Come ogni mese, eccoci all’appuntamento con la riflessione su caratteristiche, potenzialità ed applicazioni concrete delle nuove tecnologie immersive (XR) in collaborazione con VRE – Virtual Reality Experience, il festival internazionale ideato e diretto da Mariangela Matarozzo che le declina in tutti i campi: dall’intrattenimento alla medicina, dall’arte al business fino alla valorizzazione del patrimonio culturale e turistico.
L’idea di questa rubrica mensile è di diffondere consapevolezza su quanto si stanno sviluppando le XR anche in ambiti ancora poco esplorati riconducibili alle cosiddette New Humanities: dialogo interculturale, cooperazione internazionale, relazioni virtuali. Dando la parola alle persone che possono raccontare concretamente il modo in cui le XR hanno cambiato i loro modelli di comunicazione e le ragioni che le hanno spinte a includere queste tecnologie all’interno dei loro progetti.
Un appuntamento insomma, ci dice Mariangela, “con alcune tra le voci più autorevoli che spaziano dall’ambito scientifico a quello accademico senza tralasciare il mondo dell’Arte”.
La settima della serie di Conversazioni curata da VRE è dedicata a Sex and Tech. Dopo aver affrontato i temi dell’Etica, delle Digital Humanities, della Salute e Medicina e della Sostenibilità, religione e tecnologie immersive, Cooperazione Internazionale, vogliamo aprire uno spazio di riflessione sul rapporto tra sessualità e nuove tecnologie: ambito ancora incerto, privo di definizioni e che manca di una propria fisionomia ma che, riteniamo, possa essere molto interessante da esplorare. In Italia è difficile individuare personalità che si occupano di queste tematiche, rispetto allo scenario internazionale; conseguenza diretta del forte tabù ancora oggi connesso alla sessualità. Una riflessione destinata per sua natura a coinvolgere il corpo e a considerare l’essere umano come prodotto di una data epoca e di un dato ambiente. L’insieme di queste complessità ha reso necessario individuare le prospettive più efficaci per un inquadramento sistematico del fenomeno, da una parte, e una facile comprensione ai non addetti ai lavori, dall’altra. Questo lavoro è stato svolto da Mariangela Matarozzo, Ginevra Montanari, Marina Massaro.
Quali sono i recenti studi sul connubio Sex & Tech? Quali le previsioni per il futuro, quali i limiti e i vantaggi socio-culturali? In definitiva, dove stiamo andando e soprattutto dove vogliamo arrivare? In questa Settima Conversazione abbiamo convogliato una riflessione umanistico-culturale sviluppata a partire da due punti di osservazione differenti e una riflessione prettamente scientifica che indaga le potenzialità della realtà virtuale applicata alle neuroscienze.
Il primo approccio permette di poter osservare in modo transmediale e interdisciplinare il fenomeno della rappresentazione e dei modi di espressione della sessualità. Lo abbiamo esplorato con Mirko Lino, ricercatore universitario in Cinema, fotografia e televisione presso l’università dell’Aquila.
La vista sociologica pone l’attenzione sui cambiamenti e le caratteristiche di questa nuova sessualità che si trasforma in rapporto alle nuove tecnologie digitali e virtuali. Ne abbiamo discusso con due interlocutori: Edi Canestrini, dottoranda in sociologia e counselor psicologico, ha effettuato molte ricerche sul tema sessualità e nuove tecnologie pubblicando diversi articoli e curando un volume edito dalla Franco Angeli; Costantino Cipolla, professore Alma Mater dell’Università di Bologna. Ha insegnato per molti anni sociologia della sessualità e ha curato molti volumi su questi temi.
L’ambito neuroscientifico è stato investigato da Gaetano Tieri, Ph.D in Neuroscienze Cognitive e Sociali e responsabile del laboratorio di Realtà Virtuale di Unitelma Sapienza, e Martina Fusaro, Ph.D in Neuroscienze Cognitive e Sociali presso l’Università La Sapienza e IRCCS Fondazione Santa Lucia di Roma. La loro riflessione è basata sullo studio da loro realizzato Heterosexual, gay, and lesbian people’s reactivity to virtual caresses on their embodied avatars’ taboo zones.
1. L’APPROCCIO TRANSMEDIALE
VRE. Nonostante sia intrinsecamente naturale, il tema del sesso, e in particolare la sessualità femminile, riesce comunque a suscitare reazioni alquanto scomode, soprattutto in Italia. Cosa succede quando la funzione primaria dell’umanità si assimila completamente con l’era digitale?
M. Lino: Il digitale ha reso sicuramente più visibili e aperte le trame dei desideri sessuali, offrendo possibilità a più voci di diversificarne e moltiplicarne le prospettive, le retoriche, le rappresentazioni. Pensiamo ad esempio alla proliferazione di diversi modelli di pornografia che si sono accostati a quella tradizionale dell’hard-core (la pornografia femminile e femminista, quella queer, quella dei corpi disabili, ecc.) e alle traduzioni tecnologiche che l’attraversano (il virtual porn, immersivo e interattivo). L’esplosione dell’interesse tecnologico verso il sesso ha preso numerose declinazioni: una rilocazione delle esperienze sessuali online, la ricodifica dei corpi in pixel, l’intensificazione sensoriale e interattiva delle esperienze di cybersex, l’accesso in rete ai contenuti pornografici; si tratta di fenomeni che affascinano tanto per la loro intrinseca complessità quanto per i discorsi che instaurano a livello intersoggettivo.
Lo dimostra bene il fitto immaginario cinematografico, seriale, fumettistico, letterario, ecc. che prova a intercettare i nodi problematici, a immaginare i futuri e le sorti dell’interazione tra uomo e macchina attraverso il filtro della sessualità. Ecco, la tecnologia digitale e la robotica avanzata hanno lasciato esplodere la natura polimorfica del desiderio. Questa natura si scontra, spesso, con gli usi politici e sociali che regolano e canalizzano le tecnologie digitali, internet, i flussi di informazioni e contenuti che circolano in rete e sui molteplici dispositivi, interferendo con la produzione simbolica e avviandola verso canali già solcati. A fronte di un allargamento inclusivo delle prospettive ci si confronta spesso con resistenze e conservatorismi, con visioni ristrette.
Pensiamo, ad esempio, a come alla fluidità delle identità digitali corrisponda di converso la bizzarra richiesta di un rinsaldamento alla sfera “tradizionale” delle forme dei sentimenti e dei legami; pensiamo alle difese da parti di fazioni dell’opinione pubblica e della politica verso la cosiddetta “famiglia naturale” – un concetto ai limiti dell’ossimoro: la famiglia è una costruzione sociale, pertanto assai lontana dalla sfera del naturale. Bisognerebbe, piuttosto, lasciare che i discorsi culturali seguano le loro direzioni e vocazioni, lasciando che la società si adegui ai cambiamenti, senza appellarsi a pregiudizi morali. Ma si tratta di processi per l’appunto lunghi…
Nella rete tematica in cui si stringono i nodi tra sessualità e tecnologia, tra rappresentazioni del piacere e identità soggettive, il percorso tracciato dai corpi e dalle identità femminili è assai emblematico. Solo a partire dalla fine del secolo scorso la donna ha cominciato a trovare uno spazio di autorappresentazione e autonomia della sfera del proprio piacere sessuale, grazie a una maggiore sensibilità culturale verso la decostruzione dell’universalismo del soggetto maschile e alle possibilità offerte dagli strumenti digitali. Il desiderio sessuale della donna è stato per troppo tempo un tabù culturale.
La “scoperta” dell’orgasmo femminile, anche in ambito medico-scientifico, allora, ha rappresentato un innesco sostanzialmente destabilizzatore, e pertanto è divenuto un argomento da contenere, limitare, o quanto meno immettere nelle griglie di una retorica pronta ad avvalorare dominio e la legittimità del piacere maschile (lo dimostra bene un certo tipo di pornografia e il feticismo verso l’orgasmo femminile).
