Antonio Cerasa, autore- psicologo e ricercatore del CNR nell’ambito delle neuroscienze – è stato uno dei primi al mondo a studiare l’expert brain, prima nei sommelier e poi negli chef. Che caratteristiche presenta il cervello di individui, come questi, che eccellono in una particolare abilità grazie ad un estenuante allenamento? La scoperta è che esso si modifica in specifiche aree e si rimodella. Nel suo ultimo libro racconta in termini discorsivi e con grande chiarezza i risultati del suo lavoro e quello dei colleghi che si sono occupati di altri expert brain: di musicisti, cestisti, scalatori, matematici, scacchisti, profumieri … Questi studi disegnano una nuova idea di intelligenza: non un costrutto globale e statico dipendente in gran parte dalla genetica, ma un dinamico elenco di competenze allenate grazie alla pratica volontaria. Una nuova visione arricchita anche da altri ambiti indagati nel libro, complementari all’expert brain: il recupero di funzioni cerebrali dopo una lesione, l’effetto del dolore sul cervello, i danni del superallenamento, la creatività. Tutti temi interessantissimi per chi, come noi, è interessato a capire come si possa sviluppare quell’intelligenza collaborativa indispensabile per vincere la sfida della Digital Transformation nelle organizzazioni pubbliche e private. Abbiamo perciò rivolto alcune domande a Cerasa per saperne di più.
Come nasce il tuo libro e qual è la metodologia che hai seguito nel scriverlo? A chi si rivolge in particolare?
Il libro nasce per puro caso. Erano gli appunti presi durante la stesura dell’articolo sulle basi neurali dell’abilità negli chef . Quell’articolo ha rappresentato uno dei più grandi fallimenti (almeno all’inizio) della mia carriera da neuroscienziato perché molto riviste scientifiche internazionali rifiutavano l’idea che “un cuoco” potesse essere incluso nella prestigiosa categoria degli Expert Brains insieme a Matematici, Musicisti, Scacchisti, Profumieri, Architetti etc… Come se il prodotto della propria professione (i suoni per i musicisti, le formule per i matematici o le mosse su una scacchiera) potessero essere categorizzate in base ad una valutazione di importanza. Quello che cercavo di dire è che NON è più importante sapere suonare bene rispetto a sapere dirigere una cucina e preparare piatti. NON è l’atto in sé una prova di super-cervello e di super-expertise. La prova che alcune zone del cervello di questi esperti sono più grandi, non deriva da ciò che si produce, ma dall’estenuante allenamento nel tempo che li porta a migliorarsi giorno dopo giorno.
Questa è la chiave dell’Expert Brain. Ma per la letteratura neuroscientifica mondiale questo era un’argomentazione non consistente.
Per questo motivo ho scritto il libro: per portare in auge un argomento che interessa a molti.
Talmente interessante che sto per avviare nella famosa clinica di riabilitazione Istituto Sant’Anna di Crotone un protocollo di riabilitazione neuromotoria per persone con Ictus basato proprio sull’acquisizione delle abilità psicomotorie che si ottengono dal lavoro in cucina. A questo protocollo di neuroriabilitazione motoria (per la prima volta al mondo) stanno partecipando un Neurologo, un Fisiatria, un BioIngegnere, uno Psicologo e uno Chef Stellato…..
Puoi spiegarci chi è un expert brain in termini generali e poi farci qualche esempio?
Chiunque può essere un Expert Brain, anche un paziente che ha avuto un ictus e deve riabilitarsi per riacquistare la capacità di parlare o di muovere un braccio. L’allenamento prolungato nel tempo che porta all’acquisizione di una nuova abilità (qualsiasi essa sia) è la prima base per formare un Expert Brains. Ma se vogliamo che questa abilità si traduca in un nuovo “compartimento cerebrale” cioè in una zona “non prevista” dal codice genetico in cui un insieme di neuroni era pensato per fare una cosa, ma ora deve farne un’altra, per arrivare, quindi, a “deformare” la natura stessa del nostro cervello, dobbiamo eccellere. Cioè dobbiamo arrivare ad una tale bravura nell’esecuzione di quell’abilità che pochi altri posso raggiungere. Quest’affermazione deriva dal fatto che la presenza di aree più grandi del cervello rilevate nei vari expert brains è sempre associata con le performance. Gli anni di studi, i trofei vinti, le persone che dirigo nella mia brigata, l’età precoce di inizio degli studi, le ore di allenamento settimanali. Tutte variabili riassumibili nell’assioma: “Più mi alleno più ottengo risultati e più il mio cervello e la mia abilità crescono”
Una recente ricerca di CBS Insights ha previsto che saranno circa dieci milioni i posti di lavoro persi entro dieci anni a causa dell’Intelligenza Artificiale. Al primo posto troviamo i cuochi, che sono invece uno dei casi più significativi di expert brain. Come mai secondo te?
