“L’autore, capitolo dopo capitolo, mette a disposizione del lettore una sorta di bussola grazie alla quale è possibile orientarsi meglio nel cammino verso una leadership sapiente e responsabile, utile ad accrescere il proprio valore personale e professionale e, quindi, il contributo che il singolo può dare a un’impresa o a un’istituzione nel suo complesso in termini di affermazione e risultati positivi”.
Così Maurizio Sella, Presidente Assonime chiosa il libro di Francesco Sansone Leadership responsabile. Un testo che si impone all’attenzione per vari motivi, partire dal suo radicamento in una prospettiva senza dubbio affine a quella dello Humanistic Management. Significativo ad esempio il fatto che il libro si apra con una definizione dell’economia attuale come “knowledge economy” tratta da un testo di Domenic Melè (autore fra l’altro del saggio The Challenge of Humanistic Management, Journal of Business Ethics, Volume 44, Number 1, 2003) che propone quattro caratteristiche basilari di una “organizzazione umanizzante:
riconoscimento della persona nella sua dignità, nei suoi diritti, nella sua unicità, nella sua sociability e nella capacità di crescita personale;
rispetto per la persona e i suoi diritti umani;
care e servizio verso le persone intorno a noi (vedi alla voce cura, parola chiave del nostro approccio alla social organization);
guida che privilegi il bene comune rispetto agli interessi particolari”.
Al tempo stesso, aggiunge Sansone, l’impresa contemporanea deve essere “veloce, flessibile, focalizzata e amichevole”: deve essere dunque, ancora una volta, una social organizzation, che, come sosteniamo da molti anni, richiede quindi prima di tutto un modello operativo e cognitivo caratterizzato da:
l’apertura dei confini dell’organizzazione. All’interno per abbattere le divisioni funzionali; verso l’esterno per coinvolgere attori quali clienti, partner e fornitori;
la creazione diffusa e partecipativa (co-creation) di contenuti e conoscenza;
la collaborazione tra le persone indipendentemente da gerarchie e schemi organizzativi predefiniti, basata sulla fiducia reciproca e scambio metadisciplinare;
l’approccio non riduzionistico alla complessità, basato su velocità e flessibilità nel cambiamento continuo di ruoli, processi di lavoro e sistemi informativi;
la convivialità centrata sulla valorizzazione delle community virtuali indipendentemente dalla localizzazione fisica e dagli orari di lavoro, coniugata ad una diffusa “socialità offline”;
una visione etica forte e coerentemente agita.
Da queste premesse condivise non poteva che scaturire una sostanziale identità di vedute su quello che è lo stile di leadership necessario oggi: uno stile di leadership convocativo, nei termini dello Humanistic Management, “responsabile” nella terminologia di Sansone, con cui abbiamo parlato di tutto questo.
MM: Nel tuo libro definisci la leadership responsabile come “il risultato di un potere che viene dal basso, fatto più di autorevolezza che di autorità”: analogamente, ad esempio in Di cosa parliamo quando parliamo di #Leadership in una Social Organization, io, con Piero Trupia, sostengo che deve essere basata “sull’autorevolezza dell’altro”. Perché il passaggio dall’autoritarismo all’autorevolezza è così decisivo per una buona leadership?
FS: Il leader che oggi voglia rappresentare i valori della responsabilità, sostenibilità e crescita, non può che ispirarsi a questi principi: si gestiscono i comportamenti e non le persone, si fanno diagnosi e non si danno giudizi, e sopratutto non bisogna essere proiettivi (cioè usare noi stessi come metro di misura), ma adottare invece un approccio funzionale nel guidare le persone basato sulla coerenza e la fiducia. Occorre puntare sulla professionalità e sulla motivazione per essere in grado di indirizzare e guidare con la mente e con il cuore, le persone e la loro intelligenza emotiva, in modo da generare, nell’ambiente nel quale si esercita la propria autorevolezza, un clima di benessere per se e per gli altri.
In quest’ottica bisogna contemperare l’orientamento alle persone con l’orientamento ai risultati, determinando decisioni condivise con il coinvolgimento di tutti nel realizzare gli obiettivi aziendali. Il leader responsabile deve essere soprattutto una persona che si rispetta e rispetta gli altri, che sa coniugare le sue esigenze, quelle aziendali e quelle dei suoi collaboratori, un pò comandante, un pò coach, un pò counselor, un pò mentore, nel senso di essere punto di riferimento nelle situazioni importanti come l’educatore di Telemaco, il figlio di Ulisse, e, infine,un po’ visionario, nel senso di avere una chiara vision futura dell’organizzazione verso la quale condurre la sua squadra con determinazione ed umanità.
MM: Un secondo punto che le nostre visioni hanno in comune è la rilevanza delle capacità comunicative: in particolare nella mia visione, il buon leader è, scrivevo già nella Nona Variazione Impermanente del Manifesto dello Humanistic Management, colui che sulla base di una idea forte sa aprirsi agli altri con l’ingenuità del principe Myschkin, l’idiota, facendoli aprire a loro volta al dialogo e sapendone suscitare l’iniziativa. E’ la metafora di Gesù che sa trasformare dodici pescatori nei dodici fondatori della Chiesa Cattolica. Sei d’accordo?