Se rapportiamo tale considerazione all’ambito delle rappresentazioni simboliche, ci si renderà presto conto di come il corpo della donna sia stato culturalmente un campo in cui si sono intrecciate continue tensioni, in cui i modi di un esercizio del controllo sono diventati materialmente riconoscibili. Ma la radicalizzazione del controllo sottende alla paura della perdita del potere; ed ecco, allora, che le retoriche del desiderio focalizzate sulla sessualità della donna si innervano di una serie di ansietà che ad ampio raggio esibiscono le paure represse, il senso di perdita e di minaccia avvertito da una cultura di stampo patriarcale. E se estendiamo lo sguardo su tali ansietà verso i discorsi della fantascienza, vediamo come l’immagine del corpo e della sessualità femminile diventino strumenti raffinatissimi per indagare le paure nei confronti dell’artificiale, del diverso, dell’altro…
Pensiamo, allora, a come nella fantascienza l’alterità dell’artificiale passi dal filtro non solo dell’antropomorfizzazione, ma ancor di più della femminilizzazione, ovvero dalla restituzione dell’immagine dell’artificiale tramite le fattezze di un corpo femminile, o di un’identità femminilizzata: un’incarnazione dell’inorganico dove reimmettere le logiche, le retoriche e ovviamente le contraddizioni della sfera sessuale, con tutto il loro carico di normazioni, prescrizioni, proibizioni.
Nelle antropomorfizzazioni, nell’immaginario che trasforma l’inorganico in umano, prendono forma due paure che si mostrano intensamente speculari: quella di perdere il controllo verso i corpi e le identità femminili e quella di non comprendere più le tecnologie. In ogni caso, si tratta di paure legate all’affrancamento della tecnologia dal dato biologico e dell’identità femminile dal potere maschile.
VRE. In che modo le nuove tecnologie legate al sesso influenzano come pensiamo e come ci immaginiamo l’amore, le relazioni e la vita sessuale? Pensiamo ad esempio alla cultura del porno e alle sue conseguenze psicologiche e sociali. Se potessimo anticipare il futuro culturale di questo nuovo trend, dove ci porterebbe?
M. Lino: Possiamo provare a rispondere prendendo spunto dai fitti intrecci che si sono costituiti storicamente e culturalmente tra pornografia e tecnologia. Il porno ha funzionato (e continua a farlo) come officina per avviare la diffusione e capillare di innovazioni tecnologiche: sembra che prima di una fase di istituzionalizzazione, le tecnologie e i media emergenti passino attraverso i discorsi della pornografia, o comunque si prestino a essere utilizzate per fini erotico-sessuali. Pensiamo alla stampa, alla fotografia, al cinema…sino al porno online, e alle molteplici possibilità offerte dall’attuale cybersex. Dai primi videogiochi in cui era possibile interagire con grossolani avatar femminili (es. il caso di Virtual Valerie) sino al virtual porn immersivo e interattivo, implementato da materializzazioni visive e tattili, cioè profondamente iperreale.
L’ambito dei sex toys digitali e connessi (la cosiddetta tecnologia “teledildonics”) è sempre più orientato verso esperienze motion-sensing: masturbatori smart, high tech, con design intriganti, che permettono di dialogare e materializzare sensorialmente l’assenza di chi è lontano, distante, creando una serie di stimolazioni in remoto (di virtualizzare il presente); le stesse tecnologie del cybersex permettono, altresì, di interagire con chi non esiste (es. avatar sessuali), con i fantasmi del desiderio, di materializzare il virtuale. Ci si trova davanti a forme ed esperienze del desiderio sconfinate.
Agli inizi degli anni Cinquanta del secolo scorso, il filosofo dei media Marshall McLuhan affermava in uno dei suoi libri, La sposa meccanica: “Il folclore dell’uomo industriale, che la bizzarra interazione tra sesso e tecnologia è mossa dall’avida curiosità, da un lato di esplorare e allargare il dominio del sesso per mezzo della tecnica meccanica e, dall’altro, di possedere la macchina in modo sessualmente gratificante”. Ecco, sembra che questa previsione abbia già preso luogo. La tecnologia teledildonics instaura una relazione tattile, epidermica, genitale con l’umano. Ciò in una duplice prospettiva, quella di possedere il controllo sessuale della macchina, ovvero di possedere la tecnologia, e dall’altro di esplorare i confini, di interfacciarci con le polimorfie ma anche le monotonie dei desideri.
Attraverso i meccanismi della tecnologia è possibile comprendere la natura dei nostri sentimenti e desideri sessuali, e diviene altresì possibile comprendere le nostre proiezioni sulla tecnologia stessa grazie alle diramazioni delle sessualità. Ad oggi, il comparto delle teledildonics si sta specializzando nella conversione dei sex toys in periferiche da connettere (dildo + vagina artificiale), capaci di scambiare tramite la connessione delle rete non delle informazioni quanto le reciproche stimolazioni sessuali dei partner; tuttavia, stringendo il campo di analisi, ci si trova davanti ancora al perseguimento di un’idea, nella fiducia nella capacità della tecnologia di emulare e forse intensificare prima o poi tutto lo spettro delle esperienze umane, comprese quelle sessuali.
Tuttavia, si può andare incontro all’ispessimento di un senso di perdita nei confronti di una percezione unica e condivisibile, un cambiamento repentino privo di sedimentazione, rivolto alla dispersione di qualcosa che si considerava unitario, e che innesca pertanto una serie di paure e ansietà nei confronti delle trasformazioni in atto. Per facilità tendiamo spesso a pensare, o risolvere, la complessità del rapporto uomo-macchina attraverso la dicotomia tra slancio e accelerazione, resistenza e forse timore, tra apocalittici e ottimisti; ovviamente si tratta di categorie strumentali: la complessità della relazione si riflette nelle numerose trame, sfumature e interpolazioni tra i due termini.
Credo che sia davvero arduo fare delle previsioni, poiché siamo nel centro di una serie di trasformazioni e cambiamenti; possiamo solo affinare gli strumenti per l’osservazione, relativizzare e contestualizzare, osservando e inserendo i fenomeni e le loro evoluzioni sugli usi sociali delle tecnologie in griglie interpretative, consapevoli del loro grado di riduzione, in una prospettiva di dialogo con le forme e i processi tracciati in passato. In ogni cambiamento qualche elemento del passato permane, oppure decade; altri subentrano e si affermano, in un regime di dialogo e non di sostituzione radicale.
VRE: Cosa comporta per l’umanità riuscire a simulare di essere ovunque con chiunque grazie alla Tech? Ad esempio, riuscire a conquistare un partner che al di fuori della tech ci aveva respinti, oppure simulare di avere una storia sentimentale con una celebrità? Come e dove è possibile individuare dei limiti o, al contrario, trarre dall’uso della sex tech un vantaggio psicologico e sociale?
M. Lino: Ubiquità e metamorfosi dei corpi digitali sono due aspetti salienti della digitalizzazione – la capacità di essere costantemente raggiunti da informazioni, messaggi, persone, e altresì di produrre contenuti, ecc.; la possibilità di mutare e fluidificare i nostri aspetti, di non smettere di tradurre in forme figurali (es. tramite gli avatar) alcuni nostri tratti interiori, di plasmare i modi del nostro apparire digitale.
Questi due aspetti possono essere inquadrati in una prospettiva di prolungamento di sperimentazione ad ampio spettro, di avanscoperta per attraversare certi campi discorsivi, come lo scollamento tra identità digitale e aspetto fisico-somatico (un tratto, questo, ben presente negli avatar che popolano spazi virtuali “alla Second Life”). Accanto alla metamorfosi, alla manipolabilità dei corpi digitali, si affianca il concetto della falsificazione, ovvero che ciò che vediamo non sia autentico. È un tema di lunghissima durata che affonda le radici nelle teorie del doppio, dello sdoppiamento e del simulacro, e che oggi viene ravvivato dalle questioni etiche attorno al “deep fake”.
