Humanistic Management 2.0: la visione di Gary Hamel (parte seconda)

FbgenGary Hamel sta diventando uno dei paladini del passaggio dal Management 1.0 allo Humanistic Management 2.0. Abbiamo già dato conto del pensiero espresso in un suo post pubblicato sul tema a novembre. Hamel  adesso ha scritto un nuovo articolo che offre altri interessanti spunti di riflessione e che vale la pena riprendere anche alla luce dell’indagine Delphi 2.0 La rivoluzione social e le aziende cui stanno aderendo numerosi  manager ed esperti italiani e che è tuttora in corso.

In primo luogo merita una menzione il titolo dello scritto di Hamel: The Facebook Generation vs. the Fortune 500, che richiama irresistibilmente quello da me dato ad un post risalente ad ormai quasi tre anni fa: Facebook vs HR.

Non è una coincidenza. Hamel infatti rivolge la sua attenzione alle aspettative della "Generazione F" – la generazione Facebook- nel momento in cui entrano in una organizzazione: un problema di competenza squisitamente HR. “Come minimo", osserva lo studioso, "questi giovani si aspettano un ambiente di lavoro che rifletta il contesto sociale del Web, ben diverso da quello in cui sono destinati ad impattare e le cui caratteristiche sono ancora quelle di una burocrazia weberiana (intesa nel senso più deteriore del termine)  risalente  metà del 20 ° secolo. Se la vostra azienda spera di attirare i membri più creativi ed energetici della generazione F, avrà quindi bisogno di capire molto bene queste ​​aspettative, derivanti dal modello conversazionale imposto da Internet (come già avvertiva un inascoltato rapporto da Gartner Group del 2008, ndr), e poi reinventare le sue pratiche di gestione. Un passaggio inevitabile: chi non avrà investito ora nelle competenze della generazione Facebook si troverà ben presto fuori dal mercato”.

Ciò premesso, Hamel ha compilato una lista di 12  caratteristiche rilevanti  della vita online. Questi sono i parametri di valutazione che i dipendenti utilizzeranno sempre più frequentemente per determinare se la loro azienda si è adattata alle sfide del management 2.0,  post-burocratico e conversazionale. Nella preparazione di questo breve elenco, spiega Hamel, “non ha cercato di catalogare ogni caratteristica saliente dell’ambiente sociale del Web,  ma solo quelle che sono più in contrasto con i metodi e i processi di lavoro ereditati dal passato ancora fortemente presenti nelle grandi aziende.”

1. Tutte le idee competono su un piano di parità. Sul web, ogni idea ha la possibilità di ottenere  seguito e nessuno ha il potere di uccidere un'idea “sovversiva” o un dibattito imbarazzante. Le idee si impongono o in base al loro merito percepito, piuttosto che sul potere politico dei loro sponsor.

2. Conta il contributo effettivo più che le credenziali. Come a dire, occorre essere autorevoli, non autoritari. Quando si posta un video su YouTube, nessuno ti chiede se sei andato a scuola di cinema. Quando si scrive un blog, a nessuno importa se il blogger ha una laurea in giornalismo. Nelle strutture burocratiche aziendali vige ancora un criterio di selezione basato su titoli accademici e anzianità. Sul web, ciò che conta non è il tuo curriculum, ma quanto puoi contribuire.

3. Le gerarchie sono naturali, non  prescritte. In ogni forum ci sono alcuni individui che ottengono più rispetto e attenzione di altri e hanno più influenza di conseguenza. Questi individui tuttavia non sono stati nominati da una qualche autorità superiore. Invece, il loro peso riflette l'approvazione liberamente data dei loro coetanei. Nella terminologia  dello Humanistic Management 2.0, ciò di cui Hamel parla in questo e nel successivo punto  è la leadership convocativa, estesamente descritta da Piero Trupia in Potere di convocazione (Liguori 2002) e da me proposta come chiave di volta della leadership 2.0 (vedi ad esempio la presentazione effettuata al management di Illy qualche tempo fa). In particolare c’è una differenza fondamentale fra il potere di convocazione e  le altre forme di leadership: proprio come osserva Hamel, si costruisce nel suo esercizio anzi nel tentativo di esercitarsi. Le altre forme di potere invece – il prestigio, il carisma, la tradizione, l’autorità… – sono pre-dati: sono già costituiti prima del loro esercizio. Di pre-dato nella convocazione c’è solo la volontà di esercitarla. Il prestigio viene esibito, l’autorità esercitata, il carisma irraggiato: la convocazione discorsiva viene costruita nell’interazione  e  in cooperazione con il convocato.