FS: Sono d’accordo che Gesù di Nazaret abbia realizzato obiettivi straordinari con mezzi ordinari, anzi per certi aspetti modesti, questo anche per evidenziare quale fosse la differenza tra il pennello ed il pittore. Tuttavia trovo sia utile e metodologicamente corretto distinguere i diversi paradigmi e linguaggi che si riferiscono a contesti disciplinari ed antropologici distinti, come ad esempio il management dalla teologia morale.
MM: Fra le competenze essenziali del leader responsabile tu poni la fiducia, che è anche una caratteristica essenziale dei rapporti conversazionali che si instaurano nelle community fondate sulle logiche del web 2.0 e quindi di quell’intelligenza collaborativa di cui parlo nel mio ultimo libro e che ho avuto l’opportunità di presentare anche recentemente ad esempio nel corso della Convention Cisco tenutasi lo scorso 8 maggio. Ce ne vuoi parlare più approfonditamente?
FS: La fiducia è la misura della disponibilità ad abbandonarsi all’interlocutore ed è correlata con il senso di sicurezza. Fidarsi di qualcuno vuol dire credere che lui agisca per il meglio nei nostri confronti, essere convinti che porterà avanti i nostri obiettivi come fossero suoi. L’esercizio della leadership responsabile è propriamente basata sulla fiducia e richiede l’espressione di alcune fondamentali qualità a forte valenza emotiva, quali l’espressività e la comprensione. La fiducia è pertanto una forma di conoscenza che ci consente di effettuare una qualunque scelta con un minor numero di dati ed è alla base, peraltro, di tutte le transazioni economiche e sociali che quotidianamente vengono effettuate. Infatti, nell’utilizzare il denaro come sistema di pagamento, un mezzo la cui accettabilità, data la natura simbolica del valore, si basa sulla fiducia di chi lo ha emesso. La fiducia costituisce di fatto un elemento così fondante per la cooperazione in ogni forma di società che essa è vitale per il mantenimento della cooperazione e gli scambi economici e necessaria come terreno di base anche per la più banale attività quotidiana. Senza la fiducia non può esistere una relazione, dato che viene meno il canale che collega tra loro le persone. In questo senso l’organizzazione che vuole massimizzare i benefici economici, organizzativi e relazionali dei rapporti con i portatori d’interesse, dovrebbe implementare, mediante opportuni strumenti formativi e di coinvolgimento stakeholder engagement, gli ottimali livelli di fiducia.
MM: Altro concetto chiave, che hanno in comune il tuo “leader responsabile” e il mio “leader convocativo” è l’apertura (concetto alla base della Wikinomics descritta da Dan Tapscott già nel 2006). Ci vuoi dare la tua visione su questo punto?
FS: Essere aperti è un concetto strettamente associato all’idea di “trasparenza”, che ho indicato nel mio libro tra le 10 regole per essere leader responsabile. “Apertura” che significa anche libertà, flessibilità e coinvolgimento, è ormai il motto di molte realtà emergenti, fino a poco tempo fa chiuse nei propri meccanismi ancora Tayloristici. Recentemente brillanti aziende hanno ripensato e rivalutato l’importanza dell’essere aperti verso idee provenienti dall’esterno della propria organizzazione. L’apporto di risorse estranee all’azienda comincia finalmente ad essere percepito come una fonte di innovazione e miglioramento e resto fiducioso che questo processo continui nel passaggio che stiamo vivendo dall’economia della conoscenza all’economia della bellezza.
MM: Infine, l’empatia: cosa è secondo te e perché è così importante per l’esercizio della leadership?
FS: L’empatia riguarda la capacità di cogliere adeguatamente la situazione personale di colui che ci sta di fronte rispetto a ciò che dice (aspetto di contenuto, espressione non verbale) e che sente (aspetto affettivo ed emozionale). Questa relazione armonica, di collaborazione e di fiducia è normalmente definita con il termine inglese “rapport” e si manifesta, tra due o più persone, nella ripetuta corrispondenza della comunicazione analogica, cioè quella comunicazione fatta di gesti, atteggiamenti, postura, espressioni facciali, movimenti del corpo, squardi, tono della voce, ritmi del respiro, di cui, per lo più non abbiamo coscienza, ma che costituiscono il livello di comunicazione sul quale inviamo continuamente messaggi che riguardano la definizione della relazione. Ciò che permette di percepire questa sensazione di essere sulla stessa lunghezza d’onda, di sentire che l’altro si e’ messo nei nostri panni, è innanzitutto avvertire lo sforzo che l’altro compie nel cercare di parlare il nostro linguaggio cognitivo, ovvero la modalità dominante con la quale noi ci interfacciamo con il mondo, le domande che ci poniamo nel comprare e vendere le idee. Quindi alla base dell’empatia vi è proprio l’uso del “pensiero flessibil”, e la capacità di riconoscere gli stili cognitivi dell’altro e parlare il suo linguaggio, come ho esposto nel mio libro Pensiero flessibile, edito da Franco Angeli, più volte ristampato, con la prefazione dell’economista Giulio Sapelli e la postfazione di Giorgio Squinzi, Presidente di Confindustria.