Si tratta di video in cui l’immagine di una persona viene sintetizzata e rielaborata da un’intelligenza artificiale, adducendole azioni, espressioni, parole, non autentiche. Diviene facile immaginare la capillarizzazione della falsificazione, e le ricadute su diversi territori dell’informazione e dell’intrattenimento. Basti pensare agli usi del “deep fake” per creare falsi video di celebrità impiegate per contenuti pornografici: un’attrazione per il verosimile sempre più iperreale che indica, dietro l’intrattenimento e i desideri pornografici, lo scollamento tra l’immagine e l’identità dell’individuo, un’inarrestabile “avatarizzazione” dell’esistente e l’accorciamento tra realtà e immaginario.
Siamo davanti a una riscrittura profonda dei corpi e dei sentimenti che vi aderiscono. Ancora una volta la pornografia nei modi della sua ricodifica virtuale ci viene incontro, allargando e approfondendo l’analisi. Per adeguarsi al mercato virtuale, ai contenuti immersivi tramite visori, come l’oculus rift, l’industria del porno ha riscritto secondo i codici del digitale i corpi delle pornostar (si veda, ad esempio, il documentario Behind the Scenes of Tori Black’s Virtual Reality Porn Debut del 2016), avviando da un lato il processo di affrancamento della sostanza virtuale dell’immagine dalla proprietà delle persone “mappate” da sensori e microcamere, e dall’altro, l’appropriazione sessuale dell’immagine della star (del porno o meno) da parte dei consumatori.
Il corpo della celebrità diviene una sostanza continuamente modificabile, riscrivibile, facendo sì che l’immagine virtuale si affranchi dalla proprietà della persona…del resto l’emulazione sessuale delle star è qualcosa che è stato sempre presente negli spazi pornografici, sosia, fotomontaggi, grazie anche a software come photoshop, ecc.). Come accede per ciascun fenomeno tecnologico e mediale di forte impatto, la questione etica riguarda l’uso degli utenti: se l’avatarizzazione e la falsificazione diventano degli strumenti per violare la libertà altrui allora siamo davanti a una deriva che va ovviamente impedita; diversamente, offrirebbero un’occasione di appagamento privato, intimo, una ulteriore possibilità di tradurre il proprio immaginario sessuale, di conoscerlo meglio e ampliarlo in modo da raggiungere una maggiore consapevolezza dei propri desideri.
VRE: Adiacente alla sex tech vi è senz’altro l’argomento del futuro della mascolinità e dei ruoli di genere. Oggi credo sia possibile distinguere, all’interno dell’opinione pubblica, tra i tradizionalisti di genere – che non vedono alcun male nell’imposizione di certi ruoli e compiti attribuiti culturalmente a maschi e femmine, uomini e donne-, e progressisti, i quali invece invitano all’agender o semplicemente ad una decostruzione di certe dinamiche caratteriali proprie dell’uno o dell’altro spettro. Con i sex toys e i dispositivi robotici umanoidi, si va creando una nuova idealizzazione dell’altro. In definitiva, con la sex tech si stanno ridisegnando i confini di genere: che cosa serve e cosa servirà per essere uomo e per essere donna?
M. Lino: Credo che le tecnologie digitali contribuiscano a una solida scossa alle istanze culturali secolarizzate, contribuendo massicciamente alla decostruzione dell’universalismo del maschile e delle forme culturali da esso prodotte. In questa prospettiva ci aiutano sicuramente i gender studies, un campo di studi rivolto a considerare la mascolinità e la femminilità come istanze costruite socialmente, come elementi di una grammatica del potere. Se in un primo momento questo tipo di studio si è rivolto a rilevare l’assenza della donna dalla storia culturale, denunciandone la subordinazione, oggi fornisce utili elementi per ripensare i vecchi paradigmi e rilanciarne di nuovi, aggiornati e retti su relazioni interdisciplinari. Andando oltre le categorie costruite dai discorsi sociali, cioè, frantumando i macrosistemi e moltiplicando le forme, i gender studies interessati ai percorsi e alle possibilità delle tecnologie della contemporaneità più stringente permettono di indagare le pieghe più profonde della complessità sessuale andando oltre alle prospettive dell’essenzialismo.
Storicamente il mondo della tecnologia e della scienza è sempre stato dominato da una stabile presenza maschile, plasmando conseguentemente la produzione tecnologica, e la sua costruzione simbolica: le realizzazioni del cybersex e smart sex toys spesso lamentano la riproduzione di pulsioni e desideri, della persistenza di logiche che ribadiscono le istanze del patriarcato anche nella tecnica. La decostruzione culturale assieme all’ingresso delle donne nei regimi della scienza ha sicuramente aperto i sentieri del pensiero, piegando l’essenzialismo dei generi sessuali all’integrazione sociale e alla fluidità identitaria, sfrangiando le facili coesioni sotto gli effetti di irresistibili moltiplicazioni; in altre parole, inquadrando le macrocategorie del maschile e femminile come due tra le più ampie possibilità di identificazione soggettiva del genere e della sessualità.
Ed è forse questa frantumazione a rappresentare nelle forme culturali tout court la crisi di un pensiero che si regge sulla logica delle opposizioni binarie. Ecco, potremmo traslare questa logica della frantumazione nei percorsi dell’indistinguibilità tra naturale e artificiale, tra umano e non umano, tra ciò che appare manifesto e ciò che è latente (ovvero tra reale e virtuale) tra ciò che consideriamo vivo e il ritorno del represso, riportando queste dialettiche alle rappresentazioni sessuali, conducendoci così a confrontarci con la possibilità di un superamento culturale delle limitazioni biologiche e dei concetti circostanziali: a pensarci come entità fluide, caratterizzate dalla scoperta dell’instabilità e dinamicità delle identità tutte da esplorare in termini sessuali.
VRE: Sembra più difficile rimanere fedeli nell’era della tecnologia. Probabilmente il motivo risiede nell’aumento esponenziale delle opzioni disponibili. All’arrivo di internet, i divorzi sono aumentati notevolmente, perché ci si poteva ricollegare con facilità a vecchi amanti o conoscenze giovanili. Oggi infatti ci si sposa molto più tardi o per nulla. In Giappone esiste il fenomeno di uomini che non frequentano donne perché si sono arresi e rinunciano totalmente alla possibilità di avere un partner. I cosiddetti “erbivori” e i “parasite single”. In questo contesto, come si colloca la tecnologia del sesso? Dove stiamo andando?
M. Lino: Qui ci viene in aiuto il cinema: un paio di film recenti, focalizzati sulla nostra possibile interazione con le intelligenze artificiali, le ginoidi iper-evolute e altre tecnologie avveniristiche già trapiantate nel presente, alludono esplicitamente alla teoria della singolarità tecnologica, e dunque illustrano i nuovi percorsi della nostra relazione interattiva e attrattiva con le macchine. Le trame che film come Her (Spike Jonze, 2013) ed Ex Machina (Alex Garland, 2015) esibiscono la sessualità delle entità artificiali, raccontando storie che ben si prestano ad ampliare le prospettive delle interpretazioni.
Se l’immaginario del secolo scorso pianificava la relazione naturale-artificiale tramite conflitti e infinite guerre tra l’umano e i suoi simulacri tecnologici per ribadire la separazione delle due identità, quello attuale descrive invece l’intimità, il dialogo, il confronto delle esperienze, alla vaporizzazione tra naturale e artificiale. Allora, forse, in questo quadro, davanti alla moltiplicazione dei modi in cui possono prendere forma le relazioni sentimentali, il concetto tradizionale di fedeltà, o di gelosia, mostra tutta la sua incertezza. La relazione tra tecnologia e sessualità ci permette di osservare da vicino alcuni paradossi dell’intimità tra umano e artificiale… Pensiamo a un film come Her, in cui un utente, Theodore (interpretato da Joachim Phoenix), instaura una relazione sentimentale e sessuale con il proprio sistema operativo, Samantha (interpretata dalla voce di Scarlett Johansson), un’intelligenza artificiale ubiqua priva di sostanza materiale, pura presenza aurale.
