Fisiopatognomoscopia XV
Rembrandt. Autoritratto giovanile
Di Piero Trupia
Harmenszoon Van Rijn, detto Rembrandt (1609-1669), è artista grande, non soltanto per l’opera ma anche per la biografia, un suo modo di porsi davanti al mondo, all’arte, al mercato. Uomo libero, pagò un alto prezzo per la sua libertà.
Amava il lusso e lo praticò quando ne ebbe l’occasione, all’apice del successo commerciale intorno agli anni ’30 del XVII secolo. Ma per Rembrandt un altro lusso, al di là dell’agio, del consenso sociale, dell’interessamento dei committenti era la sua libertà, quella di perseguire i propri interessi artistici, coltivare la sua visione e renderla con il linguaggio acconcio, ancorché sgradito al pubblico. Quando questo gli voltò le spalle, Rembrandt ridimensionò drasticamente il suo stile di vita e andò avanti con il suo progetto.
Che Rembrandt sia stato un soggetto progettuale, ci è suggerito dal gran numero di autoritratti. Un’indagine su se medesimo, i suoi propositi, il suo destino.
La sua prima fase artistica, fino a tutti gli anni ’40, fu celebrativa. Non retorica tuttavia, piuttosto una solennizzazione del successo olandese, un’esaltazione dell’epopea di quella borghesia mercantile in un paese con risorse sotto zero: la terra strappata al mare e da difendere contro il suo ritorno, il clima perverso, la perifericità geografica.
La Compagnia del capitano Banning Cocq, detta la Ronda di Notte (1642, Amsterdam Reijksmuseum), esalta l’ordine sociale; i ritratti di gruppo delle compagnie commerciali e delle gilde di mestiere celebrano il successo economico e professionale. Tale La lezione di anatomia del professor Tulp, ordinatagli dalla gilda dei chirurghi di Amsterdam, che glorifica la libertà di ricerca scientifica nella religiosa e insieme laica Olanda (1632, Mauritshuis, l’Aia).
In questi ritratti sociali il gruppo non è disposto in parata, ma con le necessarie dissimetrie sceniche; la luce non mette in mostra ma, ora soffusa ora viva, crea la plasticità della composizione.
La fisiognomica dei personaggi individua caratteri veri, storie personali.
Ma dopo la Ronda, al culmine del successo, a partire dal 1650, cominciò a dipingere per sé, indifferente alle esigenze del mercato, ai gusti-bisogni dei committenti. Suo interesse era cogliere la vita spirituale delle persone. Accadde così che nel 1656 fu costretto a dichiarare fallimento e i suoi beni, la sua ricchissima collezione d’arte, furono messe all’asta. La rappresentazione artistica diventa ora austera, si semplifica, cresce in drammaticità. La negazione di Pietro (1660, Amsterdam Reijksmuseum) lo testimonia.
L’Autoritatto giovanile che qui trattiamo (1634 circa, Firenze Galleria degli Uffizi) è profetico. Esprime indipendenza, coraggio e la determinazione di voler affrontare il mondo.
Il corpo è di tre quarti come per un voler rivolgersi, il capo eretto, lo sguardo, ad spectatorem, fermo e risoluto. Le labbra socchiuse del giovane venticinquenne nella seriosa società olandese, lo dipingono come “soggetto presente e loquente”: ha qualcosa da dire e la dirà. Potrebbe essere: “Prima o poi bisognerà finirla con le celebrazioni, vediamo cos’ha, cos’è la gente dentro.”
Il viso, parte in ombra, si disvela; l’incarnato, la capigliatura hanno la morbidezza e la luce dell’età verde, ma il collare è d’acciaio e sorregge il capo come fosse un piedistallo. Ne sporge però una gorgiera di fragile pieghettato e una spalla è coperta da un velluto che assorbe la luce invece di restituirla come nel bagliore d’acciaio del collare.