Postrisotto al cenone
In questi ultimi mesi si è tornati accanitamente a discutere di moderno e postmoderno. La miccia che ha fatto scatenare l’esplosione è stata accesa a settembre, con l’apertura della mostra londinese Postmodernismo. Stile e sovversione. 1970-1990. Una celebrazione che a qualcuno è apparsa come un addio ma che, nelle intenzioni dei curatori Glenn Adamson e Jane Pavitt, intendeva soprattutto invitare (visitatori e critici) a riscoprire l’attualità di un movimento che propone “una riflessione ironica sulle forme e sui codici ereditati dal passato”. Ma il dibattito già da tempo covava sotto la cenere. Ad esempio la querelle sul New Realism lanciata da Ferraris nell’agosto del 2011, in preparazione di un Convegno che si svolgerà a Bonn nel marzo 2012, che ha costituito la base di una serie di altri articoli pubblicati successivamente sul tema da La Repubblica[i], ma anche altrove (ad esempio su Micromega[ii]) ed è tutt’ora in corso, rientra perfettamente in questo clima. Peraltro il dibattito sulla natura del postmoderno, su cosa questo movimento culturale effettivamente sia, non si è mai placato, da quando Lyotard lo ha avviato con la pubblicazione de La condizione postmoderna nel 1979. Su questo blog Leonardo Terzo a cercato di offrire un contributo alla chiarificazione dei termini della discussione in sei magistrali lezioni.
Personalmente ho sempre sostenuto che gran parte dell’ambiguità di cui è intriso il concetto di postmoderno scaturisce dal nome scelto per designarlo: postmoderno significa letteralmente “ciò che viene dopo il moderno”, ciò che quindi sostituisce ed in qualche modo si pone in antitesi al moderno, ma non offre alcuna indicazione su ciò che il postmoderno in concreto sia o voglia essere. Lo ricordavo in Alice annotata 12: “come ho scritto nell’Introduzione a Le Aziende InVisibili, “Strictu sensu, postmoderno significa ‘ciò che viene dopo il moderno’: e cosa viene dopo il moderno? Tutto e il contrario di tutto. E’ come se, andando a cena da amici, vi pungesse la curiosità di chiedere: ‘Ottimo questo risotto, quale è la prossima portata?’, e la risposta non fosse ‘carne’, o ‘pesce’, o ‘salumi’, ma: ‘il postrisotto’”. Opinione confermata da Edward Docx: “il 75 per cento di tutto ciò che è stato scritto su questo movimento è contraddittorio, inconciliabile, oppure emblematico della spazzatura che ha danneggiato il mondo accademico della linguistica e della filosofia “continentale” per troppo tempo[iii]”. Humpty Dumpty sottoscriverebbe in pieno.
In questo quadro, ho concepito qualche mese fa il progetto Alice Postmoderna, sulla base di una duplice convinzione. La prima: che nonostante la sua ambiguità e la sua conclamata “fine”, il postmodernismo rappresenti ancora una chiave d’accesso imprescindibile alla contemporaneità. La seconda: che i due libri che Lewis Carroll ha scritto su Alice contengano una serie incredibile di intuizioni relative alla natura del mondo in cui oggi viviamo. Entrambe queste assunzioni sono ovviamente discutibili: non posso però non rilevare che la pubblicazione nel 2011 di due bestseller apparentemente molto diversi costituisca un forte argomento a loro favore. I due romanzi a cui mi riferisco sono 22/11/63 di Stephen King e 1q84 di Murakami Haruki, imprescindibili piatti forti per ogni amante della letteratura che abbia programmato una abbuffata di letture in questo periodo di pranzi e cenoni.
