La discussione avviata nelle Note precedenti ha portato a chiederci se le community che utilizzano i social media per ottenere co-generazione di valore e mass collaboration possano essere considerati dei Mondi Vitali, ovvero sistemi relazionali fondati, abbiamo detto, su una “empatia sistemica”. Si tratta allora di capire cosa intendiamo con il termine “empatia”. E’ opportuno sottolineare che la definizione di empatia non è affatto ovvia. Studi sulle scimmie antropomorfe mostrano che sono in grado di mostrare comportamenti imputabili a empatia nel senso della capacità di immedesimarsi nell’altro e capirne o addirittura condividerne certe esperienze da un punto di vista emozionale. Ma esiste anche una empatia di soggetti viventi con soggetti simulati. Per esempio con i personaggi di un libro. Quella forma di empatia richiede forse una relazione diretta e fisica? In certi casi non è neppure necessario leggere un romanzo per provare forme di empatia. E’ sufficiente poter leggere qualche riga di una lettera oppure vedere il nostro tamagotchi che rischia di morire. O ancora può essere sufficiente immaginare con sufficiente partecipazione vicende mai accadute. Per esempio quando scrivo un racconto provo empatia per i miei personaggi; i personaggi di un racconto che ancora non esiste. E si prova empatia verso i personaggi interpretati da altri in un gioco online. Persino verso i personaggi interpretati da se stessi. Tutte forme di empatia che non hanno in genere alcun bisogno di una relazione diretta, personale e fisica.
Dunque è bene specificare che Facebook ed in generale i social media sono in grado di favorire l’empatia solo se e quando i suoi membri si pongono in una dimensione dia-logica in senso profondo che nulla ha a che fare con qualsiasi irrazionalismo. Sarà utile a questo proposito ricordare la distinzione fra la razionalità dello Humanistic Management e la razionalizzazione dello Scientific Management. “La razionalizzazione – afferma Edgar Morin – innanzi tutto accorda il primato alla coerenza logica sull’empiria, tenta di dissolvere l’empiria, di rimuoverla, di respingere ciò che non si conforma alle regole, cadendo così nel dogmatismo. Del resto è stato notato che c’è qualcosa di paranoico che è comune ai sistemi di razionalizzazione, ai sistemi di idee che spiegano tutto, che sono assolutamente chiusi in sé ed insensibili all’esperienza. Non è un caso che Freud abbia usato il termine di razionalizzazione per designare questa tendenza nevrotica e/o psicotica per cui il soggetto si intrappola in un sistema esplicativo chiuso, privo di qualsiasi rapporto con la realtà, pur se dotato di una logica propria. In qualche modo la grande differenza tra razionalità e razionalizzazione è che l’una è apertura, l’altra è chiusura, chiusura del sistema in se stesso. Vi è una fonte comune della razionalità e della razionalizzazione, cioè la volontà dello spirito di possedere una concezione coerente delle cose e del mondo. Ma una cosa è la razionalità, cioè il dialogo con questo mondo, e altra cosa è la razionalizzazione, cioè la chiusura rispetto al mondo”.
Una puntuale conferma delle parole di Morin la troviamo in Wonderland nella descrizione che Lewis Carroll fa della Regina Rossa, massimo emblema del modello Comando e Controllo cui Alice si ribella. In un sito dedicato al “Narcissistic Personality Desorder”, un topic intitolato Lack of Empathy: The Queen of Hearts From Alice in Wonderland così recita: “As Lewis Carroll described her in Alice in Wonderland, “The Queen had only one way of settling all difficulties, great or small. ‘Off with his head!’ she said, without even looking round.” The Narcissist is equally blind to the emotions of those around him. Lack of empathy is a defining characteristic of a Narcissist or a Psychopath”.
E, aggiungerei, di molti Amministratori Delegati e Capi del Personale capaci di gestire le persone solo diffondendo il terrore, laddove invece il prendersi cura dei dipendenti dovrebbe essere la loro primaria responsabilità. Ma questo comporterebbe la necessità di confrontarsi con i nuovi modelli della social organization e del Management 2.0, ovvero di mettere in discussione tutto quanto essi hanno imparato fino ad oggi sul cosa è e come si governa un’impresa.