Mi occupo da anni di Intelligenza Artificiale e delle sue applicazioni nel mondo della clinica medica. Collaborando con i più importanti centri al mondo di neuroscienze (tra 10 giorni uscirà un comunicato stampa del CNR proprio relativo a questo nostro expertise) l’opinione comune che ancora non riusciamo a far trapelare nella comunicazione di massa è che la AI sarà la più grande rivoluzione culturale positiva dell’essere umano, un po’ quello che è stato il Rinascimento. La AI sostituirà prevalentemente solo i lavoro ripetitivi che hanno poca incidenza sulla produttività di una nazione. La AI costringerà le istituzioni di formazione (centri di ricerca, scuole e università) a formare persone pensati (e non meri esecutori) che sappiano utilizzare le opportunità offerte dall’AI per creare impresa, business, servizi e collaborazioni. Nel libro comincio il capitolo sugli expert brain parlando proprio di questo, cioè del fatto che se c’è una cosa che non crea nuova vita neuronale nel cervello è proprio la ripetizione di atti semplici e sempre uguali. Questo comportamento contrasta con la natura espansiva dell’essere umano che è programmato geneticamente per acquisire sempre nuove abilità per contrastare le richieste dell’ambiente.
I tuoi esempi di expert brain sono quasi tutti relativi a professioni che esaltano le caratteristiche individuali (il grande chef, il grande musicista, il grande giocatore di calcio…). Tuttavia l’affermazione di Internet ma ancor più i processi di Digital Transformaion in atto nella società mettono in evidenza l’importanza di sviluppare quella che io ho definito un’intelligenza collaborativa ( basata su empatia anche veicolata dai device elettronici, capacità di scambiare con gli altri informazioni e conoscenze, lavoro di gruppo, eccetera). Anche tu del resto scrivi che l’epoca dei grandi geni solitari è ormai volta al termine. Che ruolo ha dunque l’intelligenza collaborativa nella realizzazione di performance superiori alla media?
Hai centrato perfettamente le qualità che dovrà avere il lavoro del futuro. Studiare il cervello dei super-esperti serve per capire i confini dove può arrivare una singola abilità umana. Quante informazioni riusciamo a mettere nel nostro hard disk interno? Quante operazioni in multi-tasking possiamo arrivare a fare contemporaneamente? Quante lingue posso parlare? Quante posso saltare in alto? Riuscirò mai a superare il record del mondo di Usain Bolt? Ma cosa contraddistingue il cervello di una persona capace di esaltare il lavoro di gruppo, di guidare un gruppo sociale, il cervello del leader in poche parole, beh questo è ancora sconosciuto alle neuroscienze. Anche perché mentre per tutte le altre abilità singole (suonare strumento, cucinare, fare formule matematiche, etc..) esistono parametri oggetti per misurare le performance, come possiamo misurare la bravura di un leader rispetto ad un altro? In cosa si contraddistingue un leader più bravo di un altro? So che è orribile rispondere ad una domanda con un’altra domanda, ma questa non è una domanda è una riflessione che io e te dobbiamo fare e che porta ad una semplice strada: chiediamo alla gente cosa caratterizza una persona con intelligenza collaborativa rispetto ad un’altra. Facciamo un’indagine e una volta che avremmo finito cerchiamo di estrarre i fattori più ripetuti e comuni per arrivare alla definizione teorica di una nuova forma di intelligenza, ancora sconosciuta, ancora non studiata.
Un concetto collegato a quello di intelligenza collaborativa è quello di co-creazione di valore. Dal tuo punto di vista si può allenare il cervello a pratiche di collaborazione e co-creazione di valore?
Assolutamente si, ma non dovrebbe essere compito di una singola azienda, ma dell’Università o anche della Scuola Pubblica capire che il vecchio modello di imprenditore solitario è ormai medioevo, ma che la singola performance non deve essere fine a se stessa ma condivisa tra tutti quelli che partecipano a realizzarla. Per fare un esempio concreto di queste belle parole si potrebbe osservare quello che accade nelle cucine dei grandi head chef.