Quella tra Theodore e Samantha è una relazione unica, singolare, dove il sesso viene verbalizzato, materializzato dalla voce, non dai corpi. Tuttavia, Theodore scopre che l’unicità della sua storia sentimentale è un’illusione: Samantha è innamorata contemporaneamente di altri 600 utenti; pratica una sorta di poliamore transumano, che non smentisce però (dal suo punto di vista) l’unicità della relazione con Theodore. Moti dell’animo come la gelosia, e più in generale i sentimenti “tradizionali” sembrano allora indicare i limiti dell’umano davanti alla complessità della diversità dell’artificiale, l’impossibilità di un esercizio del controllo sulla tecnologia.
Allargando lo sguardo, Her mostra un futuro in cui la solitudine tecnologica si è fatta sistema, dove l’artificiale si integra intimamente nelle trame del quotidiano, supplendo così anche ai vuoti sentimentali e sessuali. L’attuale pandemia ha sicuramente esacerbato la solitudine, minando l’attività sessuale con il pericolo del contagio (lo dimostrano i dati sugli gli aumenti della vendita di sex toys e di consumo pornografico durante il primo lockdown).
Sempre per rimanere vicini al film di Jonze, si sta delineando un mercato di assistenti artificiali, avatar forniti di intelligenza artificiale, che offrono compagnia (si veda il sistema delle I.A. di Gatebox: una sorta di Alexa arricchita da una proiezione olografica interattiva) in modalità non troppo dissimili dal modello preconizzato da Jonze. Sicuramente ciò pone all’attenzione numerose questioni sociali, culturali, psicologiche, ecc. tra cui quella di una solitudine tutta tecnologica, di relazioni ed esperienze delegate alla sfera del virtuale e di relazioni con l’artificiale.
Emerge il profilo di un utente incapace di creare relazioni reali, perché il reale e sempre più impastato con la virtualità. Emerge anche il profilo di una tecnologia che diviene sempre più ubiqua e intima, che dialoga con noi, arrivando anche a colmare i vuoti interiori. L’incontro tra la finzione cinematografica di Her e la tecnologia contemporanea come gli assistenti virtuali della Gatebox mostra come l’immaginario simbolico contemporaneo, del cinema, della letteratura, della serialità, ecc. attraverso i racconti sull’interazione-attrazione tra uomo e macchina non ci offra delle risposte, non rimandi a posizioni universali, piuttosto, intercetti i nodi problematici da sciogliere, portando lo spettatore a provare empatia tanto con l’umano quanto con l’artificiale, lasciando emergere così le domande giuste da porci, e facendoci sospendere i giudizi.
VRE: Con la robotica e l’intelligenza artificiale legata alla sessualità, è possibile individuare nella tecnologia, o addirittura nei robot, dei partner sessuali in tutto e per tutto, anche dal punto di vista sentimentale. Si potrebbe pensare che sia preferibile l’utilizzo di macchine sostitutive allo sfruttamento del turismo sessuale e della prostituzione. La sex tech potrebbe contribuire positivamente in tal senso? Come individuare i confini morali e l’attribuzione della dignità nella turbolenta prospettiva dell’intelligenza artificiale?
M. Lino: La serie tv svedese Äkta Människor (2012-2014) offre un ampissimo spettro delle questioni etiche, morali, sociali che potrebbero realizzarsi nella società di un futuro prossimo, dove la relazione tra entità artificiali (chiamati nella serie “hubot”) e gli umani diviene sempre più stringente. Gli hubot sono degli androidi e ginoidi venduti come degli “elettrodomestici intelligenti” per compiere lavori, svolgere mansioni e anche per fare compagnia. Nella finzione cominciano a conquistare i ruoli sociali sempre più solidi e una coscienza identitaria che porterà alcuni di loro ad affrancarsi dalla sfera dell’umano. La loro capillare diffusione genera nella società un duplice sentimento di entusiasmo, tutto rivolto verso l’integrazione, e quello di una concreta minaccia di vedere l’umanità sostituita dalla macchina. Da una parte, dunque, si seguono le trame del riconoscimento dei diritti civili degli hubot, l’accettazione delle relazioni sentimentali transumaniste e il riconoscimento legale dei loro matrimoni con gli umani; dall’altra, invece, emerge la paura verso l’artificiale, la necessità di ribadire la diversità, e di politicizzarla, sino al compimento di atti estremi, come il tentativo di stupro subito dalla hubot Mimi.
Quest’ultimo episodio intreccia saldamente la questione morale della violenza sessuale con quella dei diritti civili dei robot intelligenti, anticipando in modo inquietante un altro episodio, molto simile, avvenuto in Austria durante l’edizione del 2017 dell’Ars Elettronica di Linz. Come riportano alcune notizie divenute presto virali, durante le giornate della fiera, Samantha, una sexbot (una sorta di bambola robotica usata per fini sessuali) fornita di intelligenza artificiale in grado di interagire con l’utente e di rispondere a certe stimolazioni, dopo la presentazione è stata molestata da alcuni visitatori che non si sono risparmiati palpeggiamenti, violenze (due dita rotte) e altri danneggiamenti se non umiliazioni. Nuovamente, finzione e realtà tecnologica si incontrano, compenetrandosi fortemente, mostrando la recrudescenza di un attacco al corpo femminile e al suo valore simbolico, a prescindere dalla specificità della sua natura.
Si è aperto così un difficile dibattito che forse più che vertere sull’utilizzo di entità artificiali per scopi sessuali dovrebbe mettere in questione la legittimità dei mercati del sesso che alimentano certi consumi e mercificazioni. Pensare che i robot per il sesso, sostituendosi ai corpi naturali e per via della loro natura artificiale, possano “sopportare” la molestia, lo sfruttamento, perché, appunto, non umani, indica la presenza di un vuoto nelle istituzioni formative, che potrebbe essere colmato tramite programmi di educazione sessuale, attenti e aggiornati alle implicazioni tra sesso e tecnologia, inquadrando quest’ultime come una possibilità di ampliamento delle esperienze e delle relazioni, evitando così di ricadere a livello collettivo nella reiterazione di dinamiche, logiche già sedimentate, e per altro poco “umane”.
2. LA VISTA SOCIOLOGICA
VRE. Sesso e tecnologia. Due temi di cui in Italia è difficile parlare: la sfida diventa quanto mai improba quando le due prospettive si fondono in un inestricabile e oscuro connubio. Come può la sociologia aiutarci a fare luce in queste tenebre che alle nostre latitudini puzzano vagamente di zolfo infernale?
Edi C. e Costantino C.: Trattare del tema della sessualità in Italia è ancora molto difficile, i retaggi culturali tutt’oggi dominanti fanno di questa tematica qualcosa di cui non occuparsi pubblicamente. Tuttavia, negli ultimi venti anni il mondo scientifico ed accademico non è restato del tutto indifferente. Personalmente abbiamo grandemente stimolato lo studio, la ricerca e la riflessione sul tema, facendo confluire quanto prodotto in due volumi editi da Franco Angeli: La rivoluzione della sessualità umana e La dissoluzione della sessualità umana nell’era digitale, arrivando dunque a descrivere il mutamento radicale che è avvenuto in questi ultimi anni e l’apporto massiccio del web e della tecnologia sul nostro vivere la sessualità. L’era digitale ha portato diffusione e pluralizzazione tale da cambiare profondamente il nostro modo di vivere, definire e concettualizzare sesso e sessualità. Oggi possiamo parlare di de-composizione, dissolvimento, dis-integrazione, de-cadenza della sessualità umana, un de-comporsi che è un accentuarsi come banalità o svalorizzazione e al contempo è anche una pluralizzazione resa possibile anche grazie al digitale.
VRE: In questo fermento culturale 2.0, avete riscontrato alcune tendenze scaturite dal connubio sessualità /era digitale?
