Il cane di Ilaria non è umano

Fisiopatognomoscopia XI

di Piero Trupia

Il metodo di lettura dell’opera d’arte qui proposto ha creato in alcuni interlocutori imbarazzo o dubbio.

Imbarazzo per un eccesso di filosofia in quello che dovrebbe essere un semplice discorso critico; dubbio su dove questo mio discorso, dichiaratamente alternativo a quello della critica d’arte, possa andare a parare. Una precisazione può essere utile.

Il punto di vista che propongo al lettore-spettatore è principalmente semantico: cosa l’opera ci vuol dire, talvolta anche senza la piena consapevolezza dello stesso autore. Da qui il duplice approccio: euristico ed ermeneutico.

L’approccio euristico, o esplicativo, per dipanare il sistema dei segni del linguaggio proprio dell’autore.

L’approccio ermeneutico, o interpretativo, per cogliere il senso dell’opera. Questo approccio apre a sua volta due strade, percorsi diversi che hanno come unico punto d’arrivo il referente, la cosa di cui si parla, ma con una concezione radicalmente diversa di esso.

Seguendo la prima strada, quella del debolismo filosofico oggi dominante, il referente non sta fuori dal sistema dei segni, o del linguaggio; non può. Il referente va cercato o in altri segni, dentro il testo, seguendo le catene delle tautologie, sinonimie, altri legami retorici o testuali, oppure in altri testi, altre opere nel nostro caso, con una serrata indagine filologica. Uscire dal sistema dei segni e dei testi ancor prima che scorretto è inutile. In quel fuori non c’è nulla.

Seguendo la seconda strada, poco battuta di questi tempi, il referente è, al contrario, esterno rispetto al sistema dei segni e al linguaggio, li trascende.

Il linguaggio è la funzione di collegamento tra la coscienza-conoscenza soggettiva e la realtà, sia quella intersoggettiva della comunicazione sia quella delle cose del mondo inteso nel senso più ampio come quelle domiciliate nei mondi possibili della fantasia, del sogno, della religione, delle ipotesi e dei modelli scientifici. Anche questi, previa verifica, sono reali. Questa è l’impostazione che seguo nelle mie note. Qui si apre però una vexata quaestio.

Secondo una scuola di pensiero, cui aderisco, si passa dal segno o significante (parola, frase, tratto di disegno…) al referente, la cosa nel mondo, transitando necessariamente per il “significato”, non nel senso comune del termine, ma nel senso dell’idea platonica del candidato al ruolo di referente, l’essenza della cosa. Se non la si ha in mente, è impossibile individuare il genuino, unico, referente (v. C. K. Ogden, I. A. Richards, Il Significato del Significato. Studio dell’influsso del linguaggio sul pensiero e della scienza del simbolismo, 1923)

Per individuare tra tutti gli equidi il genuino equus caballus, è indispensabile individuare quell’equide, tra i molti, che possiede la cavallinità (un’idea di Platone, questa, e un’idea (essenza) platonica, soggiornante nell’iperuranio, vale a dire trascendente).

Il debolismo nega in radice questa soluzione del problema della referenzialità, in quanto metafisica e da qui il divergere delle due strade. Io, in buona ma ristretta compagnia, la ritengo invece l’unica valida.

Vediamone ora un’applicazione in un’opera d’arte, il sarcofago di Ilaria Del Carretto di Jacopo Della Quercia nel duomo di Lucca.

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Opera d’ispirazione borgognona, tardogotica (1406-8), prerinascimentale.

Ilaria fu la seconda moglie di Paolo Guinigi che si era proclamato signore di Lucca, abolendo la Repubblica. Il sarcofago, richiamante esemplari romani presenti nel territorio, voleva essere anche una celebrazione della nuova signoria. In sé è un’opera di squisita e sapiente fattura che esercita un immediato impatto sullo spettatore.