La preparazione di un piatto (prodotto) si basa su: a) la preparazione mentale del Head Chef che ha pensato al piatto e a come realizzarlo ; b) la condivisione di questa conoscenza con la sua brigata; c) La concordanza emotiva nella realizzazione del prodotto (se il piatto non piace a tutti i cuochi come pensiamo che possa piacere ai clienti?); d) la divisione CONDIVISA dei compiti da portare a termine per realizzare il piatto; e) la realizzazione, eseguita grazie al continuo supporto esterno del head chef; f) la fine del prodotto, in cui si chiude il ristorante e ogni sera si festeggia in privato la riuscita di un’altra soddisfacente giornata lavorativa.
Questa è cultura condivisa del lavoro. Questo è l’ effetto Hawthorne, scoperto negli anni ’30 dallo Psicologo Americano Elton Mayo: la possibilità di essere osservato, supportato da un agente super-partes durante il mio quotidiano turno di lavoro aumenta la mia produttività.
Credo che per il pubblico che legge il mio blog (Amministratori Delegati, manager, Direttori HR) sia particolarmente importante il capitolo dedicato alla creatività. Nella prospettiva dello Humanistic Management, la creatività è la capacità di realizzare qualcosa di nuovo, di sorprendente, di mai visto prima, destinato ad incidere, in misura maggiore o minore, su quanto avverrà in futuro. Essa nasce dalla capacità di essere metadisciplinari, ovvero di sapere fare riferimento, direttamente o indirettamente, a competenze specialistiche diverse da quelle che si possiedono pienamente. Per questo, la creatività richiede un ambiente sociale e culturale che possa alimentare le sue varie forme di espressione ponendo in connessione fra loro i depositari di saperi diversi. Come ha mostrato Richard Florida, dall’Atene classica a Roma, dalla Firenze dei Medici alla Londra elisabettiana, dal Greenwich Village alla Bay Area di San Francisco, la creatività ha sempre gravitato su luoghi in grado di offrire stimoli e interscambi culturali. Nella postfazione a Effetto Medici (ETAS 2006), discuto con l’autore Frans Johansson la tesi secondo cui, come la Firenze dei Medici fu il fulcro del Rinascimento perché consentì a scultori, filosofi, poeti di incontrarsi ed entrare in relazione, così l’azienda contemporanea può diventare un centro creativo se riesce a pensarsi come una zona in cui si realizzano tutte le ‘intersezioni’ possibili fra culture anche molto lontane tra loro: contaminandosi, ibridandosi, abbattendo le barriere interculturali o interdisciplinari, combinando in un ambiente conviviale idee apparentemente senza nulla in comune e sviluppando modi diversi di vedere le ‘stesse’ cose. Tu che ne pensi?
Penso che hai perfettamente ragione in teoria, ma in pratica ciò che le recenti ricerche di neuroscienze cognitive applicate alla psicologia del lavoro dimostrano è che una delle più grandi forze motrici che muove le persone verso la produttività, il miglioramento della propria professione, e la ricerca della collaborazione e creatività è l’Organizational Commitment. Il sentirsi parte dell’azienda, il condividere il percorso e il processo di produzione, il sentimento di appartenenza che ho verso l’azienda (c’è chi arriva ad andare in giro con la maglietta dell’azienda). Sono tutte caratteristiche che amplificano la motivazione al lavoro e rendono il lavoratore un futuro Expert Brains.
Per dare un metro di valutazione al lettore di cosa sia l’Organizational commitment invito tutti ad andare almeno una volta alla Congresso annuale della Federazione Italiana Cuochi. Energia allo stato puro, non sembra la riunione di lavoratori di una categoria, sembra il pellegrinaggio di fedeli che si riuniscono in un tempio per dimostrare a tutti il loro amore cieco per la divisa che indossano. Io ho frequentato tante forme di associazione di lavoratori. Vi posso assicurare che alcune delle caratteristiche che saltano sempre agli occhi sono: la noia e la suddivisioni degli ospiti in tanti microgruppi di professionisti che si uniscono allo scopo di esaltare le proprie abilità nei confronti di altri. I cuochi della FIC NO !! Non senti nessuno che si lamenta, nessuno che parla male di un altro, nessuno che esalta se stesso in contrasto di un altro. Senti solo la potenza e la forza dell’intelligenza collaborativa, la stessa che si percepisce nei raduni religiosi. La fede incontrastata per il proprio lavoro produce affiliazione e passione…. In altre parole Expert Brains!