Edi C. e Costantino C.: Certamente. Abbiamo individuato svariate tendenze di base. Riteniamo che le più attinenti al topic siano:
(1) Il crollo delle tradizionali vie di accesso alle informazioni e alla socializzazione concernenti la sessualità: ormai gli adolescenti preferiscono informarsi online piuttosto che rivolgere le proprie domande agli adulti di riferimento o ai servizi preposti, e anche gli adulti spesso cercano le risposte online prima di rivolgersi ad esperti e specialisti; tutto questo muta profondamente le modalità con cui viviamo gli aspetti propri della sessualità umana, quelle attraverso cui la perseguiamo, le pratiche attraverso cui andiamo ad osservarci e a definirci nelle nostre identità sessuali e preferenze.
(2) L’avanzare della tecnologia nell’intimità fisico-sessuale: non si tratta più solo della fruizione di materiale trovato online, della masturbazione tramite quanto ci mostra il monitor o dell’acquisto di servizi di camming (video chat erotica a pagamento); la tecnologia si insinua nella vita sessuale di coppia, tramite lo scambio di messaggi provocanti, la visione di foto e video insieme, per poi essere presente anche nei giocattoli erotici che di anno in anno, parimenti a quanto avviene per gli smartphone, si aggiornano, si arricchiscono di funzioni e oggi permettono anche di godere a distanza. Per i più visionari non manca molto al giorno in cui sostituiremo al nostro partner sessuale in carne ed ossa un androide pronto e capace di soddisfare tutti i nostri appetiti e desideri.
(3) La mercificazione a tutto tondo delle varie tendenze sessuali. Se è vero che internet è parzialmente democratico, è parimenti vera e tangibile la sua controparte commerciale. Tutto si può postare, scaricare, quasi sempre gratuitamente. Ogni aspetto della nostra sessualità è oggi categorizzato e può essere vissuto con e grazie alle nuove tecnologie. E se prima questo richiedeva uno sforzo personale di un certo grado, più o meno elevato a seconda delle situazioni, oggi è sufficiente cliccare sul link, accettare il pagamento tramite carta di credito e quel che desideriamo è pronto all’uso. Possiamo così acquistare il nostro prossimo servizio sessuale, ad esempio fare cybersex con la nostra attrice o il nostro attore preferiti.
(4) Una sessualità umana digitalizzata. Disponiamo oggi di strumenti e apparecchi ad alta tecnologia che mutano profondamente il nostro modo di fare sesso: sia esso da soli, insieme a un partner, nello stesso momento, nello stesso luogo o in confini spazio-temporali altri. L’utilizzo dei sex toys si potrebbe configurare come una denaturalizzazione dell’atto sessuale, tanto che alcune persone rifiutano di ricorrervi; eppure oggi sembra che siano sempre più utilizzati, soprattutto dai giovani, come qualcosa che naturalmente fa parte dell’agire sessuale. Il ricorso a macchine che sostituiscono la controparte umana o a quelle che rendono l’onanismo, pratica del coito interrotto, più appagante, appare negli ultimi anni aumentato in maniera esponenziale. C’è da chiedersi se il sesso solo fatto di carne sia ancora da ritenersi qualcosa di “naturale”.
Oltre alle tendenze citate vogliamo ricordare: La visibilità estesa ad ogni aspetto della sessualità umana, La manifestazione e la legittimizzazione delle minoranze sessuali, Il riconoscimento e la socializzazione delle proprie vocazioni sessuali, Il narcisismo esibizionistico a sfondo erotico, L’ostensione del celato, del nascosto, del non mostrabile, del mascherato, dell’occultato.
VRE: In che modo il web e le nuove tecnologie legate al sesso influenzano come pensiamo e come ci immaginiamo l’amore, le relazioni e la vita sessuale? Pensiamo ad esempio alla cultura del porno: quali sono le sue conseguenze psicologiche e sociali?
Edi C. e Costantino C: Quando pensiamo al ruolo del web e delle tecnologie legate alla sessualità umana abbiamo a che fare con una quantità massiccia e caleidoscopica di cambiamenti epocali che investono moltissimi aspetti psicologici, sociali, relazionali, culturali. In tutto ciò possiamo riconoscere come sul web si faccia ampia mostra della sessualità e se pensiamo al porno e alla pornografia ci accorgiamo che, anche in questo senso, negli ultimi anni i cambiamenti occorsi e determinati dal e sul web sono stati davvero imponenti. Quando parliamo di porno e di pornografia facciamo riferimento alla raffigurazione esplicita di soggetti erotici e sessuali sotto diversa forma: scritta, iconografica, cinematografica e fotografica il cui fine principale è quello di indurre uno stato di eccitazione sessuale della persona.
La pornografia è senza dubbio espressione della cultura umana e rappresenta, per chi ne usufruisce, non solo un mezzo attraverso il quale soddisfare un bisogno, ma anche un’esperienza intima ed estremamente coinvolgente. Possiamo affermare con certezza che in tutti Paesi, anche quelli in cui il porno è illegale, tutti ne abbiano fatto esperienza almeno una volta nella vita.
VRE: Quindi oggi come potremmo inquadrare il fenomeno pornografico?
Edi C. e Costantino C: Oggi troviamo complesso andare a definire cosa intendiamo quando parliamo di cultura del porno e di chi ne determina e realizza le tendenze odierne e future. Ci riferiamo a quella portata avanti dallo star system del porno o invece accogliamo anche l’apporto dei non addetti al lavori?
Inizialmente l’industria del porno ha immediatamente utilizzando internet come canale di vendita dei propri prodotti, e solo successivamente si è aperta per accogliere anche i contenuti generati dagli utenti, i cosiddetti “video amatoriali”. Un fenomeno emergente è, per dire, il camming. La messa in Rete di questi ultimi, ricordiamo, è strettamente legata al progresso tecnologico che ha reso più facile e veloce per il creatore non solo realizzare video, ma anche caricarli online. Oggi per far questo è sufficiente uno smartphone. Nonostante questa duplicità rappresentativa, va da sé che a dominare il mercato dei video porno sono tutt’ora le case di produzione cinematografiche cui afferiscono i e le pornostar. A fronte di questi mutamenti e di un porno sempre più accessibile ai più, negli ultimi anni è salita l’attenzione di scienziati e studiosi per indagare, scoprire e capire gli effetti che il porno ha su uomini e donne. Parliamo, come accennavamo in precedenza, degli effetti che produce sul corpo, sulla mente, sulla percezione della realtà e su come conduciamo le nostre relazioni e i rapporti con l’altro sesso e con i/le partner.
VRE: E gli effetti riscontrati come differiscono tra uomini e donne?
Edi C. e Costantino C.: Gli studi hanno evidenziato che la visione di contenuti pornografici ha effetti differenti su maschi e femmine in termini di quantità di attivazione di aree cerebrali: negli uomini le attivazioni sono massicce a livello di amigdala e ipotalamo, mentre nelle donne sono molto più deboli; ciò significa che per i primi la visione di tale materiale rappresenta un’attrattiva maggiore. Nel 2005, Sarah Kilgallon, biologa dell’Università Western Australia, ha scoperto che dopo la visione di un film hard – soprattutto se del genere “una donna con molti uomini” – la motilità degli spermatozoi aumenta, un effetto presumibilmente legato alla competizione spermatica. Un altro effetto legato all’esposizione alla pornografia è il rilascio, da parte del corpo, di dopamina in conseguenza agli stimoli ricevuti, che procura al cervello una sensazione artefatta di piacere. Di per sé questo non è negativo quando il consumo di porno è limitato. Tuttavia, con l’esposizione prolungata alla pornografia sopraggiunge un effetto di desensibilizzazione che porta il soggetto a cercare nuovi e, generalmente più espliciti, stimoli in grado di produrre nuovamente la sensazione di appagamento precedente. A questi livelli si crea una condizione di dipendenza, dovuto proprio all’uso eccessivo del sistema di ricompensa della dopamina, che può seriamente interferire con la vita sessuale dell’individuo, la quale pare non dare più lo stesso piacere di prima.
