Emporio Porpora, E quindi uscimmo…, 2011
Il postmodernismo abolisce la gerarchia implicita delle avanguardie, per cui ciò che era nuovo e attuale si sovrapponeva inesorabilmente al passato, rendendolo inutilizzabile oggi. Non per nulla il modernismo si chiama così, perchè privilegia il moderno. Alla gerarchia fondata sul tempo del modernismo, il postmodernismo sostituisce la valorizzazione dello spazio, privilegiando la performance. L'uso della performance invade ora tutte le arti, e non è facile individuarne precisamente il senso.
La performance avviene in un tempo unico come evento determinato, che assume valore in quanto "accaduto" veramente in un momento qualsiasi, che potremmo chiamare presente perpetuo. Ma soprattutto l'evento è accaduto e si è collocato in un luogo che diventa parte dell'evento stesso. Lo spazio dell'evento diventa la dimensione in cui l'accadimento assume la sua pregnanza significativa. Tuttavia è significativa in negativo, non per quello che è, ma per quello che non è, cioè non perchè è in un determinato spazio, ma perché è fuori dagli spazi già usati dalle arti.
Così come la cornice del quadro distingueva la finzione dentro la cornice, dalla realtà fuori dalla cornice, ora gli eventi sono tali perché avvengono in spazi che non sono convenzionati con l'arte: non sono musei tradizionali, ma strade, città, montagne, alberi, corpi umani. Ma anche quando sono ancora musei, si presentano in modo tale che la loro forma e il loro modo di presentarsi è una parte dell'evento, per cui la vera opera d'arte è la mostra stessa, più che gli oggetti che vengono mostrati.
La funzione reale e pratica dei contenitori viene esteticizzata, perchè nel frattempo l'estetica è stata dispersa nella realtà della vita, sotto forma di stili di vita; esibizione di oggetti che comunicano, siano un paio di scarpe o una motocicletta Harley Davidson; sotto forma di pubblicità spalmata ovunque: dai vestiti indossati fino alla pelle sulla faccia delle persone.
Il Modernismo era ossessionato dal tempo: pensiamo alla ricerca del tempo in Proust, al tempo mitico nella Waste Land di Eliot, alla compresenza e alla sovrapposizione di presente e Storia in Ezra Pound, al tempo ciclico e universale in Finnegans Wake. Questa ossessione era interpretata come pulsione a superare la transitorietà della vita, fissandola in un disegno o in un modulo, che è l'effetto finale del processo compositivo.
Invece il Postmodernismo vuole recuperare proprio il flusso contingente della temporalità. Così come il significato è sempre rinviato altrove, perso nelle volute del divenire, la poesia non è più sulla pagina, ma fluisce dalla voce delle letture e delle performance pubbliche. Questo flusso si manifesta in molteplici occorrenze e rompe le barriere delle interpretazioni ultime e definitive, viste come "volontà di potere"; invade gli spazi e inventa anche nuovi spazi, come la realtà virtuale.
Nella realtà virtuale e nella fantascienza cyberpunk si creano mondi paralleli, e l'interesse epistemologico del modernismo si trasforma in interesse ontologico: non è più questione di come conoscere il mondo, ma confronto tra mondi possibili o impossibili, ma comunque frutto di invenzione e non di comprensione.
I mezzi multimediali, performativi per natura, come il teatro, la radio, la televisione, e ora la rete internet, si conglomerano col telefono, le stampanti, i programmi di alterazione delle immagini e di creazione di ologrammi ed effetti speciali, le appicazioni della "realtà aumentata", in una fenomenologia del futuro che sembrava fantascienza, e invece ci è precipitata addosso prima del previsto, uscendo dalle macchine che la generano per entrare nelle istituzioni dell'educazione e del divertimanto, modificando i metodi di lavoro e le tecniche di ricerca.
Quelle che sembravano ed erano le assurdità del postmodernismo sembrano ora la traccia di qualcosa che era difficile da capire proprio perché troppo rapido ed eccessivo rispetto alle capacità umane di percezione, assimilazione e adeguamento. Questo qualcosa ormai è arrivato e probabilmente ha già travolto e lasciato indietro tutti quelli che hanno più di trent'anni o venti, o persino la prima generazione dei nativi digitali.