4. I leader servono, piuttosto che presiedono. Sul web, scrive Hamel, ogni leader è un leader di servizio, nessuno ha il potere di comando o sanzione. Argomenti credibili, competenza dimostrata e  comportamento altruistico sono le leve per ottenere risultati attraverso altre persone. In maniera a mio avviso più precisa, lo Humanistic Management 2.0 parla di  “potere di convocazione” del leader 2.0, un potere che  esiste da quando esistono comunicatori efficaci, ovvero coloro che sanno attivare la comunicazione di altri: Gesù,  Kennedy, Mandela, ad esempio. Il convocatore è colui che sulla base di una idea forte sa aprirsi agli altri con l’ingenuità del principe Myschkin, l’idiota, facendoli  aprire a loro volta al dialogo.

5. Le attività sono scelte, non assegnate. Quando una persona  contribuisce a un blog, lavora su un progetto open source, o condivide consigli in un forum, sceglie di lavorare sulle cose che la interessano, afferma Hamel. Non a caso il tema del commitment diffuso è uno dei task centrali del nostro Delphi online.

6. I gruppi sono auto-definizione e auto-organizzazione. In ogni comunità online, si ha la libertà di collegarsi con alcuni individui e ignorare il resto, di condividere profondamente informazioni e competenze  con alcune persone e nulla con gli altri. Così come nessuno può assegnare un compito noioso o non interessante,  nessuno può costringerti a lavorare con  colleghi stupidi o che più semplicemente non condividono i tuoi interessi. Anche da qui scende la sfida-chiave della Formazione 2.0, la trasformazione delle famiglie professionali in learnig communities (vedi schema proposto da Jane Hart).

7. Risorse attratte, non assegnate. Nelle grandi organizzazioni, le risorse (tecniche, economiche ed umane) vengono assegnate top-down, in un politicizzato stile sovietico, come lo definisce Hamel. Sul Web, i flussi di risorse si dirigono verso idee e progetti che sono interessanti (e divertenti), mentre si allontanano da quelli che non lo sono. In questo senso, il Web è un'economia di mercato in cui sono milioni di individui a decidere, momento per momento, come spendere la moneta preziosa del loro tempo e attenzione.

8. Il potere viene dal condividere le informazioni, non dal loro accaparramento. Il Web è anche una economia del dono. Per guadagnare influenza e status, si deve offrire la propria esperienza e competenza. E devi farlo in fretta, perché, se non lo fai, lo farà qualcun altro che raccoglierà il credito che potrebbe essere stato tuo. On-line, ci sono un sacco di incentivi per condividere la conoscenza, e pochissimi  ad accumularla.

9. Le opinioni mescolate e le decisioni peer-reviewed. Su Internet, le idee davvero intelligenti fanno rapidamente guadagnare un seguito, non importa quanto dirompenti possano essere. Il Web è un mezzo quasi perfetto  per aggregare la saggezza della folla, l’intelligenza collettiva. E una volta aggregata, la voce delle masse online può essere usata come un ariete per sfidare gli interessi consolidati delle istituzioni nel mondo offline.

10. Gli utenti possiedono potere di veto sulle decisioni più politiche. Molti hanno imparato a proprie spese quanto gli utenti online sono testardi e rumorosi, pronti ad attaccare qualsiasi decisione o cambiamento politico che sembra contrario agli interessi della comunità. L'unico modo per mantenere gli utenti fedeli è quello di dare loro un ruolo nelle decisioni chiave. Fin qui Hamel. Torna, per citare ancora Trupia, il modello del convento, alternativo a quello della caserma (che prescinde dal coinvolgimento, dalla crescita personale e dalla motivazione): qui è dove tutti i membri della confraternita hanno “voce in capitolo”, ovvero potere di parola.  Quando questa condizione si realizza il social network diviene un vero mondo vitale (cfr. Il mondo vitale di Facebook). By the way, è opportuno ricordare che “l'ordinamento conventuale è al massimo coinvolgente; la motivazione è altrettanto forte ed è di tipo ideologico sub-specie confessionale. La crescita personale è prevista, ma segue un cursus totalizzante (non diversamente da quanto accade ai “sacerdoti” di Wikipedia), secondo la formula "o prendere o lasciare", con la clausola implicita nella pronuncia dei voti della esclusione dell'alternativa lasciare. D’altro canto le community online sono abitate da discussioni feroci, ma anche questa non è una novità. “E' noto che i grandi santi hanno dovuto aprire un conflitto con la  propria comunità, per poter affermare la loro visione innovativa. San Giovanni della Croce, quando annunciò di voler riformare il proprio ordine, il carmelitano, venne addirittura imprigionato dai propri confratelli. Dovette materialmente evadere dalla cella con un prodigio di astuzia e di serenità spirituale (Alonzo, 1987)” (Secondo Rapporto sulla comunicazione d'impresa  CNEL, 2000, p. 308).