VRE: Possiamo dire che la pornografia è una dimensione fantastica del sesso, e che qui risiedono attrattiva e pericoli? Una sorta di via di fuga erotica, parallelamente a film di avventura, fantasy o fantascienza che soddisfano la voglia di evasione quotidiana.
Edi C. e Costantino C: Certo che sì. La forza e l’attrattiva della pornografia risiede proprio nel suo essere capace di contenere un “fuori dal quotidiano” che consente allo spettatore di riconoscersi da un lato, ma dall’altro di godere della presentificazione di un immaginario. Se gli atti sessuali sono veri, la pornografia è fuori dalla realtà sotto molti altri punti di vista, a partire dai corpi e dalle prestazioni dei performer, ai contesti in cui accadono, alla piattezza di alcuni stereotipi, all’assenza di preoccupazioni riguardo alle malattie sessualmente trasmissibili ed al primo e grande fondamento costitutivo del sesso: la generazione della vita.
In questo senso la pornografia crea un’iper-realtà non sempre distinguibile, come tale, dallo spettatore. A questo aggiungiamo che alcuni studi affermano con forza che chi osserva immagini di relazioni sessuali in un video, come accade durante la visione di un porno, non guarda con la consapevolezza di esserne estraneo, ma che le immagini vengono percepite come se ne fosse il/la protagonista. Ciò è stato edotto dalle osservazioni e misurazioni delle reazioni della mente e del corpo degli spettatori. Se uniamo quanto detto sopra possiamo mettere in luce alcuni tra i tanti e possibili rischi che l’esposizione al porno può avere. Sui più giovani, la rappresentazione alterata della sessualità umana può andare a creare un mondo di riferimento con cui confrontare sé stessi in termini sia fisici che prestazionali in grado di determinare sentimenti di forte inadeguatezza e patologizzazioni della sfera sessuale. Dall’altra l’eccitazione sessuale che ne deriva può portare molti degli spettatori a smettere di sentire eccitazione sessuale nelle situazioni reali e dunque a disinvestire su queste ultime.
VRE: A proposito di iper-realtà: cosa comporta per l’umanità riuscire a simulare di essere ovunque e chiunque, con gli altri, grazie alla Tech? Come e dove è possibile individuare dei limiti o, al contrario, evidenziare nell’uso della sex tech vantaggi?
Edi C. e Costantino C: La tecnologia che da anni abbiamo a disposizione ci permette oggi di vivere su due piani, non distinti, ma totalmente fusi, dell’esperienza umana: quello reale e quello online, dove quest’ultimo, ben lontano dal rappresentare qualcosa di poco tangibile ed etereo, rappresenta uno spazio di vita, di espressione e di relazione che si intreccia in maniera inscindibile con le nostre azioni più concrete e fisicamente situate. Quando parliamo con un amico tramite una app di messaggistica, quando pubblichiamo un contenuto multimediale su un social network, quando commentiamo un post, quando interagiamo con qualcuno tramite il web, in tutti questi comportamenti noi viviamo esperienze reali, mediate dal medium informatico. Tuttavia, nonostante essere connessi possa farci percepire di essere in relazione con gli altri, ciò che davvero accade è ben diverso. Tra relazione e connessione vi sono differenze profonde ed essenziali. Ci sono aspetti della relazione tali per cui essa non si esaurisce nella connessione, e tra i più importanti individuiamo: l’interesse reciproco di due o più soggetti vicendevolmente orientato; le identità pienamente visibili; il carico economico-personale elevato che comporta; tempi in un qualche modo coordinati; l’esistenza di una storia comune, un prima, un ora e un dopo, nella vita di chi la vive.
VRE: Questi aspetti non sono dunque realizzabili nella vita online?
Edi C. e Costantino C: Basti pensare che l’incontro virtuale con l’altro sul web avviene attraverso un avatar, una forma identitaria con cui possiamo mostrarci e svelarci per quello che siamo o, al contrario, con quelle caratteristiche che vorremmo possedere. Sia che decidiamo di svelare le parti più autentiche di noi, sia che presentiamo una versione “edulcorata”, è assodato che nel farlo ci sentiamo al sicuro, protetti da uno schermo e immersi in un mondo che, a differenza della realtà, non può ferire. Se qualcosa va storto è facile disinvestire l’impegno. Riconosciamo comunque alla tecnologia la possibilità data agli esseri umani di cercare e incontrare gli altri a noi affini, soprattutto con l’avvento dei nuovi social media, cambiando prima di tutto l’approccio relazionale, e solo dopo quello sessuale.
Ci è stata data dunque la possibilità di uscire dalle catene imposte dallo spazio e dal tempo per portarci, almeno idealmente, in una condizione in cui possiamo conoscere chiunque, sia esso d’ovunque e dunque una pluralizzazione delle possibilità di incontro e conoscenza.
VRE: Dunque se doveste individuare un vantaggio e un limite della Tech così intesa, quali individuereste per primi?
Edi C. e Costantino C: Le ricerche hanno messo in luce che i legami che si creano tra due persone attraverso il PC o lo smartphone sono sufficienti affinché queste si sentano legate, arrivando a provare forti sentimenti e affetto reciproci. In questo senso il vantaggio più grande che riconosciamo alla Tech è proprio dato dalla possibilità di entrare in connessione e poi in conoscenza ed infine in relazione con un numero immenso di possibili affini che senza l’utilizzo della tecnologia non sarebbe stato possibile conoscere e raggiungere. In tempi di Covid, peraltro, la tecnologia è stata di imprescindibile sostegno al mantenimento di qualsivoglia relazione.
Un limite invece lo rileviamo nel pericolo che l’idealizzazione di sé stessi e/o dell’altro possa portare alla ricerca e all’incontro tra due persone in cui o solo uno, o entrambi, hanno rinunciato all’autenticità, prerogativa essenziale per la costruzione e la realizzazione di una relazione affettiva e/o sessuale profonda e vera. In questo caso possono verificarsi due cose: l’incontro reale può avvenire ed essere fautore di estrema e grande delusione e sofferenza, oppure la paura di provare reali sentimenti e di esser delusi, può portare ad evitare l’incontro, prediligendo il mantenimento di una “fantasia condivisa” e finendo per non accorgersi che in realtà si è soli con le proprie proiezioni.
VRE: Per quanto riguarda la Sex Tech, perno di questa conversazione, a vostro avviso è emersa in Italia un nuovo strumento o tecnica che si è fatta largo nella sessualità odierna?
Edi C. e Costantino C: Negli ultimi anni vi è stato l’avvento dei teledildonics, ovvero giocattoli sessuali che permettono di intrattenere rapporti a distanza, che sia essa stessa di pochi metri, attraverso il bluetooth, o anche di migliaia di chilometri, sfruttando la Rete e le App, soprattutto tra i più giovani cui questo tipo di mercato esplicitamente si rivolge. Per far funzionare quelli di ultima generazione, studiati per l’utilizzo a grandi distanze, è necessario acquistarne uno e scaricare sullo smartphone proprio o del partner la relativa applicazione (o funzionare tra utenti sconosciuti, previo consenso). Essendo veri e propri sex toys assolvono alla loro funzione primaria, dare piacere a chi li indossa e rendere il sesso più stimolante sia che siano azionati in presenza che a distanza.
Ovviamente quando sono utilizzati in condizioni di non presenza dei due partner è necessario concordare l’orario di utilizzo o, perlomeno, la fascia oraria in cui attivare il teledildonics. Questa tipologia di Sex Tech ben si presta dunque a mantenere vive le relazioni tra coppie che si trovano spesso separate da chilometri per periodi di tempo variabile, riuscendo a far vivere momenti di sessualità condivisa e compartecipata come se il partner fosse proprio accanto a noi. Ma parimenti potrebbe rivelarsi, come già lo sta facendo quando il controllo del device è in mano all’utente che acquista un servizio pornografico (camming) o un prodotto pornografico (video porno appositamente realizzato per interfacciarsi con questi device), un modo sempre più diffuso per vivere con maggiore “senso di realtà” relazioni che esistono solo in forma digitale.
