Startup. Sogna, credici, realizza
Pur non avendo “stampate in copertina, a grandi caratteri che ispirano fiducia, le parole NON FATEVI PRENDERE DAL PANICO” (che insieme al costo modico sono secondo Douglas Adams la ragione principale del successo universale della Guida galattica per autostoppisti), appena uscito e già in ristampa. Un manuale che spiega passo passo come si fa una startup. Ma Startup. Sogna, credici, realizza è anche un libro di grande ispirazione, ricco di storie fra l’Italia e la Silicon Valley, scritto da quattro giornalisti (Eleonora Chioda, Giancarlo Donadio, Lucia Ingrosso e Tiziana Tripepi) che hanno messo insieme centinaia di interviste a startupper, esperti e imprenditori.
Tutti contenuti inediti anche se in qualche modo legati al lavoro e alle esperienze maturate all’interno della redazione Millionaire. Un filo rosso lega il libro e la rivista: la mission di dare al lettore uno strumento utile per trasformare la propria vita in un’avventura entusiasmante, ricca di successi, soddisfazioni e, perché no, guadagni.
Infine nel libro trova spazio anche un dizionario delle startup, che illustra il significato dei termini più usati, da execution, seed, tracion, unicorno e centinaia di altri termini. E anche una ricca appendice dedicata alla legislazione specifica delle startup. A rendere i contenuti ancora più chiari e facilmente consultabili, ci sono infografiche e schemi.
“Questo volume, scrive nella prefazione Pierantonio Macola, presidente Smau, pensato per chi vuole avviare una startup e per chi è interessato a investire o ad “adottarne” una, si presenta come un’ottima guida, utile e pratica, in grado di accompagnare le imprese innovative in tutte le loro fasi evolutive: dall’idea ai primi passi sul mercato, dalla ricerca di finanziamenti ai percorsi di incubazione e accelerazione, fino all’internazionalizzazione e all’open innovation, ovvero all’incontro e al matrimonio con le imprese esistenti.
Questo libro è anche un contenitore di belle storie e casi concreti a cui fare riferimento per una reale e consapevole visione dello stato dell’arte. Racconta storie di successi ma anche di errori. Errori, che nella nuova cultura basata sulla sperimentazione, rappresentano un’opportunità di crescita e di consapevolezza, oltre che un importante confronto con il “nuovo” concetto di fallimento.”
Come nasce un’idea: fallire per ricominciare
Partiamo dunque proprio dal concetto di fallimento, nella nostra chiacchierata con una delle autrici del libro, Eleonora Chioda. Al fallimento infatti il libro “Startup. Sogna, credici, realizza” dedica il decimo capitolo ma potrebbe anche essere il primo, perché quello che porta alla creazione di una startup è un processo circolare. Fallire e ricominciare. Ripartendo da una nuova idea.
M.M.: «Se non fallisci, non stai innovando abbastanza» ha dichiarato Elon Musk, fondatore di PayPal, Tesla, Space X. C’è un dato significativo che gira in Silicon Valley: prima del successo finale, gli imprenditori registrano 3.8 fallimenti. Chi fallisce, ci riprova subito. Impara dagli errori e riparte con una nuova startup più forte di prima. In Silicon Valley la cultura del fallimento trionfa. Come mai?
E.C.: Perché spesso è la premessa, o la prova generale, di un grande successo. Ne sa qualcosa Stewart Butterfield, 42enne, startupper filosofo che ama definirsi “fallito di successo”. La sua startup Slack, piattaforma che facilita la comunicazione sul lavoro e riduce le e-mail, è stata eletta la migliore App da Inc.com e ha 1,7 milioni di clienti, tra cui Amazon ed eBay. Eppure Slack arrivava da un fallimento costato 17 milioni di dollari (il gioco fantasy Glitch).
E sempre da un altro suo fallimento è nato Flickr, social per immagini poi venduto a Yahoo! per 25 milioni di dollari. Hanno alle spalle fallimenti dei giganti come Jeff Bezos (Amazon), Travis Kalanick (Uber) e Jack Ma (Alibaba).
Ce l’ha raccontato Paolo Privitera, 38 anni, veneto di Mestre, dal 2002 in California, dove ha fondato imprese straordinarie come Pick1.com ed Evensi.com, il più grande sito di eventi al mondo. «Durante i miei 14 anni in Usa e 10 in Silicon Valley, ho avuto modo di conoscere oltre 18mila persone più o meno interessanti. Ho conosciuto da vicino tante aziende di successo, come Airbnb. Sono amico di Joe Gebbia, co-founder, sin dalla sua precedente startup fallita Ecolect.