Eppure prima o poi dovranno arrendersi, proprio come la Regina Rossa e il suo esercito di carte, all’irreversibile avvento delle contemporanee Alici portatrici di una cultura ai loro occhi del tutto aliena. Per salvarsi (e salvare così le imprese che guidano) oggi più che mai è indispensabile che accettino il ricorso ad una razionalità che non si identifichi necessariamente con la scientificità “classica”, che rispecchia unicamente il passato, in cui lo stesso “know” del “know how” è appunto un “known”, un saputo e non un sapere dischiuso al futuro.
Si potrebbe muovere a chi narra “scientificamente” il mondo lo stesso rimprovero rivolto da Wislawa Szymborska ad un aspirante romanziere: “Nei suoi racconti si sta stretti, si soffoca, non ci sono problemi. Non c’è una finestra sul mondo e quindi nessuna prospettiva potrà aprirsi allo sguardo”. Finestra sul mondo, apertura, dialogo. Il mondo vitale non è il “mondo privato” bensì il “mondo comune” a tutti gli esseri umani. E’ il ‘territorio o lo spazio’ dov’è possibile controllare le risposte dell’altro e rispondere alle sollecitazione di chi pone domande e chiede risposte.
Ovvero lo spazio dove con facilità le esperienze umane trovano un loro significato, e non sono gli oggetti a costruire la realtà, ma il soggetto a dare il nome, o meglio a definire, la realtà.
Il mondo vitale possiamo intenderlo come una provincia di significati, tra altre provincie di senso. Tutte insieme formano e danno origine alla trama relazionale e culturale di una società. Senza tale profonda produzione di senso e di vita, senza questa “empatia sistemica”, tutto si riduce a scambio di equivalenti (contratto) o a veri rapporti di dominio.Sotto questo profilo, Alice è senza dubbio abilissima nel costruire relazioni empatiche. Nonostanza la stranezza dei personaggi in cui si imbatte, con cui ingaggia complicati dialoghi (parafrasando il Cluetrain Manifesto, potremmo dire che le “avventure di Alice sono conversazioni”) e che in prima battuta le sono spesso ostili, la bambina impara rapidamente ad evitare le situazioni di scontro (cfr. l’analisi del suo primo incontro con un abitante di Wonderland, il Topo) e dimostra di avere un talento innato nel porsi come interlocutrice: curiosità, capacità di ascolto, rispetto dell’interlocutore (che sia un Cappellaio Matto, una bislacca coppia di gemelli cantastorie o uno strampalato millepiedi) sono le caratteristiche che le consentono di trasformare ogni incontro in una ricca esperienza relazionale. Ecco perchè una scuola elementare di Genova ha svolto nell’anno didattico 2011-2012 un bellissimo lavoro su Alice proprio per ricercare “lo sviluppo dell’empatia nelle relazioni con gli altri”.
Tuttavia, poiché è stato Piero Trupia ad introdurre nel contesto dello Humanistic Management il tema dell’“empatia sistemica” come strutturale e strutturante ogni Mondo Vitale, gli ho chiesto di spiegare più dettagliatamente cosa intendesse. Mi ha risposto così: “La parola ‘sistemica’ fu una mia aggiunta in occasione dei lunghi colloqui con Ardigò per l’elaborazione della sua prefazione al mio libro Semantica della Comunicazione. Fu da lui accettata con interesse e la usò più volte, sempre citando la fonte.L’importanza di ‘sistemica’ la vedremo dopo.
Il primo a parlare di empatia fu Edmund Husserl nei tre volumi sull’intersoggettività dal titolo generale Sulla Fenomenologia della Intersogggettività. Ritornò sull’argomento con l’opera Meditazioni Cartesiane, risposta ideale alle Meditazioni Metafisiche di Cartesio, del quale Husserl si sentiva continuatore e sviluppatore. Il testo husserliano del 1931 andò perdutoe la prima edizione fu una traduzione francese dello stesso anno, mentre l’edizione tedesca arrivò postuma nel 1950. Il capitolo V delle Meditazioni Cartesiane è interamente dedicato all’empatia.