11. Le ricompense intrinseche contano di più. Il web è una testimonianza del potere di ricompensa intrinseca. Pensate, esorta Hamel, a tutti gli articoli che hanno contribuito alla crescita di Wikipedia, a tutto il software open source creato, a tutti i consigli liberamente dati su Yahoo! Answers: sono tutte  ore di puro volontariato ed è ovvio che gli esseri umani danno generosamente sé stessi quando è  data loro  la possibilità di contribuire a qualcosa che effettivamente condividono valorialmente. Il potere del denaro è grande, ma lo sono pure il riconoscimento e la gioia della realizzazione. Tema anche questo ben presente nel nostro Delphi. Al punto 11 infatti proponiamo questa riflessione: “Nel quadro economico attuale, segnato dalla rivoluzione  social ma anche da una profonda crisi a livello mondiale e dall’emergere di nuove modalità contrattuali, l’empowerment coniugato a forme flessibili di retribuzione, di orario, di organizzazione si ottiene solo se la persona trova consistenti ragioni di adesione psicologica alla mission della società di appartenenza. La rivoluzione social richiede un profondo ripensamento di comportamenti manageriali che mai come oggi devono essere ispirati da una forte visione etica. Come già molti anni fa ha osservato Peter Drucker, sotto questo profilo, il modello di riferimento per le aziende profit dovrebbero essere le associazioni non-profit, che possono contare sulla risorsa più importante di tutte: l’entusiasmo. L’entusiamo è derivante dalla consapevolezza o, almeno, dalla fiducia nel fatto che l’organizzazione persegue un fine giusto, per cui è importante battersi. La condivisione di valori che si traduce in progetti concreti a beneficio della società diventa cruciale per rafforzare la coesione aziendale e in ultima analisi la sua stessa forza produttiva.”

12. Gli hacker sono eroi. Le grandi aziende tendono a rendere la vita scomoda ad attivisti e sobillatori, per quanto costruttivi essi siano. Al contrario, la community online di frequente abbraccia con forza quelli con forte punto di vista anti-autoritario. Anche questo è un elemento che sta emergendo nel nostro Delphi: “La rivoluzione social richiede un profondo ripensamento di comportamenti manageriali che mai come oggi devono essere ispirati da una forte visione etica. Che deve confrontarsi ancora una volta con prospettive nuove, come quella dell’”etica hacker “una nuova concezione del lavoro che rigetta i valori tipici dell’etica capitalistica e li sostituisce con altri: passione, libertà, valore sociale, apertura, creatività” (Bennato 2011, p. 131).”

Queste caratteristiche della vita Web-based, conclude Hamel,  “sono inscritte nel DNA sociale della generazione F, che però mancano completamente nel DNA manageriale della media delle società “Fortune 500”. Sì, ci sono un sacco di ragazzi in cerca di lavoro in questo momento, ma pochi di loro potranno mai sentirsi a casa in “cubicolandia”. Così, cari  lettori, ecco un paio di domande: Quali sono i valori sociali basati sul Web che si pensa siano più in contrasto con il DNA manageriale che si trovano all'interno di un tipico gigante aziendale? E come dovremmo reinventarne gestione per renderlo più coerente con queste sensibilità emergenti online?” Questioni critiche, quelle poste da Hamel, a cui non possiamo che invitare a rispondere anche i manager italiani, ad esempio partecipando a La rivoluzione social e le aziende.