Jacopo s’è presa però una libertà. Non una morte quella rappresentata, ma una dormitio; non il monumento celebrativo di una defunta, ma il ritratto di una persona viva.

I segni significanti ce lo dicono. Non una tunica sudario, ma una veste vera, la lussuosa pellanda della moda francese o fiamminga, aderente al corpo, tranne le maniche a sbuffo, che modella il corpo vivo e ne è modellata. Il volto, le mani non mostrano rigor mortis. La freschezza dell’incarnato è resa, oltre che dalla magistrale volumetria dell’insieme, dalla sensazione di trasparenza della superficie marmorea. Il referente, il significato, seguendo l’audace scelta di Jacopo, è perentorio: Ilaria è viva.

Il cane, ai piedi della defunta, è vivo e attivo. Non il canonico e generico simbolo di fedeltà coniugale –per gli uomini era un leone e indicava coraggio – ma il cane reale di Ilaria. Guarda la padrona e pretende un cenno di attenzione. È totalmente assorbito in quest’attesa; non si contenta della presenza, vuole una risposta.

Anche i personaggi di una crocifissione sono immersi nel dolore, ma non ne sono sopraffati. Sono certi di un destino trascendentale per il crocifisso. Il dolore è qui umanamente e, talvolta, teatralmente composto. Il dolore del cane di Ilaria è invece assoluto: senza perché, senza speranza, statico, pietrificato. Quel cane è inchiodato nella sua reazione psichica all’evento, immediata e consolidata nello stesso istante. Non accetta l’evento, poiché non è in grado di interpretarlo ( v. Hedwig Conrad Martius, Dialoghi Metafisici, 1923).

L’audace innovazione di Jacopo è questo doppio ritratto su registri diversi, quello nel segno dell’immanenza, il cane, quello nel segno della trascendenza, Ilaria. E una doppia inapparenza. Un cane che sembra umano e non lo è, una donna che sembra morta ed è viva.

Questo il significato del sarcofago di Ilaria Del Carretto.

  • Piero Trupia |

    A Laura:
    Baudelaire è, con Dostoievkji, un grande protagonista del romanticismo e insieme dell’esistenzialismo che aprono l’età contemporanea. Altro che le favole della religione della libertà o delle magnifiche sorti e progressive dello storicismo! L’arte è vera, ed è grande, quando mostra la condizione umana nella sua verità e il caso del povero cane di Ilaria, “ingannato”, come giustamente dici, dalla vita apparente della padrona, manifesta drammaticamente il tema dell’elaborazione del lutto. Per tutto ciò che è morto, comprese ideologie e sogni di rivolgimento sociale che ancora in tanti continuano a vagheggiare.

  • laura grassi |

    A proposito della recensione su Ilaria del Carretto da parte di Piero Trupia,solo poche note.Un apprezzamento sulla lettura complessiva dell’opera,sia sul doppio ritratto che ne trae su registri diversi(nel segno della trascendenza per Ilaria e dell’immanenza per il cane),come pure per l’analisi rigorosa e originale sulla duplice” inapparenza” dei soggetti rappresentati da Jacopo della Quercia.Tuttavia nella rappresentazione del cane ,più che >leggo una maschera in cui si fondono mirabilmente,tristezza, perplessità, ansia,attesa,che si traducono nell’incapacità di comprendere l’evento ed interpretarlo,per l’inganno stesso dell’artista,che non rende Ilaria morta,ma sospesa in un sonno eterno, come Rosaspina nella fiaba.Perciò non mi faccio convinta,sul filo della logica proposta da Piero,della falsa umanità della bestia.
    Riguardo alla discussione sul metodo,senza dubbio, da più di mezzo secolo, la semiotica e la linguistica hanno fatto conseguire risultati importanti nelle singole discipline a cui sono state applicate,dall’ antropologia ,alla letteratura, all’arte, al cinema, ecc; tanto più si sono rivelate utili ,in una cultura storicista come quella italiana, in cui hanno avuto tanto peso , nel bene e nel male ,Croce e Gramsci.La contestualizzazione di un testo ,o di un’opera d’arte ,rimane comunque fondamentale,ma quante vie nuove si potrebbero aprire con una lettura analogica di un’opera ,di un artista, di un tema!Proprio sulla tematica della morte e della sua rappresentazione,di cui stiamo parlando,si potrebbero fare rimandi suggestivi e approfondimenti,per fare un esempio banale ,ma comprensibile a tutti,accostando Ilaria del Carretto ad un altro grande capolavoro della scultura, il Cristo Velato del Sanmartino aNapoli,o a tante altre icone ,persino alle terribili ,non artistiche,immagini fotografiche di Che Guevara morto!
    Sto leggendo proprio in questi giorniun libro che è un esempio alto e autorevole di analogie straordinarie e intriganti :”La folie Baudelaire” di Roberto Calasso,in cui si intrecciano,figure storie, personaggi,in una perfetta osmosi,che crea un disegno unico e significativo della Parigi romantica ai tempi di Baudelaire e ,al tempo stesso, un modo personale e inimitabile di fare letteratura e critica d’arte

