I talenti sono dunque a valle di questo processo decisionale. Di conseguenza, queste risorse umane sono limitate nelle loro potenzialità, stanno dentro una traiettoria già definita ex ante. In questo quadro i talenti possono solo sviluppare e migliorare l’exploitation all’interno dell business esistente.
Il modello della resource-based theory (dalle competenze distintive alla strategia ai talenti) si indirizza verso il cambiamento possibile. Qui si iscrivono quelle imprese che hanno una storia specifica e hanno accumulato saperi, capacità, abilità ossia competenze distintive. Su questi asset l’azienda costruisce la propria strategia competitiva. Di conseguenza, la strategia competitiva diviene espressione del cambiamento possibile in funzione delle competenze distintive possedute. Anche in questo caso i talenti sono a valle di questo processo decisionale e quindi sono condizionati dalla traiettoria rigida delle competenze distintive di un’impresa.
Il modello “generativo-esplorativo” (dai talenti alle competenze distintive alle strategie) si distingue nettamente dai due precedenti perchè persegue il cambiamento auspicabile di tipo innovativo: qui i talenti diventano gli “esploratori” dell’ignoto. Sono le “bussole” che orientano l’organizzazione a decidere in termini strategici e a muoversi in un ambiente sconosciuto, dove esse non hanno maturato esperienze e conoscenze.
I talenti perseguono l’exploration a monte dell’exploitation divenendo generatori di traiettorie assolutamente nuove e originali che possono portare a ridefinire i vecchi mercati o a scoprire nuovi mercati. I talenti inoltre definiscono quali sono le competenze distintive che si vanno a maturare nel percorso delle imprese per poter perseguire specifiche strategie competitive. Si aprono gli spazi per strategie “oceano blu” (Kim, Bauborgne 2005).
MM: Ci ricordi in sintesi cosa si intende per “oceano blu”?
LF: Lo farò con una citazione. “Nell’elaborare una strategia è importante riuscire a vedere le cose che sono ancora distanti come se fossero vicine ed avere una visione distaccata delle cose che, invece, sono più prossime” – Miyamoto Musashi, Il libro dei cinque anelli, ca. 1645. In questa ottica i tre modelli indicati si pongono come segue:
1. Il modello strutturalista: la strategia oceano rosso
Il focus è sulla mia posizione competitiva all’interno di un mercato esistente con cambiamenti osservabili e monitorabili nell’ambito dei clienti e dei competitors attuali, dunque su vantaggi competitivi di costo o di differenziazione nell’ambito della traiettoria tecnologica esogenamente definita.
La “bussola” che guida nelle decisioni è fondata sull’analisi dei competitors e i clienti, con i processi di ipersegmentazione del mercato. Ma se tutte le imprese adottano questo schema concettuale, la competizione è destinata ad aumentare, con evidenti “oceani rossi”(di sangue): si impone la strategia di “guerra” alla concorrenza.
2. Il modello resource-based theory: la strategia oceano verde
Il focus è sulle mie competenze distintive e sulla mia capacità di una loro exploitation nell’ambito del mercato esistente in termini di prodotti, clienti e tecnologie.
La “bussola” per guidarmi nelle decisioni è fondata sull’analisi delle mie competenze distintive rispetto ai competitors.
Se tutte le imprese adottano questo schema concettuale, la competizione si può stabilizzare o attenuarsi. Ma è la traiettoria tecnologica che genera il range di competenze distintive possibili di ogni singola impresa. Un oceano verde è come un sentiero in un bosco dove bisogna evitare ciò che non conosciamo e bisogna utilizzare ciò che sappiano.
3. Il modello generativo-esplorativo: la strategia oceano blu
Qui il focus è sull’immaginare il futuro per innovare i prodotti / servizi creando nuovi mercati: quindi non è sui clienti attuali ma sui non clienti (clienti che non conoscono il prodotto, clienti insoddisfatti del prodotto, clienti che non hanno mai utilizzato il prodotto, ecc..).
Il focus non è sul mercato esistente ma sulla creazione di nuovi mercati.
La “bussola” per guidarmi nelle decisioni è fondata sulla capacità dei talenti presenti nelle organizzazioni: sono loro i pionieri di nuovi “mondi”.
MM: Questo per quanto riguarda le tipologie organizzative. Ma quali relazioni si possono individuare tra i diversi modelli di governance delle imprese e i talenti?
LF: In ogni sistema economico nazionale, abbiamo cinque diverse forme istituzionali d’impresa (e, ovviamente, anche le loro sotto-categorie!):
1. l’impresa familiare o imprenditoriale
2. l’impresa manageriale
3. l’impresa pubblica
4. l’impresa cooperativa
5. le no profit organization.
Proviamo a vedere cosa succede in un paio di questi casi. Guardiamo al capitalismo familiare. La tesi (non deterministica) che mi sento di avanzare è la seguente: i talenti non entrano!! Questo accade per diverse ragioni:
a. Il capitalismo familiare e il limite delle competenze distintive rigide dell’imprenditore e delle conseguenti traiettorie tecnologiche e di reclutamento delle persone. Le persone reclutate devono essere coerenti con le competenze distintive e con le convinzioni dell’imprenditore, il che è contrario all’inserimento di talenti che per loro natura portano nuove competenze.
b. Il capitalismo familiare e il limite del reclutamento per effetto del “moral hazard”.