Edith Stein, allieva di Husserl, riprese il tema in un suo volume degli anni ’30, sviluppo della sua tesi di laurea. Un altro allievo di Husserl, Alfred Schutz, pubblicò in USA il testo Some Structures of the Life World, (vol. III dei Collected Papers) che enfatizza la problematica del “mondo vitale” (Lebenswelt). Infine, con orientamento sociologico, se ne interessarono e ne scrissero, Jurgen Habermas in Teoria dell’Agire Comunicativo, se ricordo bene, e Achille Ardigò in Crisi di Governabilità e Mondi Vitali e in Per una Sociologia oltre il postmoderno. Tutti gli altri che ne parlano, stiracchiano il concetto ai loro fini. Anche Ardigò lo fa, ma con una conoscenza diretta delle fonti originarie. Il suo è uno sviluppo filologicamente corretto.
Originariamente empatia non è né apertura all’altro nè condivisione. E’ semplicemente, freddamente riconoscere l’alterità del soggetto che mi sta di fronte e, allo stesso tempo, rendersi conto che questo soggetto ha dei vissuti che sono se non simili, omogenei ai miei. Questo discorso vale per Husserl e per Stein. Habermas infatti rimprovera a Husserl la sua freddezza cognitiva, mentre per lui empatiaè il primo momento per addivenire a una condivisione di mondi vitali.
Habermas si preoccupa della colonizzazione dei mondi vitali naturali da parte delle istituzioni politiche e no, ad es. l’università con i dottorandi e con gli allievi tutti costretti nelle gabbie da polli in batteria dell’accademismo e del carrierismo. Aggiungo del concorsismo ove per avere successo devi coltivare il campo del proprio “maestro” e acquisire una preparazione, non dico competenza, perchè sarebbe troppo, superspecializzata.
Io sono per l’uso allargato e per lo sviluppo del concetto di empatia come il primo passo per la condivisione di un mondo vitale. Sistemica nel senso di strutturale, più dell’organigramma, degli ordini di servizio, della programmazione e sviluppo delle potenzialità e delle note caratteristiche. Insomma, l’impresa conviviale.”
Arricchiti da questo excursus, torniamo allora a domandarci: nella realtà digitale è possibile vivere relazioni veramente empatiche? Ad esempio in Rete sono state pubblicate molte critiche come quella di Michele Ciliberti alla versione burtoniana di Alice in Wonderland: “La concatenazione di eventi di Big Fish, la fluidità narrativa di La fabbrica di Cioccolato, l’empatia tra i diversi personaggi di Edward Mani di Forbice vengono questa volta a mancare. Ogni evento è fine a sé stesso, ogni scena è targata Burton ma è di proprietà di Lewis Carroll. Vi sono genialità artistica e onnipotenza visiva del regista americano, ma vi sono solo minimamente le sue invenzioni e il suo modo di immaginare mondi e andare oltre essi. Alice sembra stia affrontando i vari livelli di un gioco, dove al primo step deve incontrare il Bianconiglio, poi lo Stregatto, poi il Brucaliffo e via così.
Queste creature sembrano poi squisitamente fittizie e digitali, non riuscendo mai a sembrare realmente presenti nelle prossimità di Alice. Questa sensazione è amplificata dall’elementare uso della grafica, non confrontabile alla magnificenza visiva di Avatar. Il confronto è dovuto in quanto paragonabili sono i mondi. Se Jake visitava Pandora scoprendo visionarie meraviglie e creature inimmaginabili, Alice si ritrova semplicemente in una Terra-reloaded, priva di elementi naturali nuovi e dove la diversità sta solo nei personaggi, introdotti in quel mondo senza tuttavia una relazione vitale con esso. Non vi è empatia, non vi è condivisione di quell’universo, non vi è interazione tra Alice, le sue sensazioni, il Paese delle Meraviglie e le creature”.
Non è esattamente questo il rischio che si corre tentando di edificare un Mondo Vitale sulle fondamenta digitali di un social media o di una piattaforma collaborativa? Il dubbio è assolutamente lecito, ci riporta alla domanda iniziale e merita una discussione approfondita. Lo faremo nella prossima Nota.
Alice annotata 42. Continua.
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