  • Piero Trupia |

    L’animale è un ottimo caso di studio per individuare la specificità umana. In realtà anche la pianta , c’insegna Conrad Martius, possiede una sua psichicità con la quale si relaziona con l’ambiente, reagisce vitalmente e regola i suoi processi biologici. Nell’animale abbiamo una reattività che è anche relazionalità attiva: reazione agli stimoli ambientali e risposta proattiva con l’esplorazione dell’ambiente alla ricerca di soluzioni vitali. Nell’uomo un salto radicale che si manifesta con il creare una mappa mentale dell’ambiente, inteso nel senso più ampio, e nell’assumere questa mappa come la realtà (salvo aggiornamenti). Della mappa fa parte lo stesso soggetto che l’ha costruita e che rimane costantemente in contatto con la realtà esterna e interna di se stesso soggetto presente e vigilante, che si rende conto, interpreta, interviene per correggere le sue stesse impressioni e interpretazioni. A molti una tale postura non piace. Amano un’immagine dell’uomo come quella di una macchina cibernetica che processa meccanicamente sensazioni ed emozioni. Da qui l’enfasi sulla intelligenza emotiva, una contraddizione in termini. E’ una ricaduta dell’imperante nichilismo, versione meno nobile del classico scetticismo.

  • Angela Ales Bello |

    L’insistenza sulla metodologia d’approccio all’opera d’arte non è secondario o superfluo. Piero scava in profondità e questo mi pare che sia un percorso necessario. Altre volte mi sono soffermata sulla validità di questa lettura che riconduce a questioni filosofiche, le questioni di “senso”. Modalità “inattuale”, ma “perenne”.
    Quello che in particolare mi sembra interessante nella lettura del sarcofago di Ilaria è l’attenzione rivolta al cane e, quindi, al rapporto fra mondo umano e mondo animale. Non a caso Piero si riferisce all’opera di un’importante fenomenologa tedesca Hedwig Conrad-Martius che, da biologa e da filosofa, esamina il “senso” della natura al dilà dell’interpretazione strettamente scientifica. Se tale interpretazione è assolutizzata, risulta insufficiente. Ella mette in risalto la dimensione psichica dell’animale, condivisa dall’essere umano, il quale, però, ha una capacità intellettuale e volontaria sui generis. Jacopo della Quercia rende in modo straordinario l’atteggiamento affettivo, interrogativo dell’animale che partecipa a suo modo all’evento, non mostrando, però, di poterlo “trascendere”, come “può” accadere ad un essere umano. Ma non è detto che sempre accada, qualche volta anche l’essere umano si atteggia come un “cane” sia in senso positivo – partecipazione affettiva istintiva – sia in senso negativo – aggressività incontrollata -. L’artista “coglie” tali moti e li “esprime” nella loro universalità.

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