La tana del bianconiglio
In prima battuta i due libri parrebbero non avere nulla in comune, se non il fatto di essere i più recenti prodotti di due scrittori di culto, che hanno registrato un ottimo successo di critica e pubblico. Le analogie fra le opere dell’americano e del giapponese parrebbero finire qui, se non fosse per il tributo esplicitamente reso da entrambi ad Alice. King chiama “tana del bianconiglio” il portale spaziotemporale che consente al protagonista del suo romanzo di tornare indietro nel tempo. Murakami descrive l’entrata della sua Aomame nel mondo parallelo dell’anno 1q84 attraverso un passaggio nei pressi di una fermata della metropolitana con parole che riprendono quasi letteralmente quelle del primo capitolo di Alice in Wonderland. Da qui in poi il giapponese moltiplica i rimandi a opere carrolliane (i libri di Alice ma anche Sylvie e Bruno) fino a citare esplicitamente Alice nelle ultime pagine. Tutto questo di per sé rappresenta una prima conferma dell’attualità del personaggio creato da Lewis Carroll. Ma se ci infiliamo in questo stretto passaggio, proprio come Alice scopriamo un mondo sotterraneo di analogie, una rete intricata di convergenze (una ghirlanda, la definirebbe forse Douglas Hofstadter) fra Stephen King, Murakami Haruki e Lewis Carroll. Una rete decisamente postmoderna.
Utopie e ucronie
Cominciamo dai titoli. 22/11/63 e 1q84 rimandano entrambi a delle date. Nel primo caso, quella dell’omicidio di Kennedy, nel secondo quella divenuta archetipica di un futuro distopico come specchio rovesciato del presente (il 1948 in cui scriveva Orwell). La q introdotta dallo scrittore giapponese sta ad indicare che il suo romanzo si svolge in un mondo alternativo al 1984 “reale”, ma in uguale maniera avrebbe potuto regolarsi King. Il suo 1960 è un “1q60”, un passato alternativo in cui il professore protagonista si introduce per cercare di modificare il futuro del mondo, ma anche il suo presente personale (dopo l’incontro con la Alice che abita il suo Wonderland). Lo stesso, in modi diversi, avviene agli amanti di Murakami Haruki: Aomame-Alice e Tengo (professore di matematica e romanziere)-Carroll. In sintesi, ci troviamo in presenza non solo di due “utopie”, ovvero racconti di non luoghi (nell’accezione classica di Thomas More ma per certi versi anche in quella postmoderna di Marc Augè), ma di due “ucronie”, ovvero di non tempi. E non è un caso che la guida alle due u-realtà (o q-realtà) finzionali sia Alice. Wonderland è al tempo stesso una utopia (il mondo meraviglioso in cui tutto è nonsense, secondo il desiderio espresso da Alice nelle prime righe del libro, contrapposto all’Istituzione Totale in cui si trova a vivere) e una ucronia (i paradossi temporali sono al centro dei due libri di Alice, vedi ad esempio Alice annotata 14b).
Mash up
Carroll inoltre anticipa quella caratteristica dei capolavori della contemporaneità postmoderna che consiste nell’impossibilità di ricondurli ad un genere pre-determinato. Questo vale per i libri ma anche per i film e in generale ogni opera artistica. Non solo. La caratteristica della visione contemporanea e postmoderna è di applicare questo criterio non solo alla scrittura o alla produzione di opere artistiche, ma anche alla loro lettura, prescindendo dall’epoca in cui sono state create. Che cosa è ad esempio 1984? Un romanzo di fantascienza? Una distopia? Una storia d’amore? Un racconto sado-maso? La perfetta rappresentazione della vita reale che si svolge oggi in Nazioni quali la Birmania? Come ho scritto a suo tempo, ho avuto questa intuizione nel maggio del 2008, alla presentazione di un libro dal titolo significativo: Al tavolo del cappellaio matto di Alberto Manguel. Non torno adesso sulla questione, ma credo che domande analoghe le potremmo porre rispetto alle opere di King e soprattutto di Murakami Haruki, in cui il gusto citazionista e barocco tipicamente postmoderno (ma anche squisitamente carrolliano) rappresenta la scelta stilistica essenziale. In questo senso, la decisione degli organizzatori del MashRome Film Fest (essendo il mash up la forma più estrema di citazionismo contemporaneo) di dedicare una sezione ad Alice Postmoderna, non poteva essere più felice.
