Le Banche e i Social Network: una relazione in rapida crescita
Anche in Italia Banche e Assicurazioni stanno diventando sempre più social.
E’ questa la conclusione del rapporto KPMG sul Social Banking. La conferma di un trend che su questo blog seguiamo da tempo (cfr. ad esempio Banche e Assicurazioni 2.0: creare valore attraverso la social economy nei servizi finanziari secondo McKinsey) e che è sottolineato dall’inserimento nel volume L’intelligenza collaborativa. Verso la social organization dei casi Banca Ifis (raccontato dall’Amministratore Delegato Giovanni Bossi) e Unicredit (firmato dal Direttore HR Paolo Cornetta).
Avremo occasione di parlarne diffusamente in occasione della presentazione della Ricerca sull’uso dei social media da parte delle banche italiane realizzata da Social Minds in calendario l’11 luglio a Milano al Palazzo delle Stelline, ma credo sia utile anticipare fin d’ora qualche riflessione sul tema.
Partiamo dai dati del Rapporto KPMG: “Quasi la metà delle aziende italiane fa ricorso ormai ad almeno un social network e primo fra tutti c’è Facebook.
Sebbene siano fanalino di coda rispetto ad altri settori, le banche non sono escluse da questa dinamica. Ogni giorno, infatti, vedono modificarsi radicalmente le abitudini dei propri target di riferimento e il modo con cui comunicare con la propria clientela.
La rivoluzione digitale in atto sta modificando profondamente il profilo della clientela bancaria, più cauta e consapevole, maggiormente connessa con il mondo che la circonda e con gli altri clienti, meno tollerante. È chiaro che tutto ciò aumenta la concorrenza potenziale. Gli intermediari creditizi devono attivarsi per presidiare i canali social.
Ignorare il tema non rappresenta una strategia efficace, anzi, è vero il contrario: anche quando le banche non presidiano i social media non possono impedire ai clienti di parlare degli intermediari ed esprimere giudizi.
La comunicazione mediante social media presuppone, però, che siano rispettati alcuni paradigmi di questo ecosistema: autenticità, trasparenza, partecipazione, tempestività. In più un settore altamente regolamentato come quello finanziario impone che comunque gli aspetti regolamentari e di compliance vengano rispettati”.
Come stanno affrontando dunque la banche questa nuova sfida?
La maggior parte delle 21 banche intervistate da KPMG, circa l’80%, ricorre almeno ad un social media perché ha compreso la valenza strategica dello strumento, le potenzialità e i rischi connessi.
In prospettiva, dunque, ci si attende un’ulteriore diffusione dei social network nel settore bancario. Tra un anno il 95% del campione analizzato sarà presente su Facebook, l’84% su Youtube e il 79% su Twitter.
Il mondo social, infatti, se opportunamente approcciato e gestito, può garantire un’interazione continuativa con la clientela che consente un accesso senza precedenti a informazioni su stili di vita e di consumo.
Non a caso nessuna delle banche interpellate ha esternalizzato questa attività, ma i progetti social sono nella maggior parte dei casi seguiti da team interni (58%) o al più da team composti da risorse interne ed esterne (37%), per i quali è stato designato anche un responsabile formale (60%).
Tuttavia l’impegno garantito in termini di risorse impiegate è, in media e in alcuni casi particolari, ancora troppo esiguo (1-3 risorse per il 60% dei rispondenti), soprattutto nel confronto con altri settori più all’avanguardia in questo ambito, come ad esempio le telecomunicazioni e le utilities.
Infatti, tra le principali motivazioni dello scarso utilizzo dei social network da parte delle banche che non hanno ancora adottato una chiara strategia c’è proprio la mancanza di risorse (83%), oltre alla difficoltà nel valutare i rischi connessi alle strategie social (67%).
Le banche appartenenti a grandi gruppi bancari e le banche online e multicanale sono quelle più avanti: hanno team dedicati e vere e proprie social media policy per le risorse interne alla banca. Tuttavia, in parecchi casi, i social network sono ancora considerati un canale ‘sperimentale’, per il quale non sono ancora state definite procedure e responsabilità precise.
Questo potrebbe costituire un elemento d’attenzione perché la presenza social non si può improvvisare, soprattutto in un settore altamente regolamentato come quello finanziario.
Le banche utilizzano i social network principalmente come canale strategico di comunicazione con la clientela e di promozione del marchio e di particolari iniziative/prodotti commerciali (100%). Alcune li usano in ottica di servizio clienti (56%), ancora in pochi per l’innovazione e creazione partecipativa (crowdsourcing e co-creation) per lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi (39%) e per promuovere programmi di educazione finanziaria (33%). Risultano ancora poche le iniziative di fidelizzazione della clientela (fidelity program).