Ci siamo conosciuti nel 2007, mi aveva invitato nel team della sua nuova azienda che poi sarebbe divenuta Airbnb, oggi valutata 25 miliardi dollari eppure all’inizio ha preso 611 “no” dagli investors. Ho visto da vicino molte startup fallire. Tra le più note, Zirtual (assistenti virtuali). La fondatrice, Maren Kate Donovan, è arrivata raccogliere più di 4 milioni di dollari, aveva decine di dipendenti. Poi, in una notte, ha fatto bancarotta perché non è riuscita a chiudere il round di finanziamento successivo necessario per supportare la crescita esponenziale in corso. Pochi giorni dopo ha scritto un post sul perché del fallimento, che è diventato una lezione per tutti. Ora lei è chiamata come speaker in conferenze per fare lezione ad altre aziende» spiega Privitera. «Il punto è questo: il fallimento è indispensabile per formare l’esperienza dell’imprenditore, la “caduta” è necessaria, perché è una lezione di vita e di insegnamento professionale. Ti aiuta a mettere le cose in prospettiva, a toccarle con mano e a renderti veramente conto».
Di cosa parliamo quando parliamo di startup
M.M: Mi ha colpito anche questa frase di Paul Graham, fondatore di Y Combinator[1] :«Qual è il miglior modo per farsi venire un’idea per una startup? Non cercare di farsi venire un’idea per una startup».
E.C.: Meglio, piuttosto, cercare di risolvere un problema, soprattutto se è un problema che noi stessi abbiamo, come è stato per i founder di Airbnb o per quello di BlaBlaCar. Perché è così importante lavorare intorno a un nostro problema? Perché ci garantisce che il problema esiste davvero, e l’aspirante startupper deve lavorare solo su problemi che esistono: l’errore più comune di una startup è cercare di risolvere dei problemi che nessuno ha.
M.M.: Tu parli di “aspirante startupper”: ma cosa è, in poche parole, una startup?
E.C.: Diamo una definizione molto articolata nelle pagine iniziali del libro. In sintesi, la startup è un’impresa con un DNA completamente diverso dalle imprese tradizionali. Per capire la loro portata rivoluzionaria, nel libro ripercorriamo le definizioni di alcuni pionieri, imprenditori e venture capitalist, che hanno avuto il merito di fissare alcuni punti chiave di questo fenomeno.
Ad esempio, Steve Blank, serial entrepreneur e docente alla New York University, nel 2012 ha dato una prima definizione di startup: “Una startup è un’organizzazione temporanea in cerca di un business model ripetibile, scalabile e profittevole”.
Mentre le aziende tradizionali “mettono in pratica” i business plan, le startup “cercano” un business model con tre caratteristiche: 1) ripetibile; 2) scalabile; 3) profittevole. E questa ricerca richiede regole, piani d’azione, competenze e strumenti completamente diversi da quelli di un’impresa tradizionale”.
Dall’idea al primo investimento
M.M: Trovata l’idea, il primo obiettivo dello startupper è capire se è valida, può avere un mercato, può fare soldi. In pratica, se può trasformarsi in un’impresa.
E.C.: Per raggiungerlo, bisogna compiere 4 passi: 1. Creare il modello di business 2. Formare il team 3. Costruire un prodotto minimo, solo con caratteristiche base (il “minimum viable product”) 4. Verificare il mercato.
M.M.: Che cos’è il modello di business e come si crea?
E.C.: Un modello di business descrive la logica in base alla quale un’organizzazione crea, distribuisce e cattura valore. Per costruirlo, gli schemi in circolazione sono tanti, ma quello più utilizzato è in assoluto il Business Model Canvas. È composto da nove blocchi, che rappresentano le nove componenti necessarie a trasformare i problemi dei clienti in un’impresa profittevole. Sul libro è riportato il business model canvas in tutti i dettagli.
Dove trovo i soldi? La via delle startup
M.M.: Quando è tutto pronto ecco che si presenta la questione fondamentale: dove trovare i soldi per far crescere la startup?
