritto uno dei volumi più importanti e rivoluzionari riguardo l’interfaccia Filosofia- Computer: Godel, Escher, Bach, Un’ eterna ghirlanda brillante. Una esplorazione della creatività scientifica tramite una reinterpretazione delle avventure di Alice, considerate quasi come prototipo proprio dei nuovi paradigmi della scienza contemporanea dopo cibernetica e nuova fisica, dopo Einstein e Norbert Wiener. Oltre Newton e la scienza positivista, oltre il causalismo, verso la nuova scienza alineare, virtuale, ciberspaziale, quantica…

Noi non intendiamo certo spingerci in ambiti così complessi, ma se c’è una tematica rispetto alla quale senza alcun dubbio la lettura di Alice in Wonderland si presta ad essere annotata, in chiave postmoderna, nell’ottica dello humanistic management proposto come antidoto allo scientific management, questa è quella della creatività, di cui il capolavoro di Carroll rappresenta forse uno dei massimi esempi nella letteratura occidentale. Non fosse che per questa ragione, Alice dovrebbe costituire una lettura obbligatoria in tutte le scuole di management, dove, per quanto si dia per assodato che, in un mondo sempre più complesso e in rapido e continuo mutamento, la permanente incertezza e la bassa prevedibilità della maggior parte delle variabili strategiche impongono alle aziende la necessità di trasformarsi continuamente e in tempi rapidi, proprio come fa Alice nel Paese delle Meraviglie, si fatica ancora a trovare delle soluzioni efficaci al problema.

Il fatto è che il cambiamento non può essere più considerato una fase dell’evoluzione aziendale, essendo divenuto il normale stato delle organizzazioni contemporanee, che sono chiamate ad essere continuamente “mutanti”. Di conseguenza i paradigmi imprenditoriali classici, ispirati allo scientific management, si mostrano sempre più inadatti ad offrire sia letture convincenti dell’impresa, sia strumenti operativi efficaci per la sua gestione.

L’impresa contemporanea è un mondo non prescritto e infinitamente mutabile, che il management deve saper leggere, interpretare, ascoltare. Ecco allora che il capitale intellettuale diventa un imprescindibile generatore di valore aggiunto. E siccome, a differenza della catena di montaggio, la “fabbrica delle idee” si fonda sulla creatività, sulla imprevedibilità e sull’emozione, vengono meno i presupposti di una azienda dove i ruoli sono precisi, le professionalità definite, le competenze omogenee. Nel mondo della Wikinomics, della Rete, del Social Networking e della Long Tail  vale esattamente l’affermazione del Cavaliere Bianco: “What does it matter where my body happens to be? `My mind goes on working all the same”.

Il Cavaliere Bianco anticipa lucidamente la consapevolezza contemporanea (assai diffusa ma purtroppo quasi solo a livello di retorica e non di pratica aziendale) che nel lavoro sono necessarie quelle attitudini creative fino ad oggi confinate alla dimensione privata e considerate in antitesi con il concetto di professionalità. Mentre decadono i metodi e le suddivisioni tradizionali dell’azienda, si avverte sempre di più la necessità di sperimentare approcci non verticali, non orizzontali, bensì multidirezionali e flessibili. Mi verrebbe da dire “carrolliani”. La grande enfasi su temi come la gamification dei processi di formazione o la transmedialità e multicanalità oggi necessarie per supportare qualsiasi forma di storytelling aziendale ne è la riprova.

In altre parole, ha scritto Domenico De Masi, “la vecchia organizzazione scientifica, come Taylor la chiamava e come le aziende l’hanno perpetuata nonostante il mutare delle condizioni oggettive, fa oggi acqua da tutte le parti. Ai lavoratori intellettuali, che prevalgono nell’azienda postindustriale, non è richiesto di produrre bulloni ma di produrre idee e le regole organizzative che garantivano ieri la migliore produzione di bulloni sono le meno adatte a garantire oggi la migliore produzione di idee. Ne deriva che le aziende sono sempre più a corto di creatività e si trasformano sempre più in immense burocrazie capaci solo di perpetuare se stesse. Come ha constatato Jay Galbraith, ‘La maggior parte degli attuali cambiamenti hanno origine fuori dell’industria. Non sono stati i produttori di macchine da scrivere meccaniche ad introdurre la macchina da scrivere elettrica: gli inventori della macchina elettrica non hanno inventato la macchina da scrivere elettronica; le aziende che producevano valvole non hanno introdotto il transistor, e così via’.Come mai questa carenza di creatività proprio ora che essa offre l’unica ancora di salvezza alle imprese del Primo Mondo? Si possono cercare cause e rimedi d’ogni genere ma si finisce fatalmente per comprendere che la crisi non è di natura congiunturale: ogni volta che l’organizzazione di lavori intellettualizzati adotta criteri mutuati dalla produzione tradizionale di beni materiali, puntualmente l’efficienza cala e i profitti scompaiono. In nome della razionalità (del buonsenso, ndr.: vedi       La dittatura dello Standard e il Nonsenso di Alice – Alice Annotata 17b,      Il buon senso del nonsenso – Alice annotata 14b), si perviene alla più irrazionale delle situazioni e si finisce per ricorrere ai licenziamenti, la paura prevale sull’entusiasmo, l’atmosfera aziendale si incupisce, la creatività si isterilisce e si diffonde la sensazione di pestare l’acqua nel mortaio. La sensazione di crisi provoca il peggiore dei guai che possa capitare nella società postindustriale: annienta la capacità di programmare il futuro”.[ii]

Alice annotata 25. Continua
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[i] Fisher, cit. pp. 15-18.

[ii] Da Esiodo al Duemilaventicinque,  in Le nuove frontiere della cultura d’impresa, cit., pp. 124-125.