La finalità customer care, nell’utilizzo dei social network è dichiarata da una buona parte dei rispondenti (56%), tuttavia il reale sfruttamento delle potenzialità dello strumento è ancora basso (la percentuale di richieste gestite attraverso il canale social non supera in molti casi il 7%) e questo senza considerare la potenziale riduzione dei costi di gestione, che di questi tempi sono sotto osservazione. Un’altra opportunità ancora non molto esplorata è l’analisi degli indicatori e dei parametri che fornirebbe utili approfondimenti sulle preferenze e il sentiment della clientela.
C’è, dunque, ancora del potenziale inespresso nell’utilizzo dei social media nonostante le banche italiane intervistate si stiano attivando per implementare questi canali e stiano attribuendo un discreto effort nei progetti dedicati.
Sviluppare l’intelligenza collaborativa fuori e dentro la banca
Questa in sintesi l’analisi di KPMG, che, come si vede, è fondamentalmente focalizzata sulla nuova natura conversazionale del rapporto fra banca e cliente: “Il social sta cambiando il modo con cui le banche possono comunicare con i propri clienti e sta generando una concorrenza potenziale grandissima.
Questa rivoluzione digitale sta modificando anche il profilo della clientela bancaria, più consapevole, maggiormente connessa con il mondo che la circonda e con gli altri clienti.
I clienti oggi reperiscono la maggior parte delle informazioni sul web e scambiano opinioni sui social network. Il ‘potere di influenza’ si è quindi spostato sempre di più dalla banca al cliente, mentre la richiesta di trasparenza ed etica da parte dei consumatori nei confronti dell’intermediario bancario si fa sempre più forte.
La relazione tra banche e clienti sta diventando dunque sempre più interattiva e coinvolgente. Questo rappresenta una grande opportunità per le banche che hanno necessità di rafforzare la relazione con il cliente mediante un rapporto duraturo e fiduciario, soprattutto in un periodo in cui la reputazione del sistema finanziario è stata messa in crisi in diverse occasioni.
Il cliente diventa quindi più esigente nei confronti dell’azienda, meno tollerante rispetto a ritardi o mancata assistenza e più consapevole. Le banche devono quindi incorporare i canali social media all’interno della propria strategia di customer service, sfruttando l’opportunità di migliorare e ripensare tutte le attività di gestione della relazione con la propria base clienti. In tale ecosistema la relazione non è più one-to-one ma è many-to-many e per le banche è fondamentale rispettare i paradigmi dell’ecosistema social: autenticità, trasparenza, partecipazione, tempestività”.
Considerazioni condivisibilissime che però trascurano, coerentemente a tutto l’impianto della ricerca, un punto chiave, su cui invece insisto ne L’intelligenza collaborativa: “È in atto una profonda rivisitazione dei processi di interazione fra gli enti e i loro stakeholder esterni (clienti, comunità locali ecc.) in ottica 2.0… manca ancora però un intervento decisivo: il miglioramento dei processi di integrazione, condivisione e sviluppo delle conoscenze all’interno delle strutture in una logica social.
Ciò accade perchè la classe dirigente delle imprese italiane, con poche eccezioni, pare abbastanza frastornata: sembra aver capito l’urgenza di abbandonare i modelli gerarchici e burocratici dello scientific management e di affrontare la sfida di una trasformazione organizzativa ispirata agli antitetici principi dello humanistic management 2.0 ma, in buona sostanza, dopo cento e più anni di abitudine al modello del «comando e controllo», non sa letteralmente come affrontarla. Preferisce quindi adottare la strategia dello struzzo o, nel migliore dei casi, se ne lava le mani derubricandola a questione tecnica da far gestire ai responsabili ICT”.
Il ruolo decisivo della leadership
Troviamo conferma indiretta di questa situazione per quanto riguarda il settore bancario nel Rapporto KPMG.
Pur indicando quà e là che la trasformazione delle banche in ottica social ha un impatto rilevante sul modello organizzativo e di leadership (cfr. ad esempio Il Top Manager come Content Curator), offre ben poche indicazioni su questo punto cruciale:
“La strategia social deve essere supportata dalla leadership.
Questo perché i social media hanno impatto sulla gran parte delle divisioni e funzioni di una banca e richiedono un forte coordinamento strategico all’interno dell’azienda. Infatti, non è insolito che le task force dedicate ai social media includano specialisti di marketing e di customer care, legali, esperti di risk & compliance e di regolamentazione e membri del team affari istituzionali. Tenere nella giusta considerazione le esigenze e gli obiettivi di ciascuno degli stakeholder interni rende necessario che la leadership del progetto sia al più alto livello.
L’adozione dei social media implica anche una certa trasformazione culturale all’interno dell’organizzazione. Per questo la leadership e l’alta dirigenza rivestono dei ruoli chiave, non solo nel fare in modo che le sfide siano allineate alle linee guida dell’azienda, ma anche nel fornire ai dipendenti un esempio in termini di utilizzo degli strumenti e conformità.L’idea di fondo è che i social media stanno già cambiando profondamente le modalità attraverso cui i clienti interagiscono con le proprie banche.