Labirinti
22/11/63 e 1q84 assumono così la configurazione tipicamente labirintica dei libri di Alice. Leggiamo ad esempio sul Guardian: “Throughout Murakami’s oeuvre, on the other hand, his characters never cease to express their bafflement about the nature of time, or change, or consciousness, or moral choice, or the simple fact of finding themselves alive, in this world or another. In this sense, Murakami’s heroes and heroines are all philosophers. It is natural, then, that his work should enchant younger readers, to whom the problems of being are still fresh, as well as others who never grew out of such puzzlements – that his books should seem an outstretched hand of sympathy to anyone who feels that they too have been tossed, without their permission, into a labyrinth.” Il che ci riconduce al tema del postmoderno. “Con il Postmoderno – ha affermato Mendini – è cambiata l’idea che esista un’unica strada per cambiare, che la novità sia a senso unico. Dal 1980 si è più volte annunciata la morte del Postmodernismo. Non direi però che il postmoderno è finito, piuttosto l’attitudine all’intreccio tra culture, l’idea di creazione come labirinto è una realtà acquisita. In questo la missione del Postmoderno può dirsi conclusa ma non esaurita”.
Darkness
Un’ultima considerazione. In The dark side of Alice, abbiamo ricordato come l’interpretazione apollinea e solare dei libri di Alice, che raggiunge il massimo della sua gloria con il film di Disney del 1951, sia stata progressivamente sostituita con una visione dark e addirittura splatter, che, ancora una volta in maniera squisitamente postmoderna, attraversa le riletture transmediali (fumetti, film, videogiochi) proposte negli ultimi vent’anni. Questa lettura “oscura” delle opere di Carroll è alimentata sia da molti tratti presenti nei libri di Alice (si pensi ai death jokes messi in luce da critici come Gardener e Empson), ma anche dall’ambiguità della personalità di Charles Dodgson/Lewis Carroll e dalle sue presunte tendenze pedofile (la pedofilia è un tema fortemente presente in 1q84, ma la violenza sui bambini è presente anche nel libro di King).
Alice nel Paese delle Meraviglie in Murakami Haruki e (naturalmente) in Stephen King diviene così un romanzo horror e, come tutti i romanzi horror, senza speranze di miglioramento per il futuro. Il genere horror, spiegava King in Danse macabre è intrinsecamente conservatore, perché, rappresentando l’orrore della diversità, rafforza nello spettatore il desiderio di mantenere lo status quo. Così da sempre i mostri (ovvero, nell’estetica postmoderna di King, le eterne reincarnazioni della Creatura di Frankestein, di Dracula, di Hyde) vengono sconfitti: ovvero, la diversità viene ricondotta all’ordine e all’omogeneità. Analogamente i tentativi di modificare il passato (e quindi il presente e il futuro) effettuati dai protagonisti di 22/11/63 e 1q84 di fatto falliscono (anche se attendiamo la annunciata terza parte del romanzo di Murakami Haruki per pronunciarci definitivamente).
Tuttavia, resta l’ambiguità di queste opere, che se da una parte sembrano indicare l’inanità di ogni sforzo di cambiamento, il suo essere un sogno come il Wonderland di Alice, al tempo stesso sottolineano con forza l’insopportabilità di un mondo ingiusto e malvagio e quindi celebrano lo sforzo eroico di chi, contro ogni logica, si sforza comunque di opporsi ad esso. Alice (così come le sue reincarnazioni hacker e postmoderne) è una humanistic manager, abbiamo detto. Vale dunque la pena di lottare per un mondo migliore? Ognuno alla fine resta libero di dare la risposta e trovare delle soluzioni concrete, di buttarsi nelle tane del bianconiglio in cui si trova ad incappare o di rimanere prudentemente sulla riva del fiume ad aspettare ciò che gli riserva il destino.
Qualsiasi sia la vostra decisione, da parte mia auguro a tutti un buon 2q12 .
Alice annotata Bonus track.
[i] IL RITORNO AL PENSIERO FORTE, 08 agosto 2011 — pagina 36-37 sezione: CULTURA