E.C.: Buona parte del libro è dedicata proprio a questo tema, di cui viene affrontato ogni aspetto. Si parla nel dettaglio del financing cycle di una startup: a ogni fase del suo ciclo di vita corrispondono fasi di finanziamento e possibili finanziatori. Così all’inizio ci si rivolge a parenti e amici, poi si passa ai business angel, quindi in una fase di crescita successiva al mondo del venture capital.
«L’innovazione deve essere finanziata dal venture capital. Le startup hanno bisogni di capitali specializzati per partire e poi svilupparsi. Non esiste innovazione senza venture capital. Senza Elserino Piol, YOOX non sarebbe mai nata» ha raccontato il fondatore Federico Marchetti che ha appena vinto il premio Imprenditore dell’anno 2016. Nel libro si parla anche di tutte le altre modalità di finanziamento, come per esempio il crowdfunding, che vengono esaminate nel dettaglio: pro, contro, come fare, quale impegno per quali risultati. Ma il viaggio prosegue, perché il libro affronta anche altri aspetti. Come il vasto panorama di competition, organizzate da aziende, multinazionali, incubatori, acceleratori fondi di investimento.
Dove trovare l’ecosistema più favorevole: andarsene dall’Italia?
M.M.: Il libro elenca tutte le mete più indicate per fare il salto, dalla Silicon Valley a Londra, dalla Svezia alla Danimarca.
E.C: «Più che andarsene dall’Italia, bisogna pensare fin dal giorno 1 a una strategia globale. Da subito, ci vogliono tre cose: 1) ambizione a scalare al di fuori dei confini 2) prodotto competitivo sul mercato internazionale 3) un sito o applicazione in diverse lingue» ci ha spiegato Riccardo Zacconi, l’italiano che ha creato Candy Crush, il giochino della caramelle che è stato venduto a un colosso americano per 6 miliardi di dollari. Sì perché se le cose vanno davvero bene, anche in Italia si può portare la propria azienda in Borsa (come ha fatto Federico Marchetti con Yoox) o fare un’exit come ha fatto Alberto Broggi, il professore di Parma, pioniere dell’auto senza pilota, che ha venduto la sua VisLab per 30 milioni di dollari.
Un estratto del libro
“JOE GEBBIA: “L’IDEA DI AIRBNB? È NATA DA UNO SFRATTO”
“Le buone idee nascono dall’urgenza. Devi avere prima di tutto fame. Poi guardare quello che si muove intorno a te, infine rischiare e perseverare”.
San Francisco, ottobre 2007. In un mini appartamento, nel quartiere di South of Market, convivono Joe Gebbia e Brian Chesky, due amici con molte cose in comune. L’età, la professione e un sogno. Hanno 26 anni, sono due designer e vogliono fare una startup. “Quando frequentavamo la Rhode Island School of Design, il nostro sogno era creare un’azienda che avesse la stessa portata di quella realizzata dalla leggendaria coppia americana di designer Charles e Ray Eames, gli inventori della sedia lounge. Hanno cambiato il mondo, lo hanno reso un posto migliore, arrivando a milioni di persone. Per molti anni, abbiamo sognato di fare la stessa cosa” ci ha raccontato Joe Gebbia, cofounder di Airbnb.
Poi la vita fa il suo corso, e a spezzare i sogni dei due amici un bel giorno arriva una lettera: il proprietario di casa vuole aumentare l’affitto del 25%. Pena lo sfratto. In banca hanno 1.000 dollari in due. Devono tirarne fuori 1.150. “Stavamo discutendo sul nostro problema ‘aritmetico’ quando ci è venuto in mente che a San Francisco stava per iniziare un importante evento. In città non si trovava posto per dormire. Gli hotel erano tutti pieni”. I due decidono di affittare lo spazio extra del loro loft. Non hanno letti, comprano dei materassini gonfiabili, scattano alcune foto e le mandano ai blogger che seguono la manifestazione. Prezzo: 80 dollari a notte, colazione compresa. In quello stesso weekend un indiano, una ragazza di Boston e un padre di famiglia dello Utah dormono nel loro salotto.
Così è nato Airbnb, il marketplace online che mette in contatto chi cerca un alloggio – per una notte, una settimana o un mese – con chi dispone di uno spazio extra. In una settimana, Joe e Brian guadagnano mille dollari. Pagano l’affitto e capiscono di avere trovato una strada per sbarcare il lunario. “Iniziavamo a ricevere email da gente che ci chiedeva case in altre destinazioni: Buenos Aires, Londra, Giappone. Abbiamo iniziato così a immaginare un sito con una versione più internazionale. E mentre risolvevamo i nostri problemi, risolvevamo anche quelli degli altri”.”