Quelle che stanno riconoscendo questo cambiamento nel mercato e stanno indirizzando la leadership in questa direzione sono quelle che avranno successo nel lungo periodo. Quelle che, invece, non lo fanno resteranno indietro”.
La Social Media Policy come strumento fondamentale per lo sviluppo di una social organization
Ben detto, ma decisamente troppo poco, anche rispetto a quello che sta succedendo nelle Banche italiane ad esempio sul versante dello sviluppo di Social Portal (cfr. Dalla Intranet 1.0 al Social Portal). Questa scarsità di dati sul tema cruciale della trasformazione del modello cognitivo e culturale, prima che operativo, non è tuttavia dovuto ad imperizia o negligenza dei ricercatori, ma al fatto che le banche su questo punto stanno facendo una grande fatica.
Significativo che, scrive KPMG, “la maggior parte delle banche intervistate non ha ancora definito una social media policy applicabile alle risorse interne. L’impressione è che i social network siano ancora considerati in gran parte dei casi un canale ‘sperimentale’, per il quale non sono ancora state definite procedure e responsabilità precise.
Questo rappresenta un altro elemento d’attenzione per le banche. Per contro, le banche che hanno definito una policy per l’utilizzo dei social media hanno un approccio più ‘avanzato’, in quanto nella maggior parte dei casi si tratta di quei gruppi che hanno un maggior numero di risorse che lavorano alla gestione di questi canali e team dedicati”.
Su questo punto, interessante la testimonianza di Paolo Cornetta, Direttore HR di Unicredit, pubblicata a commento del Decimo Capitolo de L’intelligenza collaborativa, appunto dedicato a come si scrive una social media policy. Ne riporto un estratto: “Per un gruppo come UniCredit, con oltre 150.000 dipendenti distribuiti in cinquanta paesi, la complessità è alta così come la delicatezza delle informazioni possedute dalle persone che vi lavorano. Una regolamentazione è quindi necessaria, ma il nostro approccio parte dal presupposto che il web non sia una minaccia bensì un’opportunità e che lo strumento di governo più importante non sia una serie complicata di regole vincolanti ma una crescita e una diffusione della cultura dei social fra i dipendenti.
L’attenzione riguardo le dinamiche dei social network e i rischi che essi possono comportare, il modo più efficace per armonizzare il proprio ruolo di dipendente con la propria sfera privata e le proprie opinioni, l’attenzione a non utilizzare le informazioni professionali in maniera inadatta, la tutela della reputazione aziendale sono alcuni fra i punti di maggiore sensibilità sui quali, siamo convinti, possono essere proprio i dipendenti a divenire i primi regolatori di se stessi, grazie a una sempre maggiore consapevolezza culturale riguardo i social e il web.
Per questo, in una prima fase abbiamo optato per alcuni «consigli», una sorta di compendio di suggerimenti, costruito quindi non come un «codice» di regolamentazione ma come un’analisi di quelli che possono essere i rischi e le buone prassi da adottare per evitarli. Il documento, non a caso, si chiama Building a culture of Appropriate Social Media Behaviour e il messaggio di fondo che vuole promuovere fra i dipendenti, la sensibilità che vuole sviluppare è che «Quello che facciamo individualmente riflette chi siamo collettivamente come Gruppo».
Ovviamente non è sufficiente solo diffondere un documento per costruire e rafforzare una cultura dei social media in una grande azienda come UniCredit. Per questo all’interno è stato adottato anche il modello delle reti sociali, integrandolo fra gli strumenti di comunicazione e di lavoro delle persone della banca: UniCredit ha creato il proprio social network, OneNet, esclusivamente dedicato ai dipendenti, con l’obiettivo di rafforzare la condivisione delle informazioni, il lavoro in team, superando le barriere temporali e spaziali (la piattaforma permette di creare un proprio profilo, del tutto simile a quelli a cui siamo abituati sui social più diffusi, di condividere contenuti, che siano file, testi, immagini o video, e di modificarli in condivisione).
Si tratta di uno strumento di lavoro prezioso e di un modo per condurre un vero e proprio processo di training on the job e diffondere la conoscenza del tool stesso ma soprattutto delle sue logiche e delle responsabilità e attenzioni che il suo uso comporta per il dipendente di una grande azienda”.
Insomma: è l’intelligenza collaborativa sviluppata all’interno dell’organizzazione, anche grazie ad un sistema di social HR, la base fondamentale su cui sviluppare un modello di banking 2.0 rivolto ai clienti. Oggi le banche stanno invece per lo più edificando i propri sistemi conversazionali cominciando dallo sviluppo di nuovi rapporti verso l’esterno: ma costruire un nuovo edificio cominciando dalla parte più visibile, il tetto per così dire, trascurando le fondamenta, ovvero i processi di gestione e organizzazione del lavoro (e del know how) interni, non è certo il modo migliore per garantirne la solidità e la durata nel tempo.