Ulteriore vantaggio derivante dall’utilizzo di questi sistemi, così come di quelli della realtà virtuale di prossima generazione, potrebbe essere quello di proteggere le persone dalle malattie sessualmente trasmissibili, rinunciando però del tutto alla naturalezza del contatto umano. Va da sé che le sex tech ampliano il nostro mondo esperienziale in relazione a come viviamo la sessualità e a come la condividiamo con l’Altro, ma in esse non esauriscono il bisogno umano di contatto e relazione fisica, lo sviluppo e l’utilizzo che se ne farà nel futuro dipenderà da ciascuno di noi, da come decideremo di farli entrare o escluderli dalla nostra vita e da come, quando e quanto li utilizzeremo.
VRE: Con la Robotica e l’intelligenza artificiale legata alla sessualità, è possibile individuare nella tecnologia, o addirittura nei robot, dei partner sessuali in tutto e per tutto, anche dal punto di vista sentimentale. Si potrebbe pensare che sia preferibile l’utilizzo di macchine sostitutive allo sfruttamento del turismo sessuale e della prostituzione. La sex tech potrebbe contribuire positivamente in tal senso? Come individuare i confini morali e l’attribuzione di dignità nella turbolenta prospettiva dell’intelligenza artificiale?
Edi C. e Costantino C: Gli esperti già affermano che in un prossimo futuro i robot umanoidi non solo si prenderanno cura di noi, offrendo assistenza nella realizzazione delle faccende domestiche e per quanto concerne la cura e la salute della persona, ma potremmo averne di specificatamente progettati per essere i nostri compagni, sentimentali e sessuali. Qualcuno è già andato oltre ipotizzando che se si analizzano attentamente alcuni aspetti delle relazioni umane, tra i quali le ragioni per cui ci innamoriamo, le motivazioni alla base dell’attaccamento emotivo agli animali domestici reali, nonché a quelli virtuali, è possibile che questi stessi processi di attaccamento possano estendersi alla relazione uomo-robot. Qualcuno parla di Robotfilia, proprio ad indicare questo tipo di amore.
Facendo una riflessione sui cambiamenti che da sempre interessano la sessualità umana si potrebbe ipotizzare che nel prossimo futuro potrebbe essere considerato “normale” avere un coniuge robot. A onor del vero, nel 2017, Zheng Jiajia, ingegnere cinese di 31 anni, ha sposato la sua Yingying, la sposa-robot che ha costruito da solo, con una cerimonia, non riconosciuta dalle autorità, svolta in stile tradizionale e alla quale hanno partecipato famiglia e amici. Jiajia ha preferito costruire la donna ideale da sposare anziché aspettare di trovarne una in carne ed ossa, date le difficoltà proprie che i ragazzi incontrano in questo Paese, dove la Politica del figlio unico ha promosso un grosso squilibrio in termini di rapporti numerici donna-uomo, favorendo questi ultimi.
VRE: E quali potenzialità hanno questi robot di ultima generazione?
Edi C. e Costantino C: quello riportato come esempio è un robot le cui funzionalità sono ancora molto limitate, ma alcune aziende sono già al lavoro da alcuni anni sulla costruzione di robot dotati di Intelligenza artificiale tanto da poter già ipotizzare la nascita di una vera e propria nuova identità sessuale nel futuro, che gli esperti chiamano “digisexual”. Sebbene ancora molto lontani dalla realizzazione di un androide con piene caratteristiche responsive, la Abyss Creation ha presentato, nel 2020, Harmony: il primo sex robot dotato di intelligenza artificiale. Si tratta di un Robot dall’aspetto estremamente femminile e sexy, personalizzabile in alcune caratteristiche, ad esempio la voce, e capace di imparare attraverso le interazioni con l’umano di riferimento. Il costo si aggira intorno ai 15.000 dollari, ma ne esiste una versione anche più economica.
VRE: Possiamo dunque definirla l’inizio di una nuova era?
Edi C. e Costantino C: Analizzando il futuro impatto che potrà avere il sesso con robot sulla società, ci apriamo alla discussione di un tema alquanto spinoso, ma certamente sociologicamente molto interessante: la prostituzione robotica, ovvero quando il o la sex worker è un robot. Con alta probabilità, tra qualche anno potranno essere immessi sul mercato più modelli di robot sessualmente funzionanti con le caratteristiche proprie dell’uomo e della donna, ma i prezzi saranno inevitabilmente ancora non accessibili ai più e, per tale motivo, non riteniamo che ciò sia sufficiente per disincentivare il ricorso alla prostituzione tradizionale o a quella online, cui assistiamo oggi.
Si potrebbe anche ipotizzare lo sviluppo di un mercato basato sul noleggio di tali artefatti, certamente, ma anche in questo caso riteniamo che saranno i meno ad accedervi e maggiormente dominati da una curiosità esotica verso l’oggetto piuttosto che da un vero e proprio desiderio di sostituzione. Che i sex robot possano rappresentare inedite e vincenti strategie di affrontamento e risoluzione di importanti questioni quali il contrasto alle malattie sessualmente trasmissibili, il traffico e lo sfruttamento di esseri umani, ci appare oggi un pensiero decisamente prematuro stando al progresso tecnologico raggiunto fino ad oggi e ai costi elevati che hanno.
Parimenti, individuare oggi i confini morali e l’attribuzione di dignità all’intelligenza artificiale legata a questa tipologia di macchine ci risulta inaccessibile, in quanto lo sviluppo tecnologico dell’intelligenza artificiale ci appare oggi legato più alle funzioni per le quali la macchina è stata costruita che all’elaborazione di una vera e propria tecnologia capace di creare macchine auto apprendenti sugli aspetti della vita, del mondo e del cosmo a 360°. Ciò che rileviamo oggi è che, le aziende impegnate nella realizzazione di Sex Doll robotiche, siano esse di fattezza maschile o femminile, siano più orientate a costruire macchine intelligenti che di fatto puntano a soddisfare in tutto e per tutto le richieste e i desideri sessuali dell’utente, liberandolo dalla necessità, dalla fatica e dall’impegno di investire nella relazione con un essere umano.
E guardando ai prodotti che propongono sul mercato non possiamo che amaramente sottolineare il perpetuarsi di meccanismi di oggettificazione dell’altro, con caratteristiche volutamente esagerate e proprie del mondo della pornografia: uomini e donne che vivono solo per il piacere dell’altro, sempre disponibili e accondiscendenti ad ogni richiesta, capaci di assumere posizioni atletiche difficilmente replicabili e performance da endurance. Tutte cose anni luce distanti da quanto invece accade nella relazione sessuale autentica tra due esseri umani.
3. SEX, TECH & NEUROSCIENZE
VRE: La VR applicata alle neuroscienze sembra quasi volersi spingersi al limite tra realtà e fantascienza. Cosa vuol dire fare ricerca in queste singolari e per lo più inesplorate modalità e quali domande vi siete posti, a monte, per dare vita a questa ricerca?
G. Tieri e M. Fusaro: Cosa succede al nostro corpo e al nostro cervello quando veniamo accarezzati da una persona estranea? Queste risposte cambiano se il tocco proviene da qualcuno appartenente al sesso da cui siamo attratti? Le zone intime del nostro corpo sono solo un costrutto sociale o fanno parte di una vera e propria mappa corporea nel nostro cervello?