“La sensazione? Quella di salire su un ottovolante”
È a quel punto che i due coinvolgono il loro coinquilino, ingegnere e programmatore, Nathan Blecharczyk: in cinque giorni costruiscono il sito, inventano il marchio e iniziano a studiare come farsi pubblicità. Nasce Airbnb, nome abbreviato per air bed and breakfast (air bed significa materassino gonfiabile). “Ci informavamo: quando sarà la prossima fiera? Intorno a essa costruivamo un network di alloggi. Chiedevamo le case ad amici, parenti, amici degli amici. Intanto ci davamo da fare per cercare i finanziamenti. Non avevamo esperienza nel campo, ma volevamo farcela. Eravamo eccitati come quando si è in fila per salire su un ottovolante. Non sapevamo dove saremmo arrivati, ma ci sentivamo sulla strada giusta”.
La seconda città dove Airbnb si diffonde è New York. I tre lanciano il portale nel 2008, in occasione della convention nazionale dei Democratici, per sfruttare al massimo il problema della mancanza di hotel. Ma sono a corto di soldi. Per raccogliere i primi 25 mila euro comprano una tonnellata di cereali e disegnano sulle scatole la faccia di Obama e dell’avversario McCain. Prezzo 40 dollari. Ne mettono in vendita 1.000, 500 per ogni scatola. Raccolgono 30 mila dollari. Quando incontrano Paul Graham, tra i più celebri investitori ed esperti di startup in Silicon Valley, si sentono dire: “È un’idea folle. Ma chi farà mai questa cosa? Io no di certo! Ma se siete riusciti a convincere la gente a comprare cereali, la convincerete anche ad affittare materassini gonfiabili. Siete come scarafaggi, potete sopravvivere a tutto”. Questo per Joe, Brian e Nat è stato il miglior complimento che si siano mai sentiti dire. “Tutte le volte che uno startupper mi dice che non sa come trovare i primi 25 mila dollari, mi alzo, vado a prendere la scatola dei cereali e racconto questa storia meravigliosa”.
I primi investitori? Dicono no all’affare del secolo
Nel 2008 sono molti gli investitori che non capiscono la portata rivoluzionaria di Airbnb. Tra questi anche Fred Wilson, investitore di Union Square Ventures, che ancora oggi conserva nel suo ufficio una di quelle scatole di cereali per ricordarsi l’errore che ha commesso. Ma dopo numerose porte in faccia ed email piene di rifiuti e di “ripassa quando hai trovato qualcuno che crede in te”, arrivano i primi 60 mila dollari da Sequoia Capital, il fondo di venture capital americano che è stato uno dei primi a finanziare Google.
Intanto nel 2010 i fondatori lavorano per distinguersi da altre piattaforme che ospitano annunci (su lavoro, eventi, appartamenti…). La più forte all’epoca era Craigslist, che aveva quello che mancava ad Airbnb: gli utenti. I tre sanno che chi vuole esperienze lontane da quelle di un hotel, le cerca proprio su Craigslist. Ecco l’idea disruptive: Airbnb decide di permettere ai suoi utenti di postare le loro offerte di case anche su Craigslist. Inviano a tutti una email che dice: “Se ri-posterai la tua offerta su Craigslist aumenterai i tuoi guadagni di 500 dollari al mese”, con un link: cliccandolo si accedeva direttamente a Craigslist. I vantaggi di questa integrazione (Airbnb/Craigslist) sono stati immediati: non solo si aumentava il volume di clienti via Craigslist, ma la migliore qualità delle offerte di Airbnb (migliori descrizioni degli appartamenti, foto più carine…) portava gli utenti a fare lo switch, a passare cioè da Craigslist direttamente ad Airbnb. Come poi è avvenuto.”
Il libro Startup Sogna Credici Realizza (Hoepli, 19,90 euro) è disponibile nelle migliori librerie d’Italia e online, anche in versione e-book.
1- Y Combinator è considerato l’acceleratore di startup più importante al mondo. Fondato nel 2005 da Paul Graham, ha investito in più di 1000 startup come Dropbox, Airbnb, Instacart.