L’imprenditore è il monitor dell’impegno lavorativo dei suoi dipendenti. Per monitorare devo possedere competenze distintive capaci di analizzare specifiche attività. Se l’attività esula dalle competenze distintive dell’imprenditore, il reclutamento non avviene, perché altrimenti potrebbe generarsi il problema di una minore produttività del dipendente, viste le limitate capacità dell’imprenditore a monitorare.
Così per limitare il rischio del moral hazard si preferisce optare per mercati del lavoro limitati (reti amicali o parentali, ecc..).
Nel caso del capitalismo manageriale potremmo formulare questa tesi (non deterministica): i talenti escono!!
MM: Perchè?
LF: Nelle imprese manageriali si può operare un reclutamento fondato su criteri di efficienza e di merito: dunque si possono assumere i talenti. Però, una volta reclutati, i talenti possono trovarsi in circostanze decisionali tali per cui viene meno una parte della motivazione al lavoro qualificato e all’impegno produttivo per diverse ragioni quali
1. il problema delle routine e della burocrazia decisionale, invise ai talenti;
2. il limite della scomposizione organizzativa e decisionale dei problemi, per cui “quando si ha un problema complesso da risolvere, al fine di costruire una strategia efficiente oltre che efficace, risulta utile frazionare l’obiettivo finale in una serie successiva di micro-obiettivi” (Giorgio Nardone). In questo quadro al talento viene offerto di contribuire alla soluzione di problemi semplici, mentre la sua caratteristica è di appassionarsi a problemi complessi.
3. Il limite della finanziarizzazione. “La finanziarizzazione delle imprese industriali ha avuto tra le sue conseguenze che al loro vertice arrivano sempre piú spesso manager privi di qualsiasi competenza specifica nel settore di cui le prime si occupano, e però abili nel concepire e perseguire strategie finanziarie. Ammettiamo pure che, almeno per quanto riguarda i conglomerati di maggiori dimensioni, questi operano su molte linee di prodotto diverse tra loro, sí che nessuno potrebbe esser familiare con tutte. Nondimeno fa specie vedere manager che dal settore finanziario vanno a occupare posizioni di vertice in quello industriale; oppure, all’interno di questo, passano disinvoltamente dalle biotecnologie alle automobili ecc…” (Luciano Gallino). La mancanza di autorevolezza e di competenza determina uno stile di leadership poco attrattivo per un talento.
Ragionamenti analoghi si potrebbero fare per le relazioni fra talenti e Impresa pubblica, Impresa cooperativa e No profit organization. Ne deriva che si tratta di ambienti comunque ostili all’assunzione, alla conservazione e allo sviluppo dei talenti.
MM: Che opzione resta allora ai talenti?
LF: In molti casi, i talenti devono valorizzare sé stessi perseguendo una propria scelta imprenditoriale. Start up innovative e talenti: questo è l’asse per un nuovo ciclo imprenditoriale innovativo nel nostro paese. Per quanto riguarda le altre realtà, per attirare, trattenere e valorizzare i talenti dovrebbero lavorare sulle seguenti leve:
1. Ambiente e clima organizzativo
No alle “vecchie” logiche di divisione del lavoro fondate sulle competenze individuali ma integrazione e socializzazione di competenze per amplificare e potenziare l’elaborazione di soluzioni migliori e condivise. Le imprese devono creare spazi organizzativi adatti all’esplicitazione dei talenti e quindi alla generazione di processi e prodotti innovativi.
La necessità è quella di far emergere dal basso, con una legittimazione collettiva, i collaboratori di talento. Si tratta di non definirli ex ante e in modo gerarchico ma vanno fatti legittimare dalla comunità.
LF: Certamente. In coerenza con quel modello possiamo indicare altri ambiti di intervento quali:
b) Processi decisionali
No a processi decisionali gerarchici, burocratizzati e routinari, ma
autonomia, coinvolgimento, trasparenza e responsabilità. Occorre stimolare progetti che accendono le passioni dei collaboratori di talento.
c) Strategie e progetti per il futuro
No a valutazioni frettolose e short term dei progetti. Per trattenere i talenti è necessario che siano circondati da talenti e non dalla mediocrità. Se i talenti comprendono che esiste un percorso per lo sviluppo delle loro carriere, diminuisce l’incentivo a guardarsi intorno.
MM: Nella tua visione il talento è ostile all’iperspecialismo e fortemente orientato alla
metadisciplinarietà. Cosa fare per ottenere in azienda l’ampliamento e l’integrazione di competenze oggi e in futuro?
LF: Le possibilità sono numerose. In rapida sintesi si potrebbe agire su leve quali:
Il diversity management: instaurare e gestire relazioni professionali fondate su diversità inter-culturali;
Il network management: gestire e consolidare relazioni inter-organizzative;
Sense-making competence: abilità ad identificare il senso profondo e il corso delle azioni in contesti complessi;
Social intelligence: abilità a partecipare alla costruzione collettiva delle soluzioni;
Adaptive thinking: abilità a pensare e agire secondo modelli non routinari e eterodossi;
Computational thinking: abilità a traslare grandi moli di dati e informazioni in concetti astratti e “bussole” per agire;
Scenario analysis: saper identificare scenari evolutivi e delineare percorsi strategici;
Innovation oriented: generatori di idee e processi innovativi;
Appreciative inquiry: sostenere e motivare il talento;
Cognitive load management: abilità a discriminare e filtrare le informazioni necessarie a produrre soluzioni di successo;
Virtual collaboration: abilità a lavorare e cooperare in termini di conoscenza in ambienti virtuali;
Design mint-set: abilità a creare soluzioni in contesti dove solo una parte delle informazioni e conoscenze sono possedute.