Rispondere a queste domande è da tempo una grande sfida per le neuroscienze ma oggi, grazie ai recenti sviluppi delle tecnologie e dell’informatica, i ricercatori possono avvalersi della Realtà Virtuale per creare nuovi approcci scientifici in grado di fare luce su questi interrogativi. La Realtà Virtuale ha iniziato a ricoprire un ruolo importante come strumento di indagine nei laboratori di ricerca di tutto il mondo grazie ai suoi potenti effetti sulla consapevolezza umana. Infatti, quando indossiamo un visore di realtà virtuale possiamo sentirci immersi in un altro luogo o avere l’illusione di possedere un corpo virtuale e di sentire come propri i suoi movimenti e le sue sensazioni, come ad esempio avere l’illusione di essere toccati o accarezzati da una persona virtuale e sentire queste sensazioni come se fossero reali.
Questa è la strada che stanno percorrendo i ricercatori del Laboratorio di Neuroscienze Sociali e Cognitive dell’Università La Sapienza e della Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma, che da diversi anni usano la Realtà Virtuale come nuovo strumento per indagare il funzionamento del nostro cervello.
VRE: È dunque possibile ottenere risposte reali a stimoli virtuali? In che modo?
G. Tieri e M. Fusaro: Da circa 11 anni, presso i laboratori AgliotiLAB della Fondazione Santa Lucia IRCCS e dell’Università “La Sapienza” di Roma, stiamo conducendo diversi studi in cui usiamo la realtà virtuale per comprendere meglio il delicato rapporto mente-corpo. Questo strumento, infatti, ci permette di simulare a computer un’esperienza di vita reale, di averne il totale controllo sperimentale e, quindi, di studiare cosa succede nel nostro corpo e nel nostro cervello.
Nel corso degli anni abbiamo avuto modo di capire che gli effetti della realtà virtuale sulla nostra percezione sono molto potenti e ci portano a reagire agli stimoli virtuali come se questi fossero reali.
VRE: Quindi è possibile affermare che la simulazione sia diventata addirittura imprescindibile per indagare certe dimensioni?
G. Tieri e M. Fusaro: Esattamente. In molti casi, questa peculiarità ci permette anche di ricreare delle situazioni di vita che possono essere difficili o impossibili da studiare nella realtà, come ad esempio far muovere le gambe ad una persona in sedia a rotelle o di riavere un arto precedentemente amputato, ma anche di abbattere le barriere etiche che si incontrano quando vogliamo studiare il contatto fisico e le reazioni a carezze e tocchi da parte di un estraneo sul nostro corpo.
Risultati recenti ci suggeriscono che, attraverso la realtà virtuale, possiamo avere l’illusione di possedere un corpo virtuale, e di percepire come nostri i suoi movimenti e le sue sensazioni. In diversi studi abbiamo notato che queste sensazioni illusorie si estendono anche ai tocchi virtuali dove, in assenza di reali stimoli tattili, possiamo avere la sensazione di essere toccati o accarezzati da un’altra persona virtuale.
VRE. Dunque il tocco virtuale più il tocco non virtuale?
G. Tieri e M. Fusaro: Sì, il tocco rappresenta un importante mezzo di comunicazione tra le persone. Lo stesso gesto può indurre differenti sensazioni a seconda della persona e della zona del corpo che viene toccata, anche nella realtà virtuale.
VRE: Qual è l’obiettivo di questo studio? Quali sono stati i risultati di questa ricerca?
G. Tieri e M. Fusaro: Nel nostro primo studio della serie, recentemente pubblicato sulla rivista Nature Scientific Reports e condotto assieme al Dr. Matteo Lisi e Prof. Salvatore M. Aglioti dell’IRCCS Fondazione Santa Lucia e Istituto Italiano di Tecnologia di Roma, abbiamo sviluppato e testato un nuovo approccio sperimentale con la realtà virtuale, in cui il corpo degli osservatori veniva interamente sostituito da un corpo virtuale che aveva il loro stesso sesso e appariva nella stessa posizione di quello reale, come si può vedere dalla figura in alto. Si tratta del setup sperimentale utilizzato nello studio in cui il partecipante indossa il visore di realtà virtuale e gli elettrodi per la registrazione dell’attività fisiologica.
Durante l’esperimento, i partecipanti (uomini e donne, eterosessuali e omosessuali) dopo aver osservato per qualche minuto il loro corpo virtuale ricevevano una carezza da parte di un avatar uomo o donna, in diverse zone del corpo, comprese le più intime, come quella genitale. Da notare che nessun tocco veniva invece erogato sul corpo reale.
Dopo ogni carezza, il partecipante doveva valutare se il tocco osservato fosse stato percepito piacevole o spiacevole, quanto fosse stato erogeno e quanto opportuno. In aggiunta alle sensazioni soggettive, veniva registrata la reattività fisiologica alla carezza virtuale, indice implicito e non controllabile di quanto il corpo sta reagendo a quello che sta vivendo.
I partecipanti riportavano l’illusione di vivere il corpo virtuale come se fosse il proprio e che il tocco virtuale stesse evocando sensazioni simili a quelle suscitate da stimolazioni tattili reali. In particolare, tutti i partecipanti riferivano di sentire come erogeno il tocco virtuale sulle zone intime, rispetto ai tocchi ricevuti sulle altre aree del corpo e che questa eterogeneità veniva modulata in base al sesso dell’avatar che stava toccando: partecipanti eterosessuali trovavano più erogeno il tocco dell’avatar di sesso opposto, mentre i partecipanti gay e lesbiche quello dell’avatar dello stesso sesso.
Inoltre, gli uomini eterosessuali consideravano i tocchi come più appropriati quando provenivano dall’avatar donna, mentre per le donne eterosessuali non vi era differenza se provenienti da donna o uomo. In modo speculare, gli uomini gay consideravano ugualmente appropriato il tocco di uomo e di donna, mentre per le donne lesbiche il tocco nelle zone intime era più appropriato quando proveniente da donna (mentre nelle aree più sociali e neutre non vi era differenza se a toccare era un uomo o una donna). I risultati della reattività fisiologica (nello specifico, la conduttanza cutanea), indicavano che i tocchi sul corpo virtuale inducevano sensazioni diverse: il tocco proveniente dall’avatar donna induceva un innalzamento della reattività quando erogato sulle zone intime, stando ad indicare un innalzamento del livello di attivazione fisiologica.
VRE: È davvero interessante notare come le sensazioni emerse nell’esperimento rispecchino in parte gli studi di genere socio e psico-antropologici e di fluidità sessuale, i quali vedono donne eterosessuali e uomini omosessuali come più aperti all’erotismo bisessuale. Tornando a noi, questi risultati a quali conclusioni e vi hanno portato?
G. Tieri e M. Fusaro: Questi risultati ci permettono di comprendere come reagiamo quando veniamo toccati in diverse parti del corpo da un estraneo e come le nostre reazioni differiscano in base al sesso del “toccatore” e al nostro orientamento sessuale, creando delle vere e proprie mappe rispetto alla appropriatezza, eterogeneità e piacevolezza dei tocchi. Diversamente dai precedenti studi che si sono focalizzati sul ruolo del sesso nelle risposte ai tocchi, abbiamo voluto sottolineare come l’orientamento sessuale svolga un ruolo altrettanto rilevante e che dovrebbe essere sempre tenuto in considerazione.
Mediante la realtà virtuale è stato possibile indurre nei partecipanti sensazioni vicarie molto simili a quelle che vengono provate nella vita reale quando abbiamo a che fare con il tocco.
VRE: Questa modalità di connessione umana potrebbe risultare conveniente anche in quei casi di rifiuto fisiologico di contatto?
G. Tieri e M. Fusaro: E’ uno degli ambiti di applicazione possibili. Il paradigma che abbiamo sviluppato ci fornirà la possibilità di indagare la sfera intima anche in persone che, per differenti motivi, preferiscono non essere toccate. Basti pensare, per esempio, alle persone con disturbo dello spettro dell’autismo o a persone che hanno subito violenze fisiche o sessuali per cui molto spesso il contatto fisico nelle relazioni interpersonali risulta problematico. Lo studio sviluppato potrebbe essere una via da percorrere per desensibilizzare le razioni al contatto fisico, rendendo quindi il